“… con indefesso studio apliccavasi nel ricercamento de’ bei contorni”. Il viaggio a Roma di Antonello da Messina, nuove tesi sulla formazione e sull’approdo al Rinascimento.

di Paolo Erasmo MANGIANTE

IL VIAGGIO A ROMA DI ANTONELLO DA MESSINA  ovvero LE VERE FONTI RINASCIMENTALI DI ANTONELLO

                                             Il viaggio  a  Roma  (1458-60)

L’iniziazione pittorica di Antonello da Messina è stata fino ad oggi sbrigativamente riassunta nella formula: impostazione fiamminga, mediata a Napoli da Colantonio attraverso artisti provenzali e valenciani, e successivo rimodellamento rinascimentale da parte di Piero della Francesca.  In questa impostazione il viaggio di Antonello a Roma viene o trascurato o messo in relazione a un ipotetico incontro con Piero della Francesca. Questa formuletta accettata  ormai  pressoché da  tutti gli autori, in verità non appare soddisfacentemente dimostrabile.

A sentire  il Vasari  Antonello “attese molti anni al disegno in Roma” prima di tornare a Palermo e poi a Messina e avendo qui “con l’opere confirmata la buona opinione che aveva il paese suo della virtù che aveva di benissimo dipignere” si reca a Napoli.

Il Summonte parlando di Colantonio al suo collega Michiel, afferma:

“Costui non arrivò ,per colpa dei tempi, alla perfezione del disegno delle cose antique, sì come ci arrivò lo suo discepolo Antonello di Messina”

e in tal modo pronuncia indirettamente un elogio al suo allievo Antonello che si era particolarmente soffermato sullo studio delle cose antiche e, anche se non precisa dove, il sito non era certo Napoli ma sicuramente Roma, dove il Colantonio a differenza di Antonello  “non arrivò per colpa de li tempi”.

In tempi più moderni si è ribadito la necessità di considerare un viaggio di Antonello a Roma ma lo si è sempre messo in relazione alla presenza di Piero della Francesca, che in effetti fu a Roma nel 1459 per attendere ad alcune pitture nelle  camere del Papa, che tuttavia non potevano essere facilmente raggiungibili per un giovane pittore straniero, e che comunque non dovevano aver prodotto un grande effetto se, come è noto, esse furono cancellate e coperte qualche lustro più tardi per far largo agli affreschi di Raffaello.

Più recentemente hanno ribadito la necessità di includere nella biografia artistica di formazione di Antonello un viaggio a Roma per conoscere Piero della Francesca, Federico Zeri e Gioacchino Barbera (1996) il quale a Piero ha aggiunto un altro interlocutore “romano” il Beato Angelico.

E  in verità  a un soggiorno  romano avevano  anche pensato in un recente passato  Rostworoewski (1964), Hyerace (1981) e Sricchia Santoro (1986) e ancora più  recentemente Chatelet (2007), ma sempre nell’ottica di un incontro con Piero della Francesca.

La soluzione del “problema Antonello” è invece un’altra e a quella indirizzano le notizie fornite da Susinno, biografo messinese settecentesco, a cui sinora non è stato dato alcun credito dai numerosissimi critici che si sono occupati di Antonello.

Secondo il Susinno (1724), Antonello

dopo aver fatto stupire in Sicilia  per i suoi dipinti …  non pago di queste prime bozze del suo talento, veniva stimolato dalla gloria a più generose imprese: onde per l’acquisto di esse invogliossi di passare in Roma, città reggia di maraviglie. Ivi giunto attese al discioglimento delle maggiori difficoltà del disegno. Calcando le pedate de’ migliori artefici che in que’ tempi e prima fiorissero: come i lavori di Tommaso di Castello S.Giovanni di Valdarno detto Masaccio, per esser uomo astratto da tutto ed immerso solo nella meditazione della pittura. Ed infatti le opere di costui a fresco in S.Clemente oggi dei P.P.Predicatori di S.Domenico sono state la lumiera. per cui si sono resi illuminati moltissimi giovani nel buon disegno e bella maniera di colorire”   

Pitture che sono lodate anche dal Vasari per cui Masaccio (ma anche Masolino, che spesso viene omesso, ma che in verità figura sempre come  l’impresario dell’allievo Masaccio)

acquistò in Roma fama grandissima avendo ivi fatto a fresco in una cappella della Basilica di S.Clemente la Passione di Cristo co’ ladroni in croce”

Seguire l’asserto del Susinno è risultato assai più costruttivo che non andar dietro alla cieca per le vaghe piste che volevano condurre a Piero, e ha fornito risultanze entusiasmanti.

In effetti le pitture romane del duo Masaccio-Masolino, peraltro assai facilmente visitabili da Antonello nella Basilica di San Clemente e nella Basilica di Santa Maria Maggiore, possono essere state di molto vantaggio a quest’ultimo per un esauriente aggiornamento sulle novità prospettiche, per l’impostazione plastica delle figure e per la resa espressiva dei volti.

La notizia  di questo lungo soggiorno romano negli anni 1458-60 viene confermata da un atto del notaio Azzarello di Messina del 15 gennaio  1460 in cui risulta che il padre di Antonello, maestro Giovanni de Antonio mazono cittadino di Messina, noleggia un brigantino con sei uomini di q equipaggio per andare a Lamantia (l’odierna Amantea) ad aspettare per un periodo di otto giorni l’arrivo di Antonello con la moglie, i figli, il fratello, la sorella, il suocero e gli uomini della servitù con le loro  robe ed arnesi e riportarli a Messina. Non può sorprendere che Antonello avesse con sè l’intera famiglia, se si considera che egli fosse di ritorno da un lungo soggiorno di studio e di lavoro a Roma (e forse anche a Napoli) e che, pur con un seguito così numeroso, si facesse venire a prendere proprio ad Amantea con un grossa nave invece di una semplice feluca.

Amantea, posta sulla costa tirrenica a circa un quarto di via fra Messina e Roma, rappresentava un approdo fisso per le navi che da Messina bordeggiando risalivano la penisola fino alla città eterna sostando nei porti di Amantea, Diamante, Camerota, Napoli, Pozzuoli, Gaeta, Nettuno e foce del Tevere e viceversa. Amantea aveva un porto profondo che poteva accogliere anche navi a grande pescaggio ed era città ricca di smercio della seta, del legname e di altri prodotti agricoli, tutte merci di cui Michele di Antonio, padre di Giovanni e nonno di Antonello, faceva incetta nel suo brigantino sulle coste calabre per venderli poi in Sicilia come ben attesta un atto del notaio Giacomo Guerrera del 1406. Non è quindi difficile supporre che per compensare il lungo e dispendioso viaggio di apprendistato e di studio a Roma, Antonello, il padre Giovanni e forse anche il suocero Cuminella, si siano consorziati per sfruttare sia all’andata che al ritorno il noleggio di una grossa nave e fare, sulle tracce dell’avo Michele, un po’ di sano commercio, come era uso nella società mercantile dell’epoca. Inoltre non si può escludere che Antonello e suo padre Giovanni avessero qualche commissione per una delle numerose chiese e conventi di Amantea, come la chiesa di San Bernardino (prima metà del sec.XIV) o il convento dei frati minori osservanti fondato nel 1436. E’ documentato ad esempio che sia lui che Giovanni fossero legati alle comunità religiose calabresi che avevano stretti legami con le omologhe di Messina, per cui avevano lavorato per il passato.

A Roma Antonello ebbe modo di gustare l’eleganza raffinata del tardo gotico che già flirtava con l’incipiente rinascimento di Pisanello e di Gentile da Fabriano di cui poteva apprezzare il ciclo di affreschi sulla vita di San Giovanni Battista in San Giovanni in Laterano che Martino V gli aveva commissionato nel 1427,ora perduti, dove erano dipinti dei Profeti

“così rappresentati che –secondo Bartolomeo Facio– non sembrano dipinti, ma scolpiti nel marmo”.

Ma  soprattutto nella città eterna Antonello poteva studiare a fondo  il nuovo mondo pittorico rinascimentale nelle opere che Masaccio e Masolino avevano lasciato nelle Basiliche di San Clemente e di Santa Maria Maggiore e  in quelle del Beato Angelico in Vaticano.

Innumerevoli furono gli spunti di studio che Antonello può avere tratto da queste pitture romane di Masolino e Masaccio e del Beato Angelico, bastevoli di per sé a rinnovare completamente il suo bagaglio figurativo e da questa esperienza farne il più convinto assertore del verbo rinascimentale prima in Sicilia e infine a Venezia e nell’Italia intera.                             

                      Masaccio e Masolino e gli affreschi di San Clemente, Roma

Fig.1.Masaccio e Masolino Cappella Branda Castiglioni. Fronte. Roma, Chiesa di San Clemente,.

La grande Cappella Branda Castiglioni affrescata da Masaccio e Masolino nella basilica romana di  San Clemente già di per sé offriva un insieme di pitture capaci di dare un quadro presso che completo del nuovo corso pittorico fiorentino ad Antonello (figg. 1-2-3).

Fig.2 e fig.3. Masaccio e Masolino Cappella Branda Castiglioni  affreschi. Pareti laterali con le storie di Santa Caterina. Chiesa di San Clemente, Roma

Uno dei primi risultati ispirati dagli studi compiuti a Roma da Antonello, tornato in patria dopo il suo soggiorno, deve essere stata la grande ancona della Disputa di San Tommaso d’Aquino in cui mise  a frutto gli insegnamenti di architettura e prospettiva appresi nell’Urbe nella Cappella Branda Castiglioni affrescata dal consorzio Masaccio e Masolino.

La disputa di San Tommaso, eseguita probabilmente negli anni 1460-65 per la chiesa di San Domenico dopo il soggiorno romano del pittore, è andata perduta. Ma dalla descrizione  del Grosso Cacopardo nella sua Guida di Messina del 1826:

“San Tommaso d’Aquino disputa tra i dottori dentro un tempio decorato di magnifica architettura … seduto su un distinto seggio … fra molti vescovi e cardinali … Le fisionomie delle figure sono dei veri ritratti.”

possiamo farcene un’idea, soprattutto confrontandola con una replica o meglio una derivazione di un suo anonimo seguace, ora nel museo Bellomo di Siracusa che, a parte qualche aggiunta, come il San Pietro e il San Paolo ai lati di San Tommaso, rispecchia probabilmente da vicino  l’originale.

A giudicare da questa replica appare chiaro che la sua prima ispirazione è sicuramente nata a contatto della Disputa di santa Caterina coi filosofi  di Masolino, in cui la disposizione dei protagonisti anticipa la positura che assumeranno anche quelli della La disputa di San Tommaso e in cui i  volti  costituivano dei veri ritratti, tanto da indirizzare Antonello a fare altrettanto nella sua opera con i visi altamente caratterizzati dei dottori, dei vescovi e dei cardinali intenti a disputare (figg. 4-5).

Fig.6) Antonello da Messina ( ? ) Schizzi della Disputa di San Tommaso Londra

Una conferma si può dedurre anche dai alcuni disegni preparatori di Londra, dove si intravede in fondo al centro la figura del Santo seduto in una cattedra sopraelevata  e al davanti i  due gruppi di figure della disputa seduti addossati alle pareti laterali (fig. 6).

Ma soprattutto dagli affreschi della Cappella Castiglioni di San Clemente Antonello deve aver avvertito il ruolo che il Masaccio assegnava  allo spazio nella visione di grande apertura della Crocifissione, dove il paesaggio,  partendo dal piano del Golgota degradando lentamente verso l’orizzonte (senza però essere stiacciato del tutto come succede in Piero della Francesca), non turbava la visione del sommo sacrificio del Signore ma, anzi, distaccandola dal tumulto delle genti ne esaltava l’aspetto sacrale (fig.7)

 

 

Fig.7 Masaccio e Masolino, Crocifissione, Basilica di San Clemente.Roma
Fig. 8 Jan van Eyck Crocifissione. Metropolitan Museum of Art, New York

Difficile immaginare quale grande apertura spaziale  può aver suscitato la visione della Grande Crocifissione di MasaccioMasolino in Antonello, abituato alle prospettive fiamminghe.

La grande Crocifissione affrescata da Masaccio sulla parete di fondo della Cappella Branda Castiglioni di San Clemente, è costruita su tre piani distinti, quello a terra per i dolenti e gli armigeri, quello mediano dove si sviluppa  il paesaggio declinante in lontananza e quello superiore dove il Cristo morente si distacca già dal mondo terreno per offrire col suo sacrificio la salvezza a tutto il genere umano.

Questo concetto spaziale, lontanissimo dalle affollate, chiassose e nello stesso tempo anguste versioni verticalizzate, che del sacrificio supremo di Dio in terra  avevano dato finora i pittori fiamminghi (fig.8), rappresenta uno dei frutti più immediati e significativi del viaggio di Antonello a Roma e sta alla base di una serie di Crocifissioni importantissime che, malgrado il loro piccolo formato, rappresentano le composizioni più elaborate e complesse eseguite da Antonello prima della Pala di San Cassiano, la prima delle quali, la Crocifissione del Museo delle Arti Rumene di Bucarest (fig.9), fu elaborata subito al suo ritorno a Messina attorno agli anni 1461-2.

Fig.9 Antonello da Messina Crocifissione 1461-2. Muzeul de Artàal Romaniel, Bucarest

Il canone prospettico del  lento degradare del paesaggio verso il fondo in una vasta visione panoramica adottato da Antonello sin da questa sua prima Crocifissione di Bucarest, inaugurò contemporaneamente  la tradizione, tutta antonelliana, di immergere l’antica storia sacra nel contesto di un paesaggio contemporaneo. Così, in questa prima veduta “fotografica” della sua città, a destra si può osservare il monastero dei Basiliani di San Salvatore, dietro il forte di Metagrifone e al centro un braccio di mare corrispondente in maniera un po’ fantasiosa allo stretto (vedi fig.9).

A proposito di questa prima Crocifissione già il Longhi non si spiegava l’adozione di una prospettiva così lontana da quella fiamminga in un’opera relativamente precoce di Antonello, secondo lui ancora legata nei personaggi alla tradizione fiamminga. La ragione sta  invece proprio nella dipendenza di questa Crocifissione dall’atmosfera prospettica respirata a Roma nella Cappella Branda Castiglione, dove il sacrificio del Signore viene sollevato da terra mediante delle croci altissime, che vengono immediatamente adottate da Antonello, e conservate nei suoi successivi Calvari dove si faranno sempre più alte e vertiginose, a indicare quanto la morte sollevi il Dio fatto uomo da terra per condurlo nuovamente al cielo.

Occorreva porre il punto di vista, non in basso così da vedere il paesaggio salire come fanno i fiamminghi a partire da van Eyck, ma il alto, in modo che il paese degradasse via via in  basso verso l’orizzonte e le croci dei condannati o del solo Cristo crocifisso avessero modo di stagliarsi, non contro un paesaggio ingombro di  folla, ma completamente libere su un cielo aperto e silente, dove la tragedia si compia al solo cospetto dell’infinito. Per ottenere questo significato semantico Antonello si assicura di fornire alle sue Crocifissioni una rigorosa  articolazione spaziale sempre maggiore.

Per accentuare questo distacco Antonello dalla grande Crocifissione di Masaccio e Masolino ha tratto anche il motivo  del San Giovanni isolato dalle Marie poste in piedi al davanti delle  croci in atteggiamento  dolente per collocarlo nella Crocifissione di Bucarest di schiena che cerca con un significativo gesto delle mani di sollevare  le Marie che gli stanno davanti ciascuna chiusa nel proprio dolore. (figg.10,11).

Fig.10 Masaccio e Masolino Crocifissione (particolare) Basilica di San Clemente.Roma
Fig..11. Antonello da Messina Crocifissione (particolare). Muzeul de Artàal Romaniel, Bucarest

I suggerimenti prospettici degli affreschi di Masaccio-Masolino delle pareti laterali della Cappella Branda Castiglioni di San Clemente offrirono puntuali riferimenti anche per altre future composizioni di Antonello, a partire dalle immagini del Sacrficio di Santa Caterina immaginato fra due precipiti quinte  architettoniche che preludono alla soluzione analoga che Antonello adotterà per inquadrare in un paesaggio urbano il Sacrificio di San Sebastiano in cui, oltre alla scorciatissima palazzata sulla sinistra, compaiono dai due lati sulla terrazzata posteriore le stesse figurine che dall’alto di un terrazzo seguono curiose lo svolgersi degli avvenimenti sottostanti (figg. 12-13).

Importanti reminiscenze dell’Annunciazione posta da Masaccio e Masolino nella facciata  della Cappella Branda Castiglione si ritrovano sia nell’Annunciazione del polittico di San Gregorio (fig.15)

Fig .15 . Antonello da Messina. Polittico di San Gregorio.(particolari) Messina. Museo Regionale

e con ancora maggiore evidenza nell’Angelo annunziante della Annunciazione di Palazzolo Acreide che porge il suo annuncio di profilo e con gli stessi gesti delle mani dell’Angelo annunciante di Masaccio e Masolino della Basilica di San Clemente (fig.16-17).

Fig.16 Masaccio e Masolino. Angelo annunziante (particolare) 1 Basilica di San Clemente Roma
Fig.17. Antonello da Messina. Angelo annunziante (particolare) Annunciazione . Siracusa, Galleria regionale di Palazzo Bellomo

Masaccio e Masolino Polittico della Neve Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma

Oltre agli affreschi di San Clemente a Roma Antonello poteva ammirare nella Basilica di Santa Maria Maggiore l’ancora intatto  polittico Colonna del Miracolo della Madonna della neve di Masaccio e Masolino dipinto sia sul davanti che sul retro (fig.18), rappresentante nei tre scomparti anteriori al centro il Miracolo della neve e al lato sinistro San Gerolamo e San Giovanni Battista e al lato destro San Giovanni  Evangelista  e San Martino e posteriormente al centro L’Assunzione della Vergine , al lato sinistro San Paolo e San Pietro e al lato destro San Liberio papa e Mattia ,sembrano dipinti esclusivamente da Masaccio, mentre il resto sarebbe opera di Masolino.

Fig.18.  Masaccio e Masolino La Pala Colonna (già Santa Maria Maggiore,Roma) ricomposta : Davanti : a)San Gerolamo e San Giovanni Battista National Gallery Londra;  b)La Madonna della Neve  c) San Giovanni Evangelista e San Martino. Filadelfia. Collezione Johnson; Retro :a) San Pietro e San Paolo; b) Assunta ;c) San Liberio papa e Mattia . Londra. National Gallery

Ma qui non si venga a obbiettare che la presenza a Roma di Masaccio sia stata marginale nei confronti dell’esecuzione prevalente di Masolino, perché lo scambio di idee e di stile fra i due artisti è stato sempre operativo, nel senso del dare e dell’avere per ambedue, ma soprattutto vantaggioso per Masolino perché tutte le volte in cui i due artisti hanno collaborato, a Firenze nella cappella Brancacci e nella Madonna Metterza e quindi a Roma nella cappella Branda Castiglioni e nel Polittico della Neve, la voce del giovane Masaccio (anche talora quantitativamente minoritaria), si è fatta sempre sentire in prevalenza sul piano stilistico sull’anziano e intelligente Masolino, tanto da renderlo in quelle specifiche occasioni attentissimo alle sue novità plastiche ed espressive e trasformarlo da impresario e maestro quasi in un suo perfetto epigone. E questo è tanto vero che quando  il Vasari visitò il Trittico della Neve, ancora integro in una cappella di Santa Maria Maggiore, in compagnia di Michelangiolo, quest’ultimo, reputandolo del solo Masaccio, lo lodò molto.

Come per gli affreschi del Carmine a Firenze e per quelli di San Clemente a Roma anche per il Trittico della Neve le opere, di cui per maggior fama se ne dava la paternità al Masaccio, in verità erano state commissionate al più anziano maestro, ossia Masolino, il quale per portarsi dietro il giovane e talentuoso Masaccio, lasciando a lui una buona parte del lavoro, rischiava ogni volta di esser surclassato, e pertanto intelligentemente invece di sminuire la bravura dell’allievo si mise lui ad adattare la sua elegante maniera al realismo più tosto e più rude di Maso di Valdarno.

Avviene pertanto che in tutte queste tre grandi imprese pittoriche, stimolato dalla pittura franca e immediata del Masaccio, compare accanto all’allievo il migliore Masolino, il che spiega, non solo il giudizio omnicomprensivo di Michelangelo, ma dà anche ragione del grande impatto che le opere romane di questa  coppia campione della Rinascita possa aver avuto su Antonello. che con loro andava completando l’iniziazione rinascimentale che gli avevano inculcato i grandi trecentisti a Napoli.

Questa duplice formula di eleganza cortese e di dichiarato realismo, che accontentava i  tradizionalisti e nello stesso tempo soddisfaceva gli avidi di novità, ebbe allora molto successo, senza particolari distinguo, come oggi si fa, fra il maestro e l’allievo, il che spiega il giudizio ampiamente favorevole di Michelangelo, che dava l’intera opera al Masaccio, giudizio di cui ora si potrebbe  sorridere, se non si tenesse conto che il polo trainante era pur sempre  l’allievo e non Masolino. Antonello era in grado di apprezzare l’una e l’altra maniera, traendo grande profitto sia dalle rigorose prospettive ed eleganti movenze di Masolino che dei corpi vigorosi e dalle espressioni severe del Masaccio. Come molti sono gli spunti iconografici che Antonello desunse dagli affreschi di San Clemente, altrettante lezioni di prospettiva e di impianto plastico delle figure egli trasse dal polittico Colonna della Madonna della neve.

Il forte influsso della Pala Colonna di Masaccio e Masolino  su il giovane Antonello inizia dalle  tre cuspidi coi Padri della Chiesa, San Gerolamo, San Gregorio e Sant’Agostino, della Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis di Palermo, che sembrano cronologicamente le più antiche  rappresentanze rimaste di un polittico eseguito da Antonello in Sicilia e  si collocano a ridosso dei primi anni sessanta quando ancora  forti sono le reminiscenze romane.

Fig 19 Antonello da Messina. San Gerolamo. Palermo. Galleria Nazionale di Palzzo Abatellis; Fig.20.. Masaccio e Masolino San Gerolamo  (particolare). Londra. National Gallery;  Fig.21.  Masaccio e Masolino Sant’Agostino . Galleria Nazionale di Palzzo Abatellis.   

L’arcaica lavorazione a punzone del fondo dorato di questi Padri della chiesa di Antonello ripete il gusto ancora in voga presso i committenti  dei fondali dei pittori valenziani, ma l’impostazione delle tre figure del disperso polittico antonelliano segue i canoni plastico monumentali dei Santi del polittico della Madonna della Neve di Masaccio e Masolino (vedi figg.19,20,21), del resto stagliati anch’essi su fondo oro.

Nella prima di queste, la figura del giovane San Gerolamo, col viso visto di profilo, mantiene la stessa salda plasticità del San Gerolamo del Masacccio (fig. 20), e, come nel masaccesco San Gerolamo della pala Colonna, l’ampia tesa del cappello cardinalizio con la sua proiezione prospettica fornisce un alto senso di profondità a tutta la figura. E non è certo casuale che il viso assorto e barbuto del Sant’ Agostino  di Antonello sia  specularmente  uguale a quello del San Gerolamo del Masaccio.

Il confronto fra alcuni santi degli scomparti laterali della Pala della neve e i santi del polittico smembrato fra gli Uffizi e le Civiche Raccolte d’Arte di Milano di Antonello chiarisce oltre ogni dubbio il debito che Antonello deve al duo Masolino-Masaccio: tanto che  l’imponente mole monolitica del San Benedetto di Antonello risulta così perfettamente sovrapponibile a quella del San Martino di Masolino da scoraggiare chiunque per avventura ne dovesse dubitare. Le impressionanti figure dei Santi del duo Masaccio-Masolino del Polittico della Neve hanno fornito ad Antonello non solo l’impianto plastico e prospettico  per impostare tutti i santi in piedi delle sue future composizioni fino a quelle della veneziana Pala di San Cassiano, ma  gli hanno anche suggerito la forte espressività dei loro visi,  spunti  preziosi per indurlo ad esternare la loro psiche e il loro volere, come fa alla grande  per i personaggi dei suoi strabilianti ritratti.

Fig.22.Antonello da Messina. San Giovanni Evangelista Firenze. Galleria degli Uffizi; Fig.23. Masolino. San Giovanni Evangelista e San Martino. Filadelfia. Collezione Johnson Fig.24. Antonello da Messina. San Benedetto. Milano. Pinacoteca di Castello Sforzesco.

Dalle immagini delle figure dei Santi di Antonello si riconosce netta la lezione degli imponenti Santi dipinti da Masaccio e Masolino nel suddetto Polittico.

Fig.27  Masolino e Masaccio San Giovanni Evangelista e San Martino. (particolare) Filadelfia. Collezione Johnson.
fig 28 Antonello da Messina. San Giovanni Evangelista.Firenze,Galleria degli Uffizi

Il ricordo più vivo in senso plastico ed espressivo dei modelli dei due pittori toscani Masaccio e Masolino si riscontra nella figura di San Benedetto che riprende alla lettera la  figura di San Martino di cui ricalca l’imponenza scultorea della persona, la medesima gestualità della mano destra, che tiene saldamente ritto il pastorale, e della mano sinistra, che sostiene il libro parzialmente coperto dalla tonaca, nonché l’espressione severa del viso.

Alla stessa maniera il San Giovanni Evangelista di Firenze con il manto rosso tenuto sollevato a piegoni dal braccio sinistro ripete la stessa movenza del San Giovanni Evangelista  di Masolino nel sollevare il suo manto in grandi pieghe da cui fuoriesce un libro come nel sopradetto San Giovanni (figg. 27,28). Il confronto diretto delle immagini è stupefacente e non lascia adito a dubbi di sorta.

Inoltre Antonello, come aveva imparato dai modelli di Masolino e Masaccio, a completarne la maestosa corporatura non trascura di dotare i due Santi, San Giovanni Evangelista e San Bendetto, di un volto dalla forte espressione fornendoli, quasi fossero due suoi ritratti, di uno sguardo diretto allo spettatore col quale si mettono in diretta comunicazione (figg. 25,26).

Fig.26. Antonello da Messina. San Benedetto. Milano. Pinacoteca di Castello Sforzesco
Fig.25. Masolino e Masaccio San Giovanni Evangelista e San Martino. (particolare) Filadelfia. Collezione Johnson.

Le salde figure di Antonello eseguite all’incirca negli anni sessanta del ‘400 sul fondo piatto e metallico dell’oro stonano un po’ per naturalezza, ma, se ancora quindici anni prima un trattamento simile era stato tollerato da  Masaccio nel Polittico Colonna e da Paolo Uccello nella sua Annunciazione, forse su simili fondali poteva indulgere ancora un po’ anche Antonello, che lavorava in una Sicilia dove una committenza non tanto aggiornata gradiva ancora molto certi arcaismi.

E anche se i visi dei santi di Antonello non potranno mai raggiungere la temperie arcigna e drammatica del San Gerolamo del Masaccio o di altri suoi eroi, tuttavia l’aria seriosa e la severità degli sguardi dei personaggi del toscano, dopo questo approccio romano, impronteranno spesso le figure maschili di Antonello (fig.29,30).

Fig.29. Masaccio Cappella Brancacci (particolare) Firenze, Chiesa del Carmine
Fig.30 . Antonello da Messina. Pala di San Cassiano (particolare) Vienna

Lo studio approfondito sul Masaccio si manifestò non solo nell’impianto delle figure, ma anche nei particolari delle geometriche pieghe del panneggio del San Giovanni Battista prese a prestito  sia per  le pliche delle vesti della serie incompleta dei Padri della Chiesa San Gregorio, Sant’Agostino e San Gerolamo del museo palermitano, che per quelle del San Giovanni Evangelista del trittico di Firenze, dell’Annunciata di Siracusa e della Madonna col Bambino del polittico di San Gregorio.(figg.31,32,33).

Fig.31. Masaccio Masolino San Gerolamo e San Giovanni Battista (particolare) National Gallery Londra; Fig.32. Antonello da Messina. San Agostino. (particolare)  Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis Palermo; Fig.33. Antonello da Messina. Polittico di  San Gregorio  (particolare)  Museo Regionale Messina.

Fig.34).Masaccio e Masolino San Gerolamo e San Giovanni Battista (particolare) National Gallery Londra; Fig.35).Antonello da Messina.Pala di San Cassiano. (particolare) Vienna fig.36).Antonello da Messina. Givanni Evangelista (particolare) Firenze,  Galleria degli Uffizi

La mano aperta proiettata in avanti a sostenere il libro del San Gerolamo del Masaccio (fig.34) è stata inoltre un insegnamento prospettico fondamentale che Antonello raccolse e serrò nella sua memoria pittorica per non scordarsene mai nella sua carriera,  così da arrivare a riprodurla nella gestualità identica della Madonna che offre le ciliegie della Pala di San Cassiano (fig.35) e in quella  ancor più significativa dell’Annunciata di Palazzo Abatellis. Non meno istruttiva la prospettiva del libro dello stesso San Gerolamo, presto emulata da Antonello nel vertiginoso aggetto del tomo socchiuso del San Giovanni Evangelista  degli Uffizi (fig.36).

Considerando infine il clipeo dorato del Polittico della Neve, dalla figura perfettamente frontale del Cristo Antonello può aver un avuto un preannuncio del  Salvator Mundi, mentre dalle posa delle mani della Madonna della neve che in certo qual senso preludono quello più allusivo e disteso dell’Annunciazione di Palermo, Antonello può essere stato portato a formulare lo straordinario atteggiamento della sua Annunciata (figg. 37,38).

Fig.37. Masolino La Madonna della neve (particolare). Gallerie di Capodimonte Napoli.
Fig.38. Antonello da Messina. Annunciata. Museo di Palazzo Abatellis, Palermo

Da un punto di vista strettamente iconografico Antonello dall’atteggiarsi della mani della Madonna della neve nel clipeo del polittico Colonna di Masolino (fig.37), la mano destra aggettante in avanti e la sinistra a cercar di  trattenere per pudicizia il velo, può avere avuto uno spunto di come declinare il linguaggio allusivo delle  mani  della sua futura Annunciata.(fig.38).

L’attimo di sorpresa e di smarrimento che ancora smuoveva il viso dell’Annunciata di Monaco, è passato: ora nell’Annunciata di Palermo sussiste una calma interiore, una solennità cosciente, una maturità espressiva che trasmette il suo sguardo, non più rivolto all’angelo o allo spettatore, come vorrebbero alcuni, ma lontano verso il grande destino celeste, di cui è stata appena investita e che il gesto pacato e rassicurante della mano conferma che essa è già nell’atto di accettare la divina gravidanza conscia della sua nuova incommensurabile responsabilità. Un gesto che è anche una risposta definitiva all’annuncio, che non ammette più repliche.(fig.38).

                                           Il Beato Angelico a Roma.

Fig.39 Beato Angelico La predica di Sato Stefano.e particolare Cappella Niccolina, Vaticano.

Il nuovo linguaggio rinascimentale era filtrato a Roma da Firenze anche grazie agli affreschi della Cappella Niccolina del Beato Angelico, che con le sue  ampie e spaziose architetture ambienta le  storie di Santo Stefano e San Lorenzo,  a completare la grande lezione prospettica iniziata da Masolino a San Clemente. Un mondo figurativo tutto da scoprire per Antonello e di cui fare tesoro.

Dalle figure di donne sedute ad ascoltare la Predica di Santo Stefano Antonello ha sicuramente raccolto l’idea di rappresentare seduta la Madonna dolente sotto i Crocifissi di Londra e di Anversa, posa davvero insolita e mai prima osservata per un Madonna affranta dal dolore (fig.39).

Fig,40. Antonello da Messina. Crocifissione.(particolare), Londra National Gallery.  Fig, 41. Beato Angelico.Predica di Santo Stefano.(particolare). Roma, Vaticano, Cappella Niccolina. Fig, 42. Antonello da Messina. Crocifissione. (particolare) Anversa. Musee Royal des Beaux-Art.

L’idea di rappresentare seduta la Madonna dolente sotto il Cristo morente nelle Crocifissioni di Londra e di Anversa, posa davvero insolita e mai prima osservata per un Madonna affranta dal dolore per il figlio crocifisso (fig.40,42 ), Antonello l’ha forse raccolta nel suo viaggio di studio a Roma  dalle figure di donne sedute ad ascoltare La predica di Santo Stefano affrescata dal Beato Angelico in Vaticano (fig.41 ).

                                               PIERO DELLA FRANCESCA  A  ROMA

Fig.43. Piero della Francesca San Luca (1459) Roma Cappella di D’Estouteville.Basilica di S. Maria Maggiore
Fig.44. Maestro di S.Giovanni di Capestrano San Bernardino Roma Chiesa di San Bernardino

Il Susinno quando parla del viaggio romano di Antonello non accenna affatto alle pitture di Piero della Francesca a Roma che, seppure ancora presenti in quel tempo e non ancora ricoperte dagli affreschi di Raffaello, dislocate per la maggior parte negli appartamenti papali in Vaticano, erano di difficile accesso,

Esse erano comunque lontane dal sentire pittorico di Antonello, volto piuttosto alla realtà di Masaccio che all’astrazione di Piero (fig.43). Mentre non si possono dimenticare fra le pitture “romane”che possono aver suggestionato Antonello le solide figure del Maestro di S.Giovanni di Capestrano della chiesa di San Bernardino (fig.44).

                          LA SCOPERTA E LO STUDIO DELLA STATUARIA CLASSICA A  ROMA

L’apporto del Susinno non si arresta alla citazione del Masaccio come fonte di apprendimento di Antonello, ma si completa con la descrizione del suo tirocinio sulla scultura classica, dicendo che a Roma

“spogliava il nostro Antonello i bronzi e i marmi dell’antichità per apprendere da quelli le massime più sode dell’arte e con indefesso studio apliccavasi nel ricercamento de’ bei contorni ch’è la regola infallibile per stabilire una maniera perfetta…”

il che la dice lunga sul raggiungimento di perfetti volumi ottenuti nelle sue pitture da Antonello con la copia scultorea dei marmi antichi (ma anche moderni, come quelli indiscutibilmente studiati del Laurana).

L’assiduità di questi suoi studi sull’antichità classica sembra abbia avuto una immediata applicazione nell’idea di Antonello di rappresentare il supplizio dei  due ladroni della Crocifissione del museo di Bucarest con la mimesi della statua greca del Marsia scorticato appeso ad in albero, di cui esistevano a Roma almeno sessanta  copie d’epoca romana, un esemplare delle quali oggi si trova nella Galleria degli Uffizi (figg. 45,46,47) .

Fig. 45. Arte greca  (copia romana) Marsia appeso per essere scorticato Firenze, Uffizi; Fig.46. Antonello da Messina. Crocifissione (particolare) Bucarest; Fig.47. Antonello da Messina.Crocifissione (particolare) Musee Royal des Beaux Artes. Anversa              

Il rilievo che uno dei ladroni appesi nella Crocifissione di Bucarest sia ripreso dalla statua classica del Marsia scorticato fu fatto da Rostworoewski nel 1964 a piena conferma inoltre di un viaggio a Roma fatto da  Antonello. Si sono in parte avvicinati alla soluzione dei problemi connessi  col soggiorno  romano di Antonello oltre a Rostworoewski (1964), Hyerace (1981), Sricchia Santoro (1986) e Chatelet (2007), senza però che alcuno di loro abbia concentrato l’attenzione su Masaccio e Masolino che sono i veri cardini su cui ruota il volta pagina della carriera di Antonello sin dal 1458-60  e non più tardi.

Il bagaglio di cognizioni “romane” fu tale da emanciparlo totalmente dal mondo tardo gotico che ancora poteva adescarlo nel suo ambiente “meridionale” e renderlo talmente aggiornato sulla cultura classica che al momento di sfruttarla, come si doveva a Venezia, superò tutti in novità e maestria da Mantegna, allo Zoppo, dai Vivarini  a Giovanni Bellini, così da iniziare ad essere chiamato alla corte dei “grandi” come Gian Galeazzo Sforza. E chissà dove sarebbe giunto se  non lo avesse colto una morte tanto prematura.

Lo studio della statuaria greca, tramandata nelle numerose copie di età romana, fu per Antonello un tirocinio fondamentale che integrò lo studio di aggiornamento sulla pittura rinascimentale contemporanea fiorentina e centro italiana che stava compiendo a Roma sugli esempi delle pitture di Pisanello, Gentile da Fabriano, Antoniazzo Romano, Masolino, Masaccio e Beato Angelico e forse anche Piero della Francesca e il Maestro di  Capestrano (figg. 48,49,50).

Fig.48. Prassitele (copia)Hermes con Dionisio. Museo archeologico di Olimpia; Fig.49. Prassitele (copia romana) Apollo sauropide. Museo del Louvre,Parigi; Fig.50.Arte romana, Antinoo coronato d’edera. Napoli, Museo archeologico.

Uno studio che comportava non solo una presa diretta sulle opere scultoree rintracciabili nella città eterna, ma anche un approfondimento  teorico sugli antichi testi come il Canone di Policleto o il trattato di Vitruvio sulla ricerca della bellezza ideale secondo le regole di un perfetto equilibrio delle parti della forma umana, di quella di un edificio o di una città.

La novità del  San Sebastiano di Antonello prende l’avvio dall’applicazione letterale dei canoni suggeriti da Policleto, che prevedeva la figura della statua non più sostenuta , come ancora avveniva negli scultori e nei pittori del passato, in ugual misura da entrambe le gambe, ma solo da una di esse, che ora diventava portante, mentre l’altra , lasciata libera dallo sforzo, si posava senza peso in avanti, una posizione da cui derivava anche la disposizione leggermente ruotata del tronco, delle spalle e delle rispettive braccia per cui la spalla e il braccio che poggiano sulla gamba libera appaiono sollevati, mentre le membra opposte sono libere di scendere più in basso.

La formula di Policleto valida per la statica di una scultura, applicata in pittura da Antonello, mantiene tutta la sua validità, anche sul piano estetico. L’eleganza del tutto naturale della posa,  unitamente alla estrema pulitezza dei contorni corporei rappresentò una novità assoluta in campo pittorico e ne determinò subito un successo incontrastato. In definitiva il San Sebastiano di Antonello (fig.51) si modula esattamente sull’ Heros e Tanathos  di Policleto (fig.52) e l’aderenza della figura del martire al nudo della statua pagana voleva essere tale che  Antonello, per non compromettere  il godimento  estetico del suo corpo apollineo fece sì che tutte le frecce fossero immerse quasi totalmente e perpendicolarmente nelle carni così da sporgere appena, al contrario di quanto avevano fatto tutti prima di lui compreso Mantegna nelle sue lapidee versioni.

Fig.51) Antonello da Messina.San Sebastiano Dresda.
Fig.52) Prassitele (copia di età antonina) Eros o Tanathos Musei capitolini

Per le stesse ragioni al fine di non coprire inutilmente le anatomie ridusse al minimo, quasi a un semplice slip, l’elaborato perizoma di mantegnesca memoria che Antonello aveva mantenuto, insieme alle frecce, nel San Sebastiano nella pala di San Cassano.

Si aggiunga che anche il volto del Santo non più stravolto dal dolore per il patito martirio, ma con lo sguardo rivolto al cielo nella sola speranza della salvezza, si accordava perfettamente ai canoni di serena armonia e di monumentale plasticità che erano alla base  del concetto di bellezza degli scultori greci suoi  ispiratori. In questi termini Antonello fu il primo artista rinascimentale a riuscire a riprodurre in pittura il vero spirito estetico della più elevata scultura greca, e in questo non sarà  superato da nessuno, forse  nemmeno da Raffaello.

Non si sa di preciso quali statue in particolare Antonello abbia studiato a Roma dove sculture antiche non mancavano certo e ognora se ne scoprivano di nuove, ma basta accostare alcune copie romane del solo Prassitele al suo San Sebastiano per capire che un tirocinio su statue antiche ci fu e per nulla superficiale (vedi figg. 48,49,50,51,52) tanto che ad esempio  l’accostamento del Eros o Tanathos  dei Musei capitolini al San Sebastiano non può non stupire e dare una sicura traccia per capire le novità classicheggianti di Antonello a giustificare il  Summonte quando afferma che solo Antonello, e non Colantonio, arrivò “alla perfezione del disegno delle cose antique” .

Il profondo spirito religioso forse inibì ad Antonello di raffigurare scene mitologiche e profane, ma il suo altrettanto forte senso estetico non gli precluse di appropriarsi delle belle forme delle statue pagane per arrivare a quella concezione del bello che vivificasse anche i nudi sacri. E fu così che, grazie a questi studi diretti sulla bellezza della statuaria greca e romana, Antonello si staccò dalle “forme goffe dei goti” ,come avrebbe detto il Vasari, per rivestire i suoi Santi e i suoi Cristi delle forme apollinee dei greci antichi aprendo la strada al classicismo non solo degli artisti veneti come Bellini, Liberale, Cima, Montagnana, ma anche quello più rigoroso del Francia, del Perugino e del sommo Raffaello.

Nella Pietà del Museo Correr  Cristo sta fuori dal sepolcro seduto sulla lastra di copertura in una posizione di tre quarti  con i tre angeli che cercano di sorreggerlo in modo da tenere ritto il suo busto privo di vita (fig,53).

Fig.53. Antonello da Messina.Pietà, Venezia.Museo Correr.

L’idea sembra partire da un disegno di una Pietà del Mantegna (fig.54) dove, oltre alla similitudine dell’insieme della composizione, uno dei personaggi sorregge il corpo di Cristo con una mano sul davanti del torso esattamente come tenta di fare l’angelo di sinistra della Pietà Correr.

Fig. 54.Andrea Mantegna. Pietà. Venezia. Gallerie dell’Accademia,.Gabinetto Disegni e Stampe.

La scena appare impostata su più diagonali e per accentuarne gli aspetti prospettici: le gambe prorompono in avanti mentre lo spigolo anteriore del sarcofago quasi buca la superficie del quadro mentre il piano del coperchio esce di lato; ad accentuare il pathos dell’insieme, le braccia del Cristo, pur sorrette dagli angeli, cadono inermi in basso e in avanti, mentre  le ali divaricate e appuntite degli angeli si spingono in alto e all’indietro. Da questo drammatico groviglio di linee emerge il corpo apollineo di Cristo, colpito in pieno dalla luce che arriva da sinistra, ma con in ombra il lato corto del sarcofago, così da far risaltare il nitore delle gambe che come il busto appaiono levigate nelle carni alla pari di una scultura antica, con lo stesso effetto di nitida tornitura del San Sebastiano.

Con la Pietà del Museo Correr di Antonello da Messina, anche se ora versa in una condizione  deplorevole, dovuta non solo al primigenio stato di non finito, ma anche alle incongrue e drastiche puliture che ne hanno reso ancor più difficile la lettura, si ha ugualmente l’impressione di essere di fronte a un vero capolavoro, sia per l’eccezionale invenzione compositiva sia per la carica di pathos, che tuttora malgrado tutto, sprigiona.

Gli angeli, con le ali divaricate nel cielo come tante braccia aperte e disperate, col pianto e la disperazione che emana dal loro viso e con le mani che cercano di sorreggere il corpo morto del Cristo, formano  una corona di affetti così stretta, premurosa  e disperata che difficilmente se ne riscontra l’uguale nelle composizioni di Giovanni Bellini. L’indirizzo classicista emerso nel San Sebastiano è presente anche nella figura del Cristo morto che richiama nell’impostazione in posizione seduta sul sarcofago con la testa reclina e le braccia abbandonate in termini certamente più drammatici quella del bassorilievo d’epoca adrianea dell’Endimione dormente dei Musei Capitolini di Roma (fig.55), mentre nelle sua levigatezzala scultura del Gallo morente dei Musei Capitolini che, sia che Antonello l’abbia potuta vedere o meno, dà comunque la misura di come per il pittore messinese la pulita e scultorea tornitura del corpo profano delle antiche sculture greche si addica perfettamente  anche alle figure di  composizioni sacre altamente drammatiche (fig.56).

Fig.55.Endimione dormente (epoca adrianea II sec,d,C.) Roma, Musei Capitolini.
Fig.56. Gallo morente (Copia da originale greco del III sec.) Roma, Musei Capitolini.

Anche nell’ultima Pietà del Museo del Prado il corpo del Cristo continua ad essere pittoricamente plasmato secondo il nuovo corso apollineo inaugurato col San Sebastiano, sull’esempio delle sculture di Policleto e Prassitele studiate a Roma (fig.57).

Fig.57. Antonello da Messina. Pietà . Madrid, Museo del Prado
Fig,58. Marco Zoppo. Cristo morto sorretto dagli angeli, chiesa di San Giovanni Battista, Pesaro 

Le figure delle sue due ultime Pietà, tornite e levigate come statue classiche dei più raffinati scultori greci nella loro più elevata perfezione formale non fanno rimpiangere il pur possente senso plastico dei nudi “pietrosi”del Mantegna a cui Antonello si era in un primo tempo rivolto per  plasmare il San Sebastiano della Pala di San Cassiano. Col San Sebastiano per la chiesa di San Giuliano e poi coi suoi Cristi in pietà Antonello spazzò via ogni vecchia forma aguzza e squamosa per aderire in maniera strepitosa alle forme naturali e vagamente idealizzate del mondo ellenico.

Che Antonello sposi tale perfezione “profana” al dramma religioso della passione per esprimere il suo aspetto doloroso e salvifico insieme, rientra nell’adozione del concetto ellenico della Kalos Agatia (καλοκαγαθία) per cui il bene non può identificarsi che col bello. Per lo straordinario legame fra la bellezza esteriore e l’interiore religiosità che emana dalle figure del San Sebastiano e soprattutto dei Cristo in Pietà la bellezza formale diventa simbolo dell’elevato messaggio morale che vuole esprimere l’immagine, ed equivale a tradurre in musica le parole di questo assunto poetico.

Paolo Erasmo MANGIANTE  Genova  13 Novembre 2022

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