Gli affreschi di Antonio Pomarancio a Palazzo Lante in piazza dei Caprettari.

di Rita RANDOLFI

Palazzo Lante, con ingresso in piazza dei Caprettari n. 70, comprende in realtà due edifici distinti, accorpati nel corso del XVII secolo, in seguito al matrimonio tra Marcantonio Lante e Lucrezia della Rovere, che portò in dote al marito proprio il palazzetto con ingresso in via Monterone 85.

La coppia decise di andare ad occupare lo stabile più piccolo che comunicava con quello adiacente attraverso le scale ed i cortili interni, usufruendo tuttavia degli ambienti di rappresentanza situati nel casamento più grande, mentre il fratello di Marcantonio, Marcello, creato cardinale nel settembre del 1606 da Paolo V Borghese[1], dimorava nelle sale dell’ala destra dell’immobile con ingresso in piazza dei Caprettari[2].

I due fratelli avevano un carattere molto diverso: mentre Marcantonio desiderava conquistare un ruolo di riguardo  tra la nobiltà romana, cercando di imitarla con l’acquisto di immobili e di collezioni di opere d’arte, Marcello, pur avendo assunto cariche importanti nell’ambito della curia[3], era tuttavia dotato di una personalità schiva, e nonostante avesse promosso interventi importanti come l’edificazione della chiesa e dell’ospizio dei padri eremitani a Porta Angelica, l’ampliamento degli ospedali Fatebenefratelli e San Sisto, lo stabilimento di una sovvenzione in favore di quello di Santo Spirito e ancora la costruzione di Santa Maria Liberatrice al Foro Boario, l’abbellimento dell’abside della chiesa di S. Gregorio dei Muratori, la ristrutturazione del monastero delle Teresiane a San Giuseppe a Capo le Case, non volle mai essere ricordato, tanto che furono le suore, nell’ultimo caso menzionato, a voler apporre una lapide in ringraziamento delle somme ricevute.

Di lui le fonti dell’epoca delinearono un ritratto morale lusinghiero. Uomo integerrimo fu particolarmente sensibile al problema della povertà, tanto che persino nel  testamento, obbligò gli eredi a perseverare nelle iniziative benefiche da lui intraprese.

Questa sua coerenza lo contraddistinse in ogni occasione, e persino negli ambienti dove lui stesso dimorava non si trova alcun riferimento specifico alla sua persona.

Tuttavia fu il pittore che lavorò per lui a nominarlo come garante per se stesso. Nel Memoriale presentato da Antonio Pomarancio alla Reverenda Fabbrica di San Pietro per ottenere la commissione di una pala per la basilica, l’artista dichiarò di aver affrescato tre stanze nel palazzo del cardinal Lante nel rione Sant’Eustachio, senza, tuttavia, specificare i soggetti rappresentati[4]. La Barroero, seguita dalla Giffi Ponzi, ha riconosciuto la mano dell’artista ne l’Assunzione, e la Trinità, dipinte in due ambienti confinanti[5].

La sala della Trinità, di forma rettangolare, è dotata di due finestre che  affacciano  su via del Teatro Valle. Al centro del soffitto compare l’affresco compreso in  una doppia cornice, la prima sicuramente originale, la seconda, più tarda, impreziosita da volatili. La composizione  si rivela equilibrata. A destra il Padre Eterno con una tunica rosa ed un mantello verde acido, con una mano tiene Cristo e con l’altra invita gli angeli ad adorare il mistero. A sinistra Gesù, ricoperto unicamente da un panneggio tra il rosa ed il viola, mostra un volto sereno, e indirizza lo sguardo  verso il basso, come il Padre. Al centro la colomba dello Spirito Santo irradia la sua luce.  Il triangolo visivo  rovesciato che ha il suo vertice nelle mani di Dio e dell’Unigenito  si ripete in basso, e come in alto tra i due protagonisti compare una testa di cherubino, così, tra le loro gambe, un angelo a mezzo busto si sporge in avanti.

L’affresco è tutto giocato su toni delicati e continui rimandi: a sinistra l’angelo inginocchiato indossa un mantello di un verde appena più acceso rispetto a quello del Padre Eterno, e la sua figura è controbilanciata, a destra, dalle altre due creature celesti  che si abbracciano. In alto, agli angoli, due teste di cherubini completano questa visione di estrema serenità, come se tutto fosse stato enunciato.

L’affresco dell’Assunta, che orna il soffitto dell’omonima sala, di dimensioni maggiori rispetto alla precedente e con due aperture verso il cortile interno dell’edificio,  è il risultato di uno studiato effetto di sottoinsù che coinvolge, oltre alla  Madonna, gli angeli che la circondano. I colori, blu per il mantello e rosso per la tunica, con effetti di cangiantismo, degli abiti della Vergine sono più accesi rispetto a quelli utilizzati per l’affresco della Santissima Trinità, quasi che Pomarancio seguisse un discorso filosofico,  utilizzando una cromia più vivace per una scena la  cui protagonista è una donna reale,  e colori più tenui per una visione di verità rivelata. L’affresco dell’Assunta, pur in buone condizioni, presenta alcune crepe, di cui due che si incontrano proprio sotto il collo di Maria.

Secondo la Barroero e la Giffi Ponzi Pomarancio fu attivo in palazzo Lante tra il 1609 ed il 1610 e  i due affreschi erano stati realizzati per le nozze, celebrate  il 18 febbraio del 1609, tra Marcantonio Lante e Lucrezia della Rovere, i cui simboli araldici ricorrono nelle cornici.

L’artista nella sua Nota referenziale dichiarò di aver lavorato per il cardinale e non per il marchese. Si può pensare che Marcello volesse fare un dono alla coppia, ma i soggetti scelti non sono connessi con la tematica del matrimonio, a meno che il prelato non desiderasse porre la nuova famiglia sotto la protezione della Vergine e della Santissima Trinità. Più semplicemente è ipotizzabile che Marcello facesse decorare il proprio appartamento, mentre gli sposi  pensarono alle sale, da loro abitate.

I confronti stilistici con altre opere certe di Antonio non suggeriscono una datazione più circoscritta. I due angioletti che si abbracciano in basso a sinistra nella rappresentazione della Santissima Trinità sono una variante di quelli che compaiono in alto a destra nella pala con la Pentecoste della chiesa di San Francesco di Città della Pieve, datata 1606, e l’angelo che si affaccia tra le gambe di Cristo e di Dio Padre è un richiamo ad uno degli angeli cantori raffigurati nel catino del duomo della stessa cittadina umbra.

Gli angeli che volano sopra la testa dell’Assunta furono  replicati anche in alcuni episodi delle Storie dell’Infanzia di Gesù nel portico di Santa Maria Nuova a Firenze, del 1613-14 circa, nel girotondo dipinto sulla volta della sala dei paesi di Villa Ludovisi a Roma del 1625, e sulla volta della cappella dedicata a San Filippo Benizi nella chiesa romana di Santa Maria in Via, del 1626 circa.  Va ricordato che le affinità stilistiche tra gli affreschi di palazzo Lante e quelli del ciclo decorativo del portico di Santa Maria Nuova a Firenze avevano già indotto la Cirulli a post-datare la decorazione  delle due sale in questione al 1615. Si ha come l’impressione che Pomarancio avesse eseguito i due affreschi  in  momenti diversi: il primo entro il 1610, il secondo tra il 1613 ed il 1616.

E’ probabile che Marcello, assente dall’Urbe dal 1606, prossimo all’elezione, nel 1616,  a membro della Reverenda Fabbrica di San Pietro, avesse ricontattato il pittore, già attivo per il fratello.  Pomarancio sfruttò  la situazione a suo vantaggio, ricordando questi  lavori alla commissione, di cui faceva parte anche Marcello, preposta alla scelta degli artisti che dovevano abbellire la basilica Vaticana.

A questo punto non resta che fare delle ipotesi circa la destinazione di questi due locali, probabilmente una cappella ed una sagrestia. Non è escluso che il terzo affresco, cui alludeva l’artista nel suo Memoriale, rappresentasse due santi. Nell’inventario dei beni dell’ecclesiastico è infatti ricordato un quadro di Pomarancio, forse un bozzetto preparatorio per la basilica di San Pietro,  con due teste di san Pietro e san Paolo, non a caso patroni di Roma.

E’ dunque possibile che il prelato si fosse rivolto ad un artista già sperimentato, soprattutto in virtù del fatto che Antonio, il quale nell’appartamento di Marcello dimostra uno stile più maturo, è davvero l’autore dei tre affreschi a soggetto mitologico  nelle sale che affacciano su piazza dei Caprettari.

Rita RANDOLFI  Roma 26 Giugno 2022

NOTE

[1] L’elezione al porporato di Marcello suggellava definitivamente i rapporti tra i Lante ed i Borghese, infatti il fratello del Papa, Giovan Battista, aveva sposato Virginia Lante, sorella del neo-prelato.
[2]  R. Randolfi, Palazzo Lante in piazza dei Caprettari, Roma 2010; Nella diocesi di Todi (1607-1625) Marcello fondò il convento dei francescani presso la chiesa di San Pietro di Massa Martana e a  Velletri dotò l’episcopio di un portico e di un atrio.
[3] Il cardinale aveva il titolo della chiesa romana dei Santi Quirico e Giulitta,  risultava protettore dell’ordine francescano e del vescovado di Todi,  e dal 1616 divenne membro della Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro, incarico che conservò fino alla morte, mutando il titolo con quello di Santa Prassede. Tra il 1627 ed il 1641, inoltre, resse le diocesi di Palestrina, Frascati, Ostia, Porto, Santa Rufina e Velletri.
[4] O. Pollak, Die Kunsttatigkeit unter Urban VIII, Wien-Asburg-Koln, 1928, II, p. 73.
[5] L. Barroero, Antonio Pomarancio tra due giubilei: 1600-1655, in “Bollettino d’Arte”, 19, 1983, pp. 1-16; E. Giffi Ponzi, Alcune proposte per Antonio Pomarancio, in “Bollettino d’Arte”, 19, 1983, pp. 17-30; L. Barroero, A proposito di Antonio Pomarancio, in Scritti in onore di Federico Zeri, Milano 1984, pp. 93-102;  B. Cirulli, L’attività di committente del cardinale Marcello Lante: un inventario inedito, in “Roma moderna e contemporanea”, 1-3,  2001, p. 318.