Francesca Fornari: “L’insegnamento è un dono con cui portare nuova consapevolezza nei ragazzi”; intervista di Silvana Lazzarino

di Silvana LAZZARINO

Francesca Fornari, scrittrice e poetessa, counselor e psicoterapeuta in formazione, è un’insegnante convinta che sui banchi di scuola ci si prepara a diventare guide del nostro Paese.

Profonda sensibilità, determinazione e quel sorriso pronto a donare dolcezza e accoglienza in chi la conosce e le è accanto, sono solo alcuni punti di forza con cui Francesca Fornari giorno dopo giorno ha costruito il suo percorso che oggi la porta ad essere una donna coraggiosa e piena di vita. madre premurosa e amorevole, insegnante e scrittrice di successo, con in sé sempre vivo quello stupore con cui lasciarsi catturare anche dagli aspetti più semplici eppure meravigliosi dell’esistenza come lo spettacolo di un tramonto.

Tra gioie e soddisfazioni, riconoscimenti e traguardi importanti raggiunti con impegno, non sono mancate sfide anche dolorose da cui si è saputa risollevare grazie anche quell’amore per sé e per la vita sentita come dono da abbracciare in ogni suo aspetto. Accanto all’insegnamento, cui si dedica da ventisei anni con passione e professionalità, al suo essere madre attenta e protesa all’ascolto di suo figlio e al valore prezioso dell’amicizia in cui crede fortemente, vi è l’aspetto creativo che esprime in particolare attraverso la scrittura quale autrice di racconti, romanzi e poesie dove corrono e si intrecciano le emozioni prendendo nuova vita.

Particolarmente portata per la scrittura, fin da bambina Francesca amava riportare sul suo diario pensieri ed esperienze che la colpivano, unitamente a riflessioni sulle stesse. Questa predisposizione alla scrittura, nel tempo l’ha spinta a comporre non solo liriche di grande forza evocativa, ma anche un romanzo di ampio respiro in cui ripercorre momenti importanti della sua vita, e un saggio sull’insegnamento e sulla responsabilità degli insegnanti nel condurre passo dopo passo gli alunni verso una crescita sul piano conoscitivo, ma anche relazionale.

Nel saggio “In-segnanti. Coloro che segnano dentro” (Armando editore 2021) Francesca, oltre a riflessioni sul complesso e delicato ruolo degli insegnanti specie in questi ultimi dieci anni e su come stare accanto ai genitori in difficoltà nel gestire comportamenti difficili dei propri figli, offre proposte utili per gli stessi docenti da mettere in campo al fine di sostenere in modo sempre più attivo gli alunni a partire dalle classi elementari.

Il punto centrale secondo Francesca è che manca completamente nella scuola un’educazione al funzionamento della nostra mente e della nostra interiorità, conoscenza che non si acquisisce sui libri ma solo grazie a percorsi di consapevolezza dei quali la formazione degli insegnanti è carente. La scuola continua ad ignorare alcuni aspetti fondamentali del nostro stare al mondo come quelli spirituali, di senso, su cui si fonda il nostro stare al mondo in modo pieno, felice, realizzato. Eppure fin dai tempi più antichi ci è stato raccomandato il famoso “Conosci te stesso”.

Parlando di  poesia grande interesse e successo ha riscosso la sua raccolta “Terra di mezzo” (edizioni Porto Seguro)  dove ad attraversare i suoi versi sono sentimenti  contrastanti  tra gioia e dolore, speranza e sfiducia e poi si parla di amore, inganni, legami recisi o mai vissuti, e ancora di destini intrappolati tra il vivere o il lasciarsi vivere, tra  la noia e il divertimento, il coraggio e la paura. Il  suo sguardo attraverso le liriche si volge a scrutare l’uomo che si interroga sul proprio destino dove abitano timori e incertezze, ma anche speranze e attese. La raccolta poetica “Terra di mezzo” mette insieme il bisogno di restare ancorati ad una verità o certezza apparentemente comoda per non perdersi e la necessità di spiccare il volo e lasciare che nuove strade si aprano.

Nelle liriche di questa raccolta si respira un sentire a metà tra la terra e il cielo, il possibile/certo e qualcosa ancora da conquistare e definire. Un testo molto apprezzato in cui la sofferenza viene vista quale percorso con cui accedere ad una trasformazione nell’accogliere con gratitudine ogni aspetto della vita.

Anche con il romanzo “Per novantanove anni” (edito da StreetLib, 2018) Francesca Fornari ha avuto diversi apprezzamenti, per la narrazione scorrevole e lineare e i contenuti intimisti e di grande forza emozionale che guardano ai legami genitoriali in particolare al legame con la madre naturale, mai vissuto.

Diversi e di prestigio sono i premi ed i riconoscimenti ottenuti da Francesca in questi primi anni di carriera letteraria: citiamo a riguardo: il concorso letterario Mamma non Mamma di Neos edizione con premiazione al salone del libro di Torino nel 2015, il premio letterario nazionale di poesia Accendi Le Parole, il terzo posto del premio Donna sopra le righe, il premio letterario internazionale Lupi Editore, la menzione speciale al festival delle lettere di Bergamo e al premio nazionale I sentieri dell’amore.

Silvana LAZZARINO  Roma 22 Maggio 2022

Intervista a Francesca Fornari insegnante, counselor e psicoterapeuta in formazione, scrittrice e poetessa

a cura di Silvana Lazzarino

  1. Come sei entrata in contatto con l’Associazione “Il Valore del femminile” di cui è presidente Virginia Vandini, Sociologa, Supervisor-Trainer, Counselor e Costellatrice immaginale, nonché Custode del Mantra Madre?

Dopo essere stata iniziata al Mantra Madre da Selene Calloni Williams in persona recandomi nel 2017 a Milano, ho cercato custodi del mantra a Roma, la città dove abito, e così ho trovato Virginia e il Valore del Femminile. All’epoca l’insegnamento di Selene non era ancora diffuso come oggi, eravamo solo una quindicina di persone venute da tutta Italia, poi c’è stata una grande opera di diffusione attraverso i social. Il Valore del Femminile da tempo porta avanti questi insegnamenti, infatti ho frequentato per un periodo le pratiche del giovedì sera insieme a donne splendide che sono poi entrate nella mia vita.

  1. La scrittura nelle sue diverse forme dalla poesia al racconto, dal romanzo al saggio, racchiude un forte potere evocativo che permette di dare voce ad emozioni dalle diverse sfumature a volte difficili da esprimere e manifestare. L’atto dello scrivere – a partire dal gesto nel prendere carta e penna o nel digitare sulla tastiera del computer o dello smart phone – accompagna a rievocare quello stato d’animo per accoglierlo e riviverlo sotto una nuova luce maturando rinnovata consapevolezza. Cosa rappresenta per te la scrittura in quanto strumento di aiuto e accompagnamento per esplorare se stessi e quale mezzo per stimolare la creatività?

La scrittura per me è stata l’atto auto-terapeutico per eccellenza che ho portato avanti prima in forma intima e diaristica per poi allargarmi ad esplorare la poesia, il racconto e infine il saggio. Credo fermamente che qualsiasi guarigione delle nostre ferite emotive passi attraverso una nuova narrazione degli eventi della nostra vita. La nostra vita stessa è narrazione e il modo in cui ci rapportiamo ad essa, se da vittime o guide di noi stessi, è ancora un’altra narrazione che ha il potere di cambiare la narrazione stessa. La parola poetica è il mezzo per compiere quest’opera alchemica, contattando quelle ferite e trasformandole, donando loro una declinazione di delicata leggerezza, simile ad una melodia, un canto. La parola è poetica nel senso che compie una “poiesis”, termine che si riferisce infatti al fare creativo vero e proprio, quello dell’artigiano che trasforma, distinto dal fare tecnico (la “tecnè”). La parola non è poetica solo quando è in versi, come siamo abituati a pensare, ma lo è anche in prosa, se dotata di forza evocativa cioè se ci fa sentire emozioni muoversi, se ci rende vivi.

  1. I tuoi motivi di ispirazione per la poesia a cosa fanno riferimento?

Potrei distinguere due fasi successive: in una prima fase d’esordio diciamo che la funzione terapeutica della poesia era più marcata. Avevo iniziato a scrivere versi mentre mi trovavo in un processo di riscoperta di me che era iniziato dopo vicende molto dolorose. In quella fase la loro funzione era appunto di trasformare quelle emozioni difficili: la paura, il senso di impotenza, la fragilità, lo smarrimento. Di recente, dopo molto lavoro su di me e anche attraverso nuovi eventi e nuove persone con le quali sono entrata in relazione, noto che quelle tematiche si sono alleggerite.

Potrei definire quest’ultima la fase delle “piccole cose”, della bellezza nell’ordinario. Trovo poesia in un tipo di luce che caratterizza un momento qualunque della giornata. Sono poetiche le mattine ordinarie, i pomeriggi o anche gli oggetti come “le madonnina degli angoli di strada”. Al posto delle emozioni forti sono ora comparsi stati di più ampio respiro come la compassione, la gentilezza, la serenità.

  1. Il tuo primo libro di poesie si intitola” Terra di mezzo” edito da Porto Seguro. Dal titolo mi sembra già di cogliere quello stare a metà strada tra il desiderio di appartenenza e di libertà, di certezza e mistero attraverso cui provare a capire qualcosa in più di sé, È così? Inoltre le liriche presenti in queste pagine rimandano a al concetto dell’essere come sospeso tra terra e cielo, tra il finito e l’infinito? Questa sorta di sospensione può essere vista come un momento di riflessione per trovare un punto di incontro tra questi opposti?

Non lo definirei momento di riflessione perché la terra di mezzo è in realtà un luogo di non pensiero, proprio perché sospeso tra la mente che pensa e il corpo che sente. Il pensiero è quello che si dibatte tra gli opposti di questo mondo: luce e buio, maschile e femminile, bene e male… Essi ci fanno soffrire se ci schieriamo solo da una parte, se ne vogliamo uno e rifiutiamo l’altro, allora non abbiamo pace. Quando ho scritto quei versi mi sono definita “sospesa, mai ancorata, né troppo azzurra” e sentivo la fatica di questo mancato incontro tra gli opposti di me. Spesso infatti nella mia vita ho percepito bivi feroci che mi costringevano a scegliere una strada o l’altra, strade che sembravano escludersi a vicenda pur rappresentando entrambe una parte di me. Ho vissuto queste tensioni con molta sofferenza, finché ho capito che esiste un momento di sospensione in cui esse possono incontrarsi. Questo punto è la terra di mezzo dei risvegliati, di coloro che hanno imparato ad essere “nel mondo ma non del mondo” per dirla con le parole di Eckart Tolle, un grande maestro spirituale contemporaneo. E’ il punto in cui noi stessi svaniamo, cioè svanisce la mente con la sua abitudine a pensare, a giudicare, a cercare sempre di capire. Sono attimi. Non lo sappiamo ma tensione di tutta la nostra vita è per quegli attimi. Pensiamo a cosa proviamo guardando un tramonto, ciascuno di noi ne ha fatto esperienza: ebbene c’è un attimo in cui c’è solo il tramonto e non ci siamo noi. Pensiamo a un incontro d’amore tra un uomo e una donna e allo svanire in un amplesso: noi non ci siamo. Sono le piccole morti dell’ego, e sono benedette.

  1. Sempre riguardo la raccolta poetica “Terra di mezzo” qual è la poesia che la rappresenta di più? La potresti leggere se sei d’accordo?

Forse “Equilibrista”. La raccolta Terra di mezzo però ha solo liriche della prima fase, quella più densa di emozioni forti.

  1. Oltre a poesie sei autrice di racconti. Quali tematiche affronti in essi?

Tematiche autobiografiche: in “Per novantanove anni” racconto la scoperta della mia adozione avvenuta all’età di 21 anni e la conseguente ricerca della donna che mi ha abbandonata appena nata. Esiste una legge che tutela il parto anonimo e vieta che i figli abbandonati alla nascita possano risalire all’identità della propria madre per novantanove anni. È una vicenda forte che condivido con i figli adottivi che hanno avuto lo stesso destino. Poi in “In qualunque cielo” racconto il viaggio di trasformazione compiuto attraverso il vissuto della malattia oncologica, che mi ha colpita all’età di 39 anni. Nel racconto “Sana o salva” narro l’amicizia profonda con una compagna di quest’avventura così decisiva, un’amica che ora purtroppo ha lasciato il corpo.

  1. Parliamo dell’insegnamento: nel tuo libro saggio “In-segnanti. Coloro che segnano dentro” parli di come nella scuola di oggi manchi un’educazione all’interiorità e inviti a soffermarsi maggiormente sulle emozioni dei bambini. Racconti com’ è la vita dell’insegnante e offri spunti e proposte per creare un clima più adatto all’apprendimento. Me ne vuoi parlare iniziando con il dirmi come è nata l’idea di scrivere un saggio così dettagliato sull’argomento e ricco di suggerimenti con anche esempi di situazioni vissute nelle classi?

Per molto tempo non sono stata attiva nella riflessione pedagogica. Lavoravo e basta, eseguivo gli ordini dall’alto, portavo avanti programmi, organizzavo lezioni cercando di fare sempre del mio meglio ma sentendomi frustrata perché le falle da sempre presenti nel sistema finivano per sabotarmi e non sapevo fare altro che subirle. Il momento in cui ho capito che avevo da dire la mia e che anzi avevo pensieri particolarmente ricchi e originali da condividere è stato un momento magico ed è avvenuto proprio grazie … ad un’insegnante, cioè alla professoressa della materia in cui davo la tesi di master in Counseling relazionale che trattava del disagio nella scuola.

Questa docente anziché impormi delle regole fisse mi fece sentire talmente libera che mi permise di mandarle l’indice addirittura alla fine, dopo aver scritto tutto il lavoro, e quindi facendo il contrario di ciò che avrebbe dovuto fare. Lei capì la mia necessità e cioè che sentivo di avere molto da dire ma che lo schema sarebbe arrivato solo dopo e che dovevo abbandonarmi al flusso, quasi come fanno gli artisti. Destrutturò se stessa e permise a quel lavoro e a me stessa di fiorire.

Quella tesi di master fu il punto di partenza per il mio libro, nel quale ripresi gli argomenti e li trattai con linguaggio meno accademico aggiungendo alcuni incipit poetici e più parti narrative sulla mia personale esperienza in classe. Trascorsi un’intera estate a scrivere. Oggi ringrazio quella docente che mi permise di capire per esperienza diretta quanto noi insegnanti siamo determinanti nell’esprimersi o inibirsi di un talento.

8. Nell’insegnamento oltre alla capacità di comunicare ai bambini diverse conoscenze in modo semplice ed efficace, conta il tipo di relazione che si instaura tra alunno e insegnante in cui quest’ultimo tendenzialmente dovrebbe sempre mettere il bambino a proprio agio facendolo sentire accettato e amato così com’è in assenza di giudizio. Cosa pensi a riguardo e cosa possono fare gli insegnanti di oggi molto più sotto stress e bloccati da regole istituzionali per accompagnare i propri alunni a sentirsi a proprio agio nell’ambiente scolastico?

La chiave è che l’insegnante accetti innanzitutto se stesso e si ami così com’è in assenza di giudizio. Agli insegnanti dovrebbero essere data la possibilità di usufruire di sportelli d’ascolto, psicoterapie di gruppo, sostegno psicologico nelle sue infinite forme per sviluppare questo rapporto positivo con se stesso. I bambini selezionano la persona dalla quale imparano in base a quanto sentono che quella persona sta bene, quanto è per loro emotivamente e affettivamente affidabile. Il canale dell’apprendimento è sempre di tipo emotivo. Credo che la scuola si dovrebbe aprire anche ad esperienze di crescita personale e spirituale, costellazioni familiari, percorsi di presenza, mindfullness e perché no yoga, danza consapevole e tutto ciò che integri il corpo. La dimensione fisica è così dimenticata nelle scuole che sono divenuti monumenti decadenti di un logos ormai sterile e privo di entusiasmo. I bambini sono costretti all’immobilità del corpo per tante ore e gli insegnanti con tutti gli impegni burocratici che hanno è tanto che vadano a fare una ginnastica correttiva di patologie legate alla loro stessa immobilità. Come si può star bene e far star bene gli alunni se non stiamo bene neanche nella nostra pelle, nei muscoli, nelle ossa?

Si tratta per ora di mondi distanti dalle istituzioni che invece rimangono legate ai titoli accademici e che reclutano formatori esclusivamente in base ad essi, col risultato che è opinione diffusa che i corsi di aggiornamento non servano a nulla. Siamo ancora molto distanti da questo ampliamento di vedute, ma quello che già da ora gli insegnanti possono fare per non cadere in burn out è cercare di non perdere il loro entusiasmo lavorando su se stessi soprattutto fuori dalla scuola, coltivando il proprio piacere e ciò che li fa sentire vivi. Dimenticare per quanto possibile le scadenze, le scansioni temporali, i programmi stessi e dedicarsi a ciò che muove il loro eros, il potere creativo, l’unica molla che attiva davvero l’apprendimento.

  1. La scuola si basa su regole e principi cui l’insegnate deve attenersi nello svolgere il proprio ruolo sia nel trasmettere conoscenze, sia nel far rispettare la disciplina, quest’ultima in particolare non sempre facile da raggiungere quando vi sono classi numerose con bambini molto vivaci e insofferenti. La scuola come può sostenere l’insegnante quando si trova in situazioni di difficile gestione?

Questo può avvenire solo nella misura in cui si decide di investire sul benessere degli insegnanti e sulla loro evoluzione come persone. Riusciamo ad insegnare solo ciò che ci appartiene. Ciò che fa la differenza nella gestione dei casi difficili dai disturbi oppositivi provocatori, ai caratteriali, agli ADHD è lo stato interiore dell’insegnante. L’alunno che disturba suscita in noi emozioni di rabbia, impotenza, frustrazione. Il primo passo per cambiare la situazione che ci appare come la causa di sofferenza è cambiare il nostro mondo interno, cioè il modo in cui ci rapportiamo alle nostre stesse emozioni. E’ questa la chiave, il primo passo imprescindibile. Questo non sono solo io a dirlo, anche se posso portare numerose esperienze personali in merito, ma tutta una letteratura psicopedagogica oltre che gli insegnamenti spirituali più antichi e recenti. La scuola dovrebbe investire su qualsiasi cosa faccia sentire meglio l’insegnante, e lo porti a sviluppare un sempre maggiore consapevolezza di sé.

  1. L’insegnante inoltre deve confrontarsi con i genitori dei suoi alunni a volte poco attenti a quanto accade ai figli, o al contrario troppo protettivi e ansiosi. Cosa può fare l’insegnante in questi casi per accompagnare i genitori a stare vicino ai figli per sostenerli affinché non siano troppo remissivi o al contrario rigidi?

L’insegnante non può mai agire sul genitore neanche se vedesse comportamenti palesemente nocivi, ma può allearsi con lui ad esempio attraverso la mediazione di un esperto professionista counselor o psicologo. La tesi di laurea che sto scrivendo è proprio su questa tematica. Insegnanti e genitori devono essere aiutati nella specificità dei loro ruoli e anche insieme per accompagnare i bambini al meglio delle loro possibilità. Uno dei cardini di questo aiuto è l’ascolto attivo e non giudicante in cui ciò che non va è libero di esistere. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare ciò non significa anarchia, assenza di regole, ma dare ai bambini la possibilità di non sentirsi sbagliati. Personalmente ho visto accadere miracoli quando, dopo aver ripetuto all’infinito elenchi di problemi dei bambini che i genitori non volevano/non erano pronti a vedere, ho rinunciato del tutto dicendo: “suo figlio va bene così com’è, sono felice di averlo in classe, non si preoccupi di nulla”.

  1. Durante il Covid la scuola è stata penalizzata anche nel mettere in atto un piano di didattica a distanza molto complesso da sostenere sia per gli insegnanti, sia per gli studenti completamente isolati dai compagni e in comunicazione solo attraverso il computer. Anche il rientro nelle aule ha portato disagi con le numerose quarantene. Quale è stato il tuo stato d’animo nel vivere tutto questo?

Quando siamo andati in lock down avevo la classe terza. La mia esperienza personale con la DAD è stata diversa da quella comune perché posso dire di essermi divertita. L’aspetto tecnologico della didattica mi incuriosiva e così, pur non essendo una specialista in nuove tecnologie, mi sono messa in gioco e ho scoperto tante possibilità intuendo sin da subito che potessero poi essere integrate quando saremmo tornati in aula per rendere la didattica più accattivante. Mi è piaciuto cercare programmi interattivi, quiz, giochi e ho notato che ai bambini queste cose piacevano. Il rovescio della medaglia però è stato il fatto che la mancanza di relazione alla lunga li stava demotivando, rendendoli sempre più passivi. Così appena scattata la fase due, quella in cui ci si poteva spostare, io e la mia collega siamo andati a trovarli tutti allo scopo di ritrovare i loro sguardi e quel calore che si stava perdendo. Quest’azione è stata decisiva, si è creato un legame sempre più saldo con loro e con le famiglie, anche se lo stesso si è incrinato successivamente, quando abbiamo preso una posizione contraria alla maggioranza sulla questione vaccini.

  1. Esistono possibili progetti di “altre” scuole” come le home-schooling che portino i bambini ad apprendere e studiare in modo nuovo, memo confusionario entro un clima di rispetto anche tra gli stessi compagni di classe? Mi riferisco a possibili spazi dove le classi non accolgano più di 5 o 6 alunni e dove, magari vi siano anche attività all’aria aperta quando possibile. Tutto questo potrebbe essere pensato per le scuole primarie di 1 grado?

Esistono e stanno crescendo esponenzialmente da quando nelle scuole si sono moltiplicate le restrizioni, dall’uso delle mascherine alle routine sempre più penalizzanti legate alla pandemia. Questi elementi, uniti a un’offerta culturale ormai ritenuta in molti casi di basso profilo, stanno spingendo molte famiglie a tentare strade nuove e più “ecologiche” anche per la mente. Io stessa ho avuto l’esperienza di una supplenza in una scuola parentale nel periodo di sospensione e mi sono sentita grata di questa opportunità. Ammiro il coraggio di questi outsiders e delle minoranze che hanno il merito di veicolare nel tempo un cambiamento necessario e ormai non più rimandabile. Tuttavia oso anche sognare che le istituzioni stesse prima o poi ne includeranno i principi, rendendosi a loro volta più libere.

  1. Quali sono i tuoi prossimi programmi inerenti alla scrittura?

Sto scrivendo un racconto lungo dal titolo “Usciremo dalla finestra”, che è la promessa che ho fatto ai bambini della mia classe e che è allo stesso tempo simbolica di quanto detto sopra. Inoltre sto lavorando ad un progetto più impegnativo e corposo che getta le basi di una nuova pedagogia basata sulla conoscenza di sé e del funzionamento della propria mente. E’ ora di onorare la voce dell’oracolo!

  1. Immagino tu ti senta soddisfatta di come sei: sia come donna e mamma, sia come insegnante e scrittrice. Ti piacerebbe dedicarti anche alla formazione in cui siano contemplati percorsi di crescita personale rivolti a quanti vogliano acquisire nuove sicurezze nel gestire la propria vita?

Mi piacerebbe rimanere in campo educativo ma per dedicarmi sempre di più alla relazione d’aiuto della triade alunni –insegnanti – genitori. L’esperienza di tanti anni nelle classi, la formazione in counseling, le nuove conoscenze che sto maturando in campo psicologico e il mio percorso di vita ne saranno i cardini.

Ti ringrazio Francesca per aver dedicato questo tuo tempo all’intervista e per aver parlato della tua esperienza di insegnante, un lavoro, o meglio una missione meravigliosa volta a accompagnare i bambini verso il futuro preparati, sicuri e motivati, ma anche fiduciosi nelle proprie capacità.

Silvana LAZZARINO  Roma, 21  maggio 2022