“Colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” ; il paradosso di una normativa che -non- tutela il mondo dell’arte

di Leonardo ROCCO

L’Avv. Leonardo Rocco (Roma, 1992) è un professionista specializzato nel diritto penale, con particolare attenzione al campo dell’arte e alle possibili ipotesi delittuose ad esso connesse. Laureato in giurisprudenza a pieni voti all’età di 23 anni é iscritto dal 2018 all’albo degli avvocati di Roma. Lavora presso il prestigioso studio legale di famiglia, con sede a Roma ed attivo dal 1930 in Italia, ove rappresenta la quarta generazione. Ha già trattato numerosi processi nel campo penale dell’arte con valenti risultati. Ha un’innata passione e dedizione per la sua professione. Con questo articolo inizia la sua collaborazione ad About Art.

Colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” nel mondo dell’arte

Il principio giuridico dell’oltre ogni ragionevole dubbio, di origine angloamericana, è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la legge n. 46 del 2006, che ha modificato l’art. 533 c.p.p., il quale attualmente al primo comma statuisce che: “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Quanto all’oggetto della prova di siffatta colpevolezza, la stessa deve riguardare l’accertamento del fatto, delle eventuali circostanze e della responsabilità dell’imputato e, qualora il quadro probatorio risulti incompleto, non può essere emessa una sentenza di condanna, atteso che la condotta addebitata all’imputato debba essere provata per intero – oltre ogni ragionevole dubbio – poiché in tal caso si deve procedere ad una sentenza di assoluzione ex art. 530 comma secondo (insufficienza o contraddittorietà della prova).

Fatta questa necessaria premessa, nella maggior parte dei casi processuali riferibili al mondo dell’arte e, quindi, ad esempio nelle fattispecie criminose della contraffazione di opere d’arte ex art. 178 c.b.c. e della ricettazione ai sensi dell’art. 648 c.p., non vi sono elementi univoci che conducano ad un giudizio di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Non ci dimentichiamo che in questo settore ognuno “dice la sua”, ossia esprime il proprio parere scientifico e tecnico su una determinata opera d’arte, e molto spesso non vi è univocità nel classificare la stessa quale falsa o autentica dalla pluralità degli esperti.

In particolare mi riferisco all’ipotesi delittuosa di cui al punto b), c) e d) primo comma dell’art 178 c.b.c., che punisce “ b) chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico; c) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti, indicati alle lettere a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti; d) chiunque mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizione di timbri od etichette o con qualsiasi altro mezzo accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere od oggetti indicati alle lettere a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti”.

Orbene, come può allora configurarsi un giudizio di colpevolezza qualora un cittadino intenda porre in commercio un proprio dipinto, ad esempio, che gli è stato autenticato da un esperto d’arte oppure, viceversa, lo stesso esperto qualora esegua una stima di autenticità, offrendo un proprio giudizio professionale?

È evidente che nel caso di specie vi sia una lacuna normativa poiché, interpretando la norma della “colpevolezza ogni oltre ragionevole dubbio”, il cittadino proprietario dell’opera e l’esperto d’arte sic et simpliciter non dovrebbero in alcun modo venire condannati in un ipotetico processo che li vede imputati. Il primo perché sotto il profilo dell’elemento soggettivo, qualora sia in possesso di un expertise che attesti l’autenticità della propria opera, è chiaro che intenda trarre benefico da quest’ultima poiché possiede una certificazione e crede di porre legittimamente in commercio o in circolazione l’opera de quo. Nella fattispecie suddetta mancherebbe il dolo, ossia la volontà delittuosa riferibile alla condotta suindicata, poiché il soggetto crede che l’opera non sia contraffatta. Quanto al secondo – l’esperto d’arte – lo stesso opera un proprio giudizio personale e professionale sull’opera, che non può in alcun modo formare oggetto di contestazione poiché trattasi di un parere, condivisibile o meno.

È chiaro altresì che ci riferiamo ad opere non recenti, di cui non si ha contezza diretta della realizzazione (perché ad esempio l’autore non è più in vita) e raramente può sussistere la piena certezza, essendovi sempre un’alea di errore nella valutazione.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, in un mondo come quello dell’arte ove vi possono essere pluralità di opinioni, come spesso avviene, ovvero opere per le quali da alcuni è riconosciuta l’autenticità, da altri invece è negata, come si può giungere ad un giudizio di condanna se teniamo conto del principio giuridico della “colpevolezza ogni oltre ragionevole dubbio”, che è alla base del nostro ordinamento?

Nelle sopra richiamate fattispecie i suddetti soggetti dovrebbero essere prosciolti il prima possibile, onde evitare inutili e dispendiosi processi.  L’esperto d’arte, di certo, seguendo il principio giuridico di cui in epigrafe, dovrebbe essere lasciato libero di operare senza il timore di ricevere un avviso di garanzia, al fine di non “ingolfare” inutilmente i procedimenti giudiziari e rallentare l’economia che ruota attorno al mondo dell’arte, sempre che lo stesso svolga il proprio lavoro con la necessaria diligenza e buona fede.

Avv. Leonardo ROCCO    Roma 8 marzo 2020

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