Chiusa a Forlì la mostra sui ruggenti anni del DECO’ Italiano

di Giuseppe BERTI

 

Con l’ Esposizione “Art Déco, gli Anni ruggenti in Italia” (17 febbraio- 18 giugno 2017)  i Musei di San Domenico di Forlì hanno concluso felicemente un intenso ciclo di mostre che in pochi anni -come ha sottolineato con legittimo orgoglio Antonio Paolucci, Presidente del Comitato Scientifico- ha affrontato  e analizzato, attraverso un largo spettro di indagini, la storia della Modernità artistica in Italia.

E dunque, dopo le ultime  rassegne su quel Liberty e quel Novecento che al concetto di Modernità hanno offerto il proprio originale contributo, non poteva mancare una mostra sull’Art Dèco italiana che di questa Modernità è stata attenta e raffinata interprete; in sintonia  del resto con quel gusto glamour che negli Anni Venti del secolo scorso fu moneta corrente in Europa enegli Stati Uniti, non solo nelle arti applicate, ma, anche, nelle cosiddette arti maggiori: architettura, pittura, scultura.

Uno stile internazionale, dunque (come internazionale era stato d’altra parte anche il movimento del Liberty di cui l’Art Déco, esasperandone e nello stesso tempo vanificandone i motivi, può essere considerata un’estrema e radicale propaggine) che inizialmente fu conosciuto come “Stile 1925”. Faceva riferimento, quel termine, all’anno in cui si tenne a Parigi l’Exposition Internationale  des Arts decoratifs et Industriels Modernes, rassegna  davvero epocale  dalla quale venne poi mutuata, ma solo negli anni Sessanta a seguito della rivalutazione di quel gusto così particolare ed eclettico, la fortunatissima formula Arts    Déco.   

Uno stile e un gusto cosmopolita, si diceva poc’anzi,  che in Italia ha avuto peraltro una sua precisa e talentuosa identità; prima epifania  come sostengono in molti, del nostro celebratissimo Design, nonché  del nostro altrettanto celebre brand del “Made in Italy”.

D’altra parte, l’Italia potrebbe persino arrogarsi il diritto di essere annoverata fra i padri fondatori di questo stile, non fosse altro per quelle Biennali Internazionali di Arti decorative che si tennero a Monza dal 1923 al 1930 (che poi aprirono la strada alle gloriose Triennali Milanesi) dove agirono, con una produzione felicissima di  opere e di manufatti, i grandi protagonisti  di quella frenetica, straordinaria stagione: gli Anni Venti , i Roaring Twenties avrebbero detto gli americani, gli Années folles avrebbero detto i francesi,  ovvero quei ruggenti e sfrenati anni tra il 1919 e il 1930 “vissuti alla grande” dalla borghesia dell’Occidente mentre la Storia disegnava, tra guerra, rivoluzioni e inflazione, l’orizzonte cupo dei totalitarismi.  Del resto la stessa Storia si sarebbe ben presto incaricata di ridimensionare quell’eccesso di joy de vivre e di ottimismo con la drammatica crisi del 1929, ma non vi è dubbio che quella manciata di anni, spesi nella ricerca del lusso e di una piacevolezza del vivere, sia servita a fondare un nuovo sistema espressivo e di gusto.  A cui pure l’Italia diede il suo decisivo contributo.

Anche nel nostro paese, infatti, il fenomeno Déco segnò con dirompente vitalità gli anni Venti attraverso una feconda e vigorosa produzione di arredi, ceramiche, vetri, metalli lavorati, tessuti, bronzi, stucchi, gioielli, argenti, abiti (a proposito -si diceva prima- del Design e del Made in Italy); per non parlare della pittura e della scultura ove l’originalità e la raffinata bellezza delle soluzioni si fonda su un perfetto equilibrio tra Modernità e Ritorno all’Ordine.

Ecco, la Mostra di Forlì è stata dunque il teatro dove è andato in scena questo affascinante spettacolo  articolato su numerosi atti ed intermezzi. In cui la protagonista, l’Art Déco, ha recitato al meglio la sua parte sciorinando un eclettico ed ampio repertorio di linguaggi e di forme: dalle suggestioni dell’Arte egizia e Precolombiana a quelle dell’Oriente; dalle fascinazioni per i Balletti Russi a quelle per le  Secessioni mitteleuropee; dalla rivisitazione di certo Espressionismo, Cubismo e Futurismo (Depero e Balla in primis) agli echi della  Metafisica e del Realismo magico … insomma, è andato in scena a Forlì il Gran Teatro del Mondo (borghese) con  la sua infinita varietà di forme che, nel primato delle arti applicate,  trova il suo illustre precedente solo nell’ Arte Barocca.

E i nomi dei coprotagonisti? Un elenco lunghissimo e nobile  che riempirebbe una pagina intera, Gio Ponti, Marcello Nizzoli,  Guido Andlovitz,  Galileo Chini, Piero Portaluppi,  Umberto Brunelleschi, Arturo Martini, Alberto Martini, Adolfo Wildt, Thayaht, Francesco e Carlo Rizzarda,  Vittorio Zecchin, Guido Cadorin,  Fortunato Depero, Giacomo Balla,  Libero Andreotti,  Luigi  Bonazza, Mario Cavaglieri, Mario Tozzi, Anselmo Bucci, Giorgio  De Chirico,  Felice Casorati, Duilio Cambellotti,  Marcello Piacentin

Qui ci fermiamo per non intasare troppo lo spazio a nostra disposizione. Anche perché ci sarebbero altri protagonisti  da citare, questa  volta  stranieri, a cominciare da Tamara di Lempicka che intrattenne un breve quanto malizioso rapporto con D’Annunzio,  vate anche  del gusto déco, di cui la mostra presenta, tra molte altre cose,  uno stupefacente, sontuoso “gioiello”: una Isotta Fraschini del 1931, Tipo 8B, che fu  l’automobile più desiderata e vagheggiata dell’epoca.

 di Giuseppe BERTI  Forlì giugno 2017