Francesco Zahra. Pittore maltese tra Barocco e Rococò. In mostra a Roma sei dipinti sacri (Basilica di Sant’Andrea della Valle, fino al 16 ottobre)

redazione

Dalla chiesa Arcipretale e Arcimatrice di S.Caterina a Zejtun, sei dipinti tratti da episodi del Vecchio Testamento, opera dell’artista di origine maltese, nome originale Franġisk Żahra,  sono stati presentati a Roma per la prima volta dopo il restauro, nella Basilica di Sant’Andrea della Valle lo scorso 17 settembre alla presenza di autorevoli personalità del mondo politico e religioso, tra cui l’Ambasciatore  Carmelo Vassallo, il cardinale Mario Grech, il Padre generale dei Teatini, Salvador Rodea Gonzalez, il Vescovo ausiliario per il centro storico S.E.R. Mons. Daniele Liberatori, oltre ai funzionari italiani, Daniela Porro e Alessandra Acconci.

Francesco Vincenzo Zahra, Autoritratto

Dell’artista, vissuto sempre nell’isola (Senglea, 1710 – La Valletta, 1773), è nota una monografia in lingua inglese uscita a ridosso del terzo centenario della nascita a firma di  Keith Sciberras, ma l’iniziativa, promossa dall’Ambasciata maltese, con il contributo del Ministero degli Affari Esteri ed Europei e dell’Ufficio della Diplomazia Culturale, nonchè, per quanto concerne l’Italia, con il sostegno dei Chierici Regolari Teatini, del Fondo Edifici di Culto e della Soprintendenza Speciale di Roma, si propone di rendere maggiormente noto al grande pubblico quello che fu l’autentico protagonista dell’arte settecentesca a Malta, mettendo a disposizione degli appassionati ma anche dei semplici osservatori, sei grandi tele, tutte a tema religioso, provenienti dalla chiesa di Santa Caterina a Żejtun (oratorio della Confraternita del Santissimo Sacramento) dove torneranno al termine della esposizione romana.

Una buona parte del merito dell’attuale iniziativa va senza dubbio riconosciuto a Sante Guido e a Giuseppe Mantella, assai noti maestri restauratori, all’avanguardia per tecnica e competenze nel ripristino di opere d’arte e da tempo attivi nell’isola con importanti cantieri di cui hanno scritto anche su questa rivista (ad es. Cfr.  https://www.aboutartonline.com/il-primo-tempo-di-mattia-preti-a-malta-lesperienza-e-le-novita-nel-ciclo-di-santa-caterina-a-la-valletta/ ), capaci quindi certamente di interessare chi di dovere, autorità e dirigenti di settore, nell’ideare e favorire l’evento espositivo, ma soprattutto autori dell’eccellente restauro delle tele in mostra che -come chiarito nel corso della presentazione- ha richiesto un impegno di svariati mesi, nel corso dei quali è stata data la possibilità a chi fosse interessato di osservare dal vivo lo sviluppo e il progredire del restauro.

Come spiegano i due maestri restauratori:

Le opere furono realizzate unendo due o più pezze di tela di canapa, cucite a ‘sopragitto’,  montate sui telai di legno con l’ausilio di chiodini di legno. Come emerso dalle indagini diagnostiche effettuate prima e durante il restauro, la preparazione della pellicola pittorica fu realizzata con colla animale, gesso e polvere di globigerina, la tipica pietra dell’arcipelago maltese”.

A dire il vero, diverse circostanze hanno fatto si che l’idea di una esposizione avesse successo. Perchè si tiene proprio a Roma, e più in particolare, perchè proprio nella Basilica di Sant’Andrea della Valle? La risposta risiede nella circostanza che giusto qui, nella Basilica dei Chierici Regolari Teatini sono state dipinte le Storie di sant’Andrea, tra le opere più conosciute di Mattia Preti, il geniale artista calabrese che dopo le numerose committenze a Roma e in altre parti d’Italia, a Malta avrebbe concluso la sua esistenza (Taverna, 1613 – La Valletta, 1699), lasciando notevoli capolavori, soprattutto le decorazioni nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta, ritenute dalla critica d’arte tra i massimi esiti del barocco eurpeo, peraltro condotte con una tecnica realizzativa non tipica dell’affresco, che proprio Guido e  Mantella hanno a lungo studiato e documentato.

Cattedrale di Mdina

E non è un caso che l’opera più celebre di Zahra sia il soffitto della Sala Capitolare della Cattedrale di Mdina del 1756 raffigurante l’Apoteosi di san Paolo, dove in una articolata struttura architettonica è raffigurata, al centro, la  scena principale nella quale l’Apostolo contempla la Luce Divina sorretto da  angeli mentre ai lati sono tredici figure femminili raffiguranti virtù e allegorie assise tra putti e decorazioni floreali. Si tratta “della più articolata e complessa raffigurazione di ‘architettura con figure’ dopo le Storie della vita del  Battista“,  realizzata, come si è detto, da Preti, poco meno di un secolo  prima, tra il 1661 ed il 1666.

Vero è che Zahra non fu quello che propriamente si deve considerare un seguace di Mattia Preti, per il fatto che non potè ottemperare presso l’artista alcun tipo di alunnato, considerate le date di morte dell’uno e di nascita dell’altro, ed anzi la critica tende oggi a rimarcarne “lo stile personale ed autonomo rispetto ad influenze di pittori esteri, sebbene  assorbite e fatte proprie” tale che il maltese “può essere considerato il primo pittore prettamente maltese apripista a successive esperienze da parte della generazione seguente“.

E tuttavia l’influsso compositivo come pure il richiamo ad un alfabeto pittorico che caraterizzò lo stile del pittore di Taverna sono chiaramente intuibili anche nelle opere dello Zahra. Nè poteva essere altrimenti visto il ruolo di assoluto protagonista che il calabrese svolse nei quarant’anni del soggiorno maltese.

La critica d’arte è senz’altro concorde nel riconoscere come la sua opera a Malta fu tanto ampia e di così grande rilievo qualitativo da produrre oltre che un florido mercato, un’altrettanto vera e proria pletora di seguaci. Non è però ancora ben noto cosa accadde a costoro dopo la scomparsa del maestro, cioè se continuarono ad operare dentro una logica di bottega, o al contrrio se e quando furono capaci di rendersi autonomi; quello che si sa è che le richieste di opere se non di mano quanto meno nello stile del Maestro da parte del mercato furono in qualche modo sempre onorate, se così si può dire; come è stato scritto:

“la bottega de La Valletta aveva un meccanismo consolidato pe replicare le opere. Sappiamo che furono copiati circa cinquanta dipinti, alcuni in tre, quattro o addirittura cinque occasioni”  (Sciberras, 2018).

In questo contesto non si può non accettare che, come una sorta di onda lunga, il linguaggio di Mattia Preti abbia pervaso gli ambienti artistici nell’isola al punto da poter far anche intuire un “nesso ideologico e culturale tra Mattia Preti e Francesco Zahra”, che tinge di un colore ancor più profondo il filo rosso che li unisce e di un significato ancor più impegnativo la scelta di sant’Andrea della Valle – dove per l’appunto appare l’ultimo lavoro romano dell’artista calabrese-  come sede espositiva: una sorta di messaggio che ne enfatizza il valore simbolico anche in termini compositivi.

E basterebbe a questo riguardo concentrarsi in specie sugli ultimi temi da proposti dal pittore di Taverna, su quel linguaggio intriso di un marcato psicologismo nella rappresentazione di personaggi ed ambienti come forse non era accaduto in passato per riscontrare un simile sentire nell’artista di Malta. Si vedano proprio le grandi tele esposte oggi nella chiesa romana, che Zahra dipinse nel 1766 riprendendo episodi veterotestamentari precognitori dell’istituzione della Santa Comunione per l’annesso monumentale Oratorio della Confraternita del Santissimo Sacramento; si tratta di Elia e l’Angelo del Signore,

di Mosè, Aronne e la discesa della manna dal cielo

di Davide e l’Arca dell’Alleanza,

dell’Offerta di Melchisedec del pane e del vino,

di Gedeone e l’Angelo del Signore

ed infine de Il Sacrificio di Noè dopo il diluvio,

peraltro lodevolmente illustrate nei pannelli didattici esplicativi preparati, ci pare di poter dire, con la massima cura.

Le opere sono sei ma l’impianto narrativo naturalmente è unitario ed è come se, partendo dal primo tema, l’artista avesse voluto rappresentare gli stati psicologici all’estremo: l’accentuarsi delle pose, le mani alzate, gli sguardi assertivi, gli occhi perfino stravolti, certe movenze e i gesti, illustrano via via un sentimento pervaso di una religiosità certo interna allo spirito controriformato, nella logica però di una “espressiva teatralità tardo barocca che ebbe in grande successo”,  in virtù di “una sapiente e veloce tecnica pittorica”.

Certamente una  lunga carriera di successo conobbe in patria Francesco Zahra, come dimostrano le decine di opere su tela di grandi e piccole  dimensioni oltre a monumentali dipinti murali che ne fecero un protagonista nella sua isola e ne fanno oggi un artista da rivalutare dentro quel movimento non ancora ben accreditato che fu il Rococò maltese.

P d L Roma 19 settembre 2021