Da artista a mercante d’arte: parla Fabio Falsaperla. Gli artisti, le amicizie, i ‘rilanci’ e le scoperte, di un grande gallerista.

di Lori FALCOLINI

Fabio Falsaperla, artista e collezionista è il fondatore a Roma di una galleria storica d’arte contemporanea: La Nuvola.

Originariamente, lo spazio si affacciava sul cortile di Via Margutta 51, un luogo abitato dal genius loci come tutta la strada che per secoli è stata scelta da artisti che hanno scritto, con la propria creatività, la storia dell’arte. In questa Galleria, Fabio Falsaperla ha organizzato mostre indimenticabili e ha esposto le opere dei protagonisti della Seconda Scuola Romana (Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Mario Ceroli, Sergio Lombardo, Renato Mambor e Cesare Tacchi) e del Gruppo Forma 1 (Achille Perilli e Carla Accardi), un gruppo di artisti “favolosi” con cui ha costruito storie di legami, collaborazione e ricerca. La Galleria La Nuvola ha ospitato più di cinquanta mostre, allargando l’interesse verso nuovi artisti e realtà creative. Oggi, La Nuvola è diretta da Alice Falsaperla, gallerista, curatrice e storica dell’arte.

-Fabio Falsaperla, iniziamo dal tuo essere artista. Come hai cominciato a dipingere?

R: Mio zio Arduino era una guida turistica del Vaticano, un uomo molto colto che parlava cinque lingue ed aveva una mano felicissima, disegnava cavalli. Con mio zio ho iniziato a conoscere la storia dell’arte – a otto anni già mi portava nei gruppi guidati da lui – e ad entusiasmarmi all’arte e al disegno. Anche mio padre, che era un funzionario dell’INPS, disegnava e faceva le caricature di tutti i colleghi. Dipingevano tutti in casa, così io mi sono iscritto al liceo artistico e sono poi diventato insegnante di educazione artistica. Ho insegnato in varie scuole, in particolar modo alla borgata di Monte Spaccato; ero molto amato dai ragazzi a cui facevo fare lavori collettivi, grandi battaglie, oltre a lavori individuali. Insegnavo e dipingevo. Ho imparato ad usare l’olio da Giorgini, un pittore classico che dipingeva bellissimi quadri; non faceva mostre ma vendeva molto. Come pittore sono partito da un approccio surrealistico, poi sono andato avanti nella ricerca pittorica e ho dipinto le prime Donne Meccaniche all’inizio degli Anni Settanta e, successivamente, Pesci e Frutta Meccanica.

Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano (courtesy Farsetti Arte 23 febbraio – 10 marzo 2019)

Avevo lo studio a Via del Pellegrino e mi rifornivo da Poggi così ho conosciuto Mario Schifano, Tano Festa, che lavorava da Sabatini, e poi Franco Soligo, Franco Angeli, Gianfranco Langatta, Tonino Caputo. In un secondo momento, ho conosciuto Cesare Tacchi, Sergio Lombardo, Renato Mambor, poi anche Gino Marotta e Giosetta Fioroni. Nel mio studio, al primo piano, facevamo anche teatro, giocavamo più che altro. Tra noi artisti, c’era un rapporto di amicizia; guardavo come loro dipingevano, scambiavamo quadri; ho regalato a Schifano un quadro della serie Pesci Meccanici quando è nato il figlio. In quel periodo, ho cominciato a comprare i quadri. Schifano con le sue opere pagava il macellaio oppure il conto al ristorante Romolo. E io compravo quelle opere e poi le rivendevo. A via del Pellegrino, c’era l’antiquario Dantoni dove Schifano si riforniva di tutto. Di fronte al mio studio, c’era anche Enrico Sabatini dove Tano Festa dipingeva dalla mattina alla sera, se non stava da Soligo. Anche lì, compravo i suoi quadri che poi rivendevo. Io ho anche fatto mostre importanti ma guadagnavo più con le loro opere che con le mie, così sono diventato un mercante d’arte.

-L’artista, scrive Jung, si muove tra due poli: lo spirito del tempo e “l’inesplicabile” che gli permette di esprimere attraverso le sue opere ciò che verrà.   

R: Gli artisti sono anticipatori dei tempi. Anche le mie Donne Meccaniche anticipavano le tematiche del femminismo, l’alienazione nella sfera familiare o nel ruolo tradizionale; la Frutta Meccanica e i Pesci Meccanici anticipavano lo “snaturamento” di ogni cosa. Anche in senso positivo, però. Io sentivo la trasformazione che poi sarebbe diventata palese in tutti gli ambiti. Pensa a Carla Accardi, alla rivolta femminile nei primi Anni Settanta, alla sua opera rivoluzionaria, il sicofoil, le opere in  bianco e nero. Lei era un geniaccio, io andavo nel suo studio e la guardavo lavorare per ore.

-Qual è stata la tua prima galleria?

R: La prima galleria che ho aperto è stata quella di Via Gregoriana, dove si tenne nel 1987 l’ultima mostra di Tano Festa; vendemmo tutti i quadri in esposizione. L’anno successivo fu la volta di Franco Angeli. Io gli avevo suggerito di fare delle incisioni acquarellate a mano – erano sessanta-  così andai da lui per farle autenticare, insieme ad una bottiglia di Veuve Clicquot in mano, per iniziare bene (ride). Arrivato alla trentesima opera Franco si ferma. “Facciamo trentuno” gli ho detto scherzando, ma lui non ce la faceva più, era malato. Un mese dopo la chiusura della mostra è morto; le copie non firmate, le ho regalate. Quando molti anni dopo dicevo a Mario Schifano, scherzando, che se non mi avesse fatto prima le autentiche io non gli avrei organizzato una mostra, lui faceva gli scongiuri (ride). Nel ’99 ho aperto la Galleria di Via Margutta 49 con Franco Soligo, con il quale c’era un rapporto di amicizia. Lì abbiamo allestito la mostra Gesti Tipici di Sergio Lombardo e quella di Cesare Tacchi, i due artisti su cui io avevo puntato al tempo. Nel 2002 ho aperto la Galleria La Nuvola in via Margutta 51. Il nome l’ho scelto in onore di Tano Festa, con cui eravamo veramente amici: io dipingevo e lui dormiva (ride). Poi, nel 2022, ci siamo trasferiti nella sede attuale, in Via Margutta 41, diretta da mia figlia Alice.

-Cosa significa per te “puntare” su un artista?

R: Prima di diventare gallerista, io sono stato un artista. Il gusto creativo, la sensibilità artistica ed anche la conoscenza mi guidano nel comprendere la genialità di un artista, la tecnica e l’importanza di un’opera. Per esempio, le opere su tappezzeria di Cesare Tacchi oppure i Monocromi o i Gesti Tipici di Sergio Lombardo; come anche Le connessioni invisibili di Renato Mambor. Di fronte all’opera di un artista io sento delle vibrazioni. Prendiamo Afro, per esempio. Mi fanno impazzire i suoi quadri. Sento dentro che un’opera vale. Sai quanti artisti vengono a farmi vedere il loro lavoro? Quando ho organizzato la mostra di Tacchi nel 1999, lui era, in quel momento, accantonato dalla critica, così Mambor e così Lombardo. Io, invece, credevo in loro. La loro era un’arte “forte”. I Gesti Tipici di Lombardo esprimevano la sua genialità, così le tappezzerie di Tacchi che io ho comprato ed esposto. Per la mostra, sono riuscito a trovare la sua prima tappezzeria del 1965! Ho creduto in quelle opere, ho investito su questi artisti. Lombardo mi ha definito “eroe” in un articolo, perché io compravo le opere che esponevo. Rischiavo in prima persona. Così è accaduto per le Carte d’Argento di Giosetta Fioroni e di tanti altri.

-Hai usato spesso la parola amicizia nel rapporto con questi artisti. La relazione e l’empatia sembrano molto importanti nel tuo lavoro di gallerista.

Fabio Falsaperla e Maurizio Calvesi alla mostra Cesare Tacchi. I Guardiani della Primavera Pop 2007

R: Tra noi c’era un rapporto di amicizia e di lavoro. La mostra che ho organizzato per Tacchi nel 1999 gli ha ridato vita, lui era giù di morale a quel tempo… sono stato io a stimolare Tacchi a realizzare una seconda opera ispirata alla Primavera di Botticelli. Lui compose I guardiani della Primavera Pop che poi esponemmo nella mostra del 2007. Questa nuova opera è molto diversa da La Primavera allegra (1965); qui c’è l’indefinitezza sessuale che allude alle trasformazioni del gender. Anche con Mambor, Pratesi o Lombardo sono diventato amico intimo. Lombardo insegnava all’Accademia di Belle Arti e ogni giorno passava in Galleria per chiacchierare. Cesare Tacchi con la moglie Rossana veniva a San Nicola dove avevamo una casa e giocava all’hula-hoop con mia figlia. Ero molto amico anche di Gino Marotta con le cui opere ho organizzato due mostre come per Giosetta Fioroni. Ho tante fotografie di quelle mostre.

Fabio Falsaperla e Mario Ceroli alla mostra Esserci e mai Apparire, 2006

Negli Anni Settanta Calvesi, che ha curato la maggior parte delle mie mostre, mi fece conoscere Mario Ceroli. Quando siamo diventati amici anche con lui, ho organizzato la prima mostra curata da Calvesi, Esserci e mai apparire (2006) esponendo 60 sculture in legno realizzate da Ceroli negli Anni Novanta. Nella seconda mostra, C’ero lì con Pinocchio (2019), curata da Giorgia Calò esponemmo opere inedite di Ceroli. Il rapporto con l’artista è importante per la fiducia reciproca. L’artista deve affidarsi al gallerista che lo porta avanti. È bello essere amici. Lo siamo anche con Mario Graziani fondatore dell’Archivio Afro.

-Quale è il più bell’allestimento tra le mostre che hai organizzato?

Tacchi, Diodato, Mambor, Calvesi, Lombardo, Falsaperla alla mostra Black e White 2009

R: Arte e Cinema d’Artista, la Scuola di Piazza del Popolo, una collettiva del 2004 con opere pazzesche in esposizione. Nel cortile di Via Margutta 51 – (famosa location del film Vacanze romane di Wyler, interpretato da Gregory Peck e Audrey Hepburn n.d.r.) – proiettammo i film di Sandro Franchina, Franco Brocani, Mario Schifano, Giosetta Fioroni e altri. Anche Black & White con le opere di Carla Accardi, Gino Marotta, Fabio Mauri e altri è stata una mostra curata nei minimi particolari. Ci divertivamo a sbizzarrirci.

-Tua figlia Alice Falsaperla oggi conduce la nuova Galleria La Nuvola. Com’è avvenuto questo passaggio di padre in figlia?

Fabio Falsaperla, Patriza Mambor e Alice Falsaperla

R: Lei ha vissuto nell’arte; anche mia moglie lavorava nel campo dell’arte occupandosi di marmi antichi. Fin da bambina Alice ha respirato arte. Io la portavo in Galleria e lei giocava con tutti gli artisti che passavano a trovarmi. Nella galleria di Via Margutta, Alice ha dipinto con Giosetta Fioroni, che l’amava molto, un Teatro esposto poi nella mostra Il teatro della vita (2013). Conservo ancora un disegno a quattro mani realizzato da Alice e da Tacchi: un pezzo lei, un pezzo lui e poi di nuovo lei… Alice ha due lauree, ha scritto due interessanti tesi di laurea sull’opera di Sergio Lombardo e più di cento articoli, è anche curatrice di mostre. La recente mostra L’Impresa e l’Opera con i cinque artisti di Ombrelloni Art Space l’ha pensata e realizzata completamente da zero. Un ottimo lavoro! Nel tempo ha acquisito una sensibilità che le permette di riconoscere la genialità di un artista.

-Come è cambiato il lavoro di gallerista?

R: Oggi, ci sono troppe aste, molti clienti si rivolgono lì direttamente, anche noi ci siamo dovuti adeguare. Prima, il rapporto con il cliente era più “carnale”: il cliente veniva in galleria, si chiacchierava, si parlava dei quadri, si stabiliva un rapporto, un’amicizia.

-Nella “società liquida”, come ha teorizzato Zygmunt Bauman, in cui esperienze, saperi, esistenze si mescolano e scorrono, nell’indefinitezza dell’oggi, qual è lo stato dell’Arte?

R: Ho visto qualche cosa in giro ma oggi non è come negli anni ’60 o ’70. Non c’è quel fervore, quella ricerca, quella sperimentazione, quello stare insieme. Adesso gli artisti sono autonomi, non si appoggiano più ai galleristi. Prima si vedevano da Plinio De Martiis o da altri galleristi,  al bar di Piazza del Popolo. L’artista oggi è cambiato, è un artista ma non è più quello di prima, va da solo nella sua direzione. Non ha più quella forza interiore. Oggi, tutto è artificiale. Ci sono i computer che prima non c’erano; l’intelligenza artificiale è entrata nell’arte. Anche una scultura può essere realizzata con le nuove tecnologie; l’idea parte sempre dall’artista però manca spesso la manualità. All’arte di oggi manca il cuore. Questo è il mio sentire… Anche altri galleristi ci stanno proponendo di rilanciare artisti passati ormai nel dimenticatoio. Guarda questo quadro di Antonio Del Donno oppure questo di Emiliano Tolve che nel ’68 usava la tela militare. Sono curioso di andare a vedere tutte le sue opere per rilanciarlo!

-È necessario uno sguardo giovane per scoprire un nuovo artista?

R: Può darsi che sia così, vedo che mia figlia ha “occhio”.

Lori FALCOLINI  Roma 11 Giugno 2023