Gemito torna a Napoli; dopo il successo parigino, dal 10 settembre a Capodimonte le opere del “Gavroche dei francesi”

redazione

Dal 10 Settembre al Museo e Real Bosco di Capodimonte Gemito, dalla scultura al disegno a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano (10 settembre – 15 novembre 2020).

La mostra Gemito è un progetto di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è svolta la prima esposizione dal titolo Gemito. Le sculpteur de l’âme napolitaine (dal 15 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020). L’enorme successo riscosso a Parigi, ha restituito alla sua legittima fama internazionale il grande artista di fine dell’Ottocento e alla sua incomparabile abilità nel captare le anime, una delle maggiori sfide del ritratto, che va ben al di là della somiglianza.

Secondo Sylvain Bellenger

“Gemito, poco noto in Francia a Napoli assume le dimensioni di un mito, di una grande figura della leggenda, non nera e ossessiva come quella di Caravaggio, ma tenera, a cui i napoletani si sono affezionati. Un sentimento che nasce dall’ammirazione e dall’indulgenza verso il figliol prodigo, il ragazzo di strada. Gemito fu uno scugnizzo, il Gavroche dei francesi … La miseria, la gloria e la follia, tutti gli ingredienti che la nostra modernità è solita associare all’arte, sono in effetti riuniti in Gemito ….  Questa leggenda, a sua volta, non è certamente priva di conseguenze per il talento di un artista, ma ci ha permesso di rivalutare l’ultimo periodo della sua produzione, i suoi ultimi vent’anni di vita, in cui il disegno diventa scultura”.

La seconda esposizione a Napoli, nella città natale dell’artista, dal titolo Gemito. Dalla scultura al disegno (10 settembre-15 novembre 2020), a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano, invece, si concentrerà più sui due grandi amori della sua vita che sono stati anche le sue muse: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.

Busto di Anna Cutolo
Mathilde in giardino
La vita di Vincenzo Gemito (1852-1929) ha tutti i caratteri della leggenda: bambino esposto, abbandonato dalla madre e depositato nella ruota dell’Annunziata a Napoli il 17 luglio 1852, poi adottato da una famiglia povera, crescerà nelle strade di Napoli a contatto con quegli ‘scugnizzi’ che diventeranno uno dei suo soggetti preferiti.
Circondato dall’affetto dei genitori adottivi, l’artista si forma lontano dalle accademie legandosi ad artisti “ribelli” come Antonio Mancini, Giovan Battista Amendola, Achille d’Orsi ed Ettore Ximenes. Da ragazzo osserva la tradizione locale presepiale delle botteghe di San Gregorio Armeno e la classicità dei reperti archeologici di Ercolano e Pompei esposti al Museo Nazionale di Napoli (oggi Museo Archeologico). Giovanissimo entra come nello studio dello scultore Emanuele Caggiano, poi diventa allievo di Stanislao Lista e Domenico Morelli. Da subito viene riconosciuto come un brillante scultore: il suo Giocatore, scolpito all’età di 17 anni, fu subito acquistato dalla Casa Reale per la Reggia di Capodimonte. A 23 anni vanta una serie di busti di personaggi illustri tra cui Morelli, Verdi e Michetti. Il suo Ritratto di Verdi lo rende famoso e viene invitato ad esporre a Parigi, capitale delle arti europee, dove il suo Pescatore con il suo realismo rivoluzionario provoca uno scandalo nel 1877. La critica grida alla bruttezza, ma il pubblico è entusiasta. La gloria arriva a soli 26 anni in quella Parigi dove arriva con l’amico Antonio Mancini, detto ‘Totonno’, e dove stringe importanti relazioni artistiche e umane con Giovanni Boldini che lo introduce negli ambienti parigini e, soprattutto con Ernest Meissonier, con cui intrattiene rapporti amicali e non solo professionali come testimonia l’intesa corrispondenza epistolare. Dopo l’Esposizione Universale del 1878 Gemito torna a Napoli dove crea, grazie all’aiuto dell’amico barone du Mesnil la fonderia a Mergellina nella quale sarà di grande aiuto ‘Masto Ciccio’, come affettuosamente chiama Francesco Jadicicco, secondo marito della madre adottiva Giuseppina Baratta. Il re d’Italia Umberto I gli ordina la colossale statua di Carlo V per la facciata del palazzo reale di Napoli, poi Un surtout di tavola d’argento. Ma lo spirito di Gemito è indebolito e, passando da una crisi di follia all’altra, sarà rinchiuso prima nella clinica psichiatrica Fleurent e poi si chiuderà in un lungo autoisolamento, per oltre venti anni, nella sua casa di via Tasso. La sua scultura si trasforma e il suo disegno si libera e si espande fino a farne uno dei più grandi disegnatori del suo tempo (es. i ritratti dei figli dell’albergatore Bertolini, esposti ora a Philadelphia). In questa mostra è rivalutata l’ultima produzione di Gemito mettendo in luce i suoi stretti rapporti con altri artisti europei di inizio Novecento. Gemito muore a Napoli nel 1929.

Ufficio stampa. Museo e Real Bosco di Capodimonte; dr.ssa Luisa Maradei 081 7499281; 333 5903471 museoboscocapodimonte@gmail.com