Carthago. Il Mito Immortale in mostra al Colosseo (27 settembre – 29 marzo)

di Nica FIORI

Una visione nuova di Cartagine, diversa da quello che era il nostro immaginario collettivo, emerge dalla mostra “Carthago. Il mito immortale”, che si tiene fino al 29 marzo 2020 nel Parco archeologico del Colosseo, tra il Colosseo (sede principale) e il Foro Romano (Tempio di Romolo e Rampa Imperiale).

Una potenza, quella di Cartagine, che esercita la sua influenza per secoli nel Mediterraneo e su tutta l’area nord-occidentale dell’Africa e il cui nome (che in fenicio vuol dire “la città nuova”) si ritrova nella spagnola Cartagena, fondata dalla famiglia Barca (quella di Amilcare, Asdrubale e Annibale) nella penisola iberica, dopo la perdita delle colonie in Sicilia e Sardegna in seguito alla prima guerra punica.

La mostra vuole andare oltre le vicende a tutti note delle guerre puniche e di Annibale, mettendo in luce gli articolati rapporti tra Cartagine e Roma e, soprattutto, il ruolo decisivo di queste due potenze nelle dinamiche politiche e commerciali del bacino del Mediterraneo”,

ha affermato la Direttrice del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo, curatrice della mostra insieme a Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Angel Zamora Lopez, con Martina Almonte e Federica Rinaldi.

Ricostruzione virtuale del porto di Cartagine © Punto Rec Studios

Più esattamente il percorso narrativo si snoda dal IX sec. a.C. al VI sec. d.C., partendo dalle origini orientali, ovvero dai Fenici, e in particolare dalla città di Tiro, cui si deve la fondazione di Cartagine sulla costa nordafricana (presso l’attuale Tunisi), alla storia della città e dei suoi abitanti, agli scontri con Roma, che iniziarono dopo un lungo periodo di convivenza pacifica sancito da più trattati, alla sua distruzione avvenuta nel 146 a.C. e alla rifondazione della città nel 29 a.C. come Colonia Concordia Iulia Carthago da parte di Ottaviano, non ancora Augusto, e alla sua successiva cristianizzazione, che si inserisce in un tessuto culturale e sociale molto sviluppato: basti pensare a personalità del calibro di Apuleio, Tertulliano, San Cipriano.

Corazza in bronzo doratoTunisi Museo dl Bardo

Ancora oggi il nome di Cartagine evoca quello di una civiltà esotica e inquietante, secondo una visione che abbiamo ereditato dalla tradizione letteraria classica. Si tratta in gran parte di una storiografia di parte, nel senso che è stata scritta dai vincitori che ovviamente tendevano ad accentuare la crudeltà dell’odiato nemico. Ed è proprio un simbolo di quella “presunta” crudeltà che accoglie i visitatori. Si tratta della statua di Moloc, il mostruoso dio divoratore di bambini, ricostruita basandosi sulle immagini del film muto Cabiria del 1914 di Giovanni Pastrone, sceneggiato da Gabriele D’Annunzio. In realtà Moloc non è mai stato adorato dai Cartaginesi, come ha precisato Paolo Xella nel corso della presentazione: si tratta di uno di quegli stereotipi tardi a morire, un’entità del tutto immaginaria, resa celebre da Gustave Flaubert nel suo romanzo Salambô, di fatto una rielaborazione moderna di una divinità cananea citata nella Bibbia.

Gli scavi archeologici hanno dato della civiltà di Cartagine una visione diversa, che supera gli stereotipi tradizionali, e che ci affascina con i suoi manufatti, provenienti dalla Tunisia, dal Libano, dalla Spagna, da Malta, dalla Sicilia e dalla Sardegna, oltre che da musei nazionali.

Sono in mostra 409 opere, che consentono di ricomporre un quadro aggiornato rispetto alle precedenti mostre italiane sui Fenici. Sono esposti per la prima volta i rostri bronzei relativi alla battaglia navale delle Egadi (241 a.C.),

I rostri delle Egadi
Rostro con decorazione di Vittoria alata, dalla Egadi

vinta dai Romani, che segnò la fine della prima guerra punica. I reperti furono rinvenuti nelle acque dell’isola di Levanzo nel corso delle indagini condotte dalla Soprintendenza del Mare siciliana sotto la direzione di Sebastiano Tusa. Ed è proprio a quest’archeologo (che è stato assessore ai Beni culturali per la Regione Sicilia), morto il 10 marzo 2019 nell’incidente aereo del volo dell’Ethiopian Airlines diretto a Nairobi, che viene dedicata la mostra.

Come accade spesso nell’antichità, la nascita di Cartagine è legata a un personaggio mitico, quello di Didone (Elissa in fenicio), a noi noto dall’Eneide di Virgilio, che avrebbe fondato la città dopo la sua fuga da Tiro. Sempre dal mito di Didone deriva la spiegazione del nome del vecchio nucleo della città, Byrsa (“pelle di bue” in greco), perché, avendo ottenuto dal re Iarba il permesso di stabilirsi sulla costa libica prendendo tanto terreno quanto ne conteneva una pelle di bue, Didone avrebbe tagliato la pelle in striscioline sottilissime che avrebbe messo in fila così da ottenere un territorio tutt’altro che piccolo. Tradizioni minoritarie parlano invece di altri personaggi, provenienti sempre da Tiro. La fondazione viene ad essere collocata prima della guerra di Troia (quindi nel II millennio a.C.) e più spesso all’ultimo quarto del IX sec. a.C.: una data più compatibile con l’evidenza archeologica finora individuata.

Pendente con testa maschile, pasta vitrea, Cartagine, Museo Nazionale
Sarcofago della Sacerdotessa alata

Numerosi oggetti d’arte ci colpiscono in mostra, come i preziosi manufatti in pasta vitrea, tra cui i pendenti raffiguranti volti umani – del resto l’invenzione del vetro è attribuita ai fenici, come pure quelle della preziosa porpora, ottenuta dalla conchiglie del murice, e dell’alfabeto – i gioielli d’oro  e soprattutto le sculture.

Il sarcofago, detto “della Sacerdotessa alata”, è di una bellezza straordinaria: proviene da una necropoli di Cartagine ed è datato al IV – III secolo a.C. La sacerdotessa raffigurata sul coperchio ha un’acconciatura che ricorda quelle egizie e reca in una mano una colomba. Se non fosse per il seno appariscente, evidenziato dalla veste drappeggiata, potrebbe sembrare un angelo, le cui ali s’incrociano sul corpo, lasciando scoperti i piedi.

Statuetta femminile e Bes

Altre sculture realistiche, tra cui alcune femminili e quella di un bambino, si alternano ad altre di divinità, come Melqart, equiparato al greco Eracle, e una dea leontocefala che ricorda la Sekhmet egizia, ed è sempre all’Egitto che pensiamo davanti ad una statua di Bes (divinità dall’aspetto di mostruoso nanerottolo), proveniente dalla Sardegna. Evidentemente i punici e gli egizi erano in stretto contatto e alcune cose potevano passare da un mondo all’altro.

Pendente con Occhio di Horo, Cartagine, Museo nazionale
Medaglione con urei e disco solare, Mozia

Un certo scambio si aveva anche con gli Etruschi: ce lo ricordano in mostra le tre lamine d’oro di Pyrgi (l’antico porto di Cerveteri, presso Santa Severa), le cui iscrizioni in fenicio ed etrusco, risalenti al V sec. a.C., contengono la dedica di un luogo sacro alla dea fenicia Astarte, che è Uni per gli Etruschi. Cartagine mantiene culti e riti della madrepatria, ma con forme a volte caratteristiche. Specifici del mondo punico sono i riti del tofet, connessi alla fecondità e fertilità, che prevedevano sacrifici di bambini (ma non vi è certezza, perché i resti ritrovati potrebbero essere quelli di neonati morti per malattia) e di animali. Destinatario dei riti è Baal Hammon, insieme alla sua sposa Tinnit (un tempo nota come Tanit), il cui segno distintivo, presente su molte stele, sembra quello di una figura umana estremamente stilizzata (un trapezio sovrastato da un cerchio e con due linee che ricordano le braccia).

Nella sezione dedicata ai rapporti tra Cartagine e Roma, oltre ai già citati reperti relativi alla I guerra punica (264-241 a.C.), grande importanza viene data al personaggio di Annibale, protagonista della II guerra punica (264-241 a. C.).

Busto maschile detto Annibale del Quirinale (copia moderna), dal Quirinale
Busto detto di Scipione l’Africano, Napoli, MAN

All’ostilità nei suoi confronti, a Roma si accompagna la tendenza a riconoscerne il valore, anche perché così si rendono più giustificabili le sconfitte subite. La II guerra punica si conclude in Africa, a Zama,  con la vittoria dei Romani guidati da Scipione l’Africano. Ma la successiva ripresa di Cartagine spaventa Roma a tal punto da far scoppiare un’altra guerra. Celebre è l’episodio del cestino di fichi, provenienti da Cartagine e ancora freschi, che Catone il Censore portò in senato per dimostrare la vicinanza del nemico, incitando i Romani, come era solito fare, alla distruzione della città (Carthago delenda est). La III guerra punica si conclude con la distruzione di Cartagine, che viene espugnata nel 146 a. C., dopo due anni di assedio, da Scipione Emiliano.

Nel Tempio di Romolo troviamo reperti relativi alla romanizzazione di terre già puniche, in particolare nel Nord Africa vediamo la trasformazione di Baal Hammon in Saturno. Altri reperti provengono da Nora, in Sardegna, e da Cossyra (Pantelleria), dove è stata rinvenuta una tavola su trapezofori, con un’iscrizione in punico.

Gruppo dell’Auriga e della moglie
Mosaico con lottatori, Tunisi Museo del Bardo

Molto più suggestive sono le opere esposte nella Rampa Imperiale, nei pressi della Chiesa di S. Maria Antiqua. In questa sezione, relativa alla Colonia Concordia Iulia Carthago, ci accoglie Virgilio, che legge alcuni versi della sua Eneide, anche se il celebre mosaico, che lo raffigura in cattedra tra due muse (Tunisi, Museo del Bardo), è presente solo in fotografia. Di grande impatto visivo sono il gruppo marmoreo di un Auriga e della moglie, la statua di Giove frugifero e soprattutto alcuni mosaici, tra cui due di Lottatori e uno con la raffigurazione dell’Estate.

Statua di Giove Frugifero
Mosaico della Dama di Cartagine,V-VI sec. d.C., da Cartagine
Mosaico cristiano con Evangelisti

Altri strepitosi mosaici, tutti policromi, sono proiettati a turno sul pavimento in un peristilio immaginario, per  dare l’idea della vita nelle domus o nelle ville, e di quell’otium tanto caro ai ricchi romani. Della Cartagine cristiana troviamo alcune formelle architettoniche provenienti da basiliche (una con Adamo ed Eva) e mosaici, sempre policromi, come quello di un defunto con accanto il suo cane. Ampio, ma rovinato, è il mosaico con i quattro simboli degli Evangelisti; spettacolare e praticamente integro è invece il mosaico raffigurante la Dama di Cartagine, una figura aureolata con uno scettro e una mano benedicente, che per Federica Rinaldi è “un’icona ieratica ed enigmatica, né uomo né donna, che dovrebbe raffigurare la città”.

Nica FIORI    Roma  settembre 2019

Carthago. 
Il mito immortale

Roma, Colosseo – Foro Romano. 27 settembre 2019 – 29 marzo 2020

Orari Parco archeologico del Colosseo

8.30 – 19.00 fino al 30 settembre 2019; 8.30 – 18.30 dal 1° ottobre al 26 ottobre 2019; 8.30 – 16.30 dal 27 ottobre al 31 dicembre 2019; 8.30 – 16.30 dal 2 gennaio al 15 febbraio 2020; 8.30 – 17.00 dal 16 febbraio al 15 marzo 2020; 8.30 – 17.30 dal 16 marzo al 28 marzo 2020; 8.30 – 19.15 il 29 marzo 2020

L’ingresso si effettua fino a un’ora prima della chiusura. Chiusure al pubblico 25 dicembre 2019 e 1 gennaio 2020

Biglietto  Fino al 31 ottobre 2019 intero € 12,00; dal 1° novembre 2019 intero € 16,00;

Gratuità e riduzioni secondo la normativa vigente Info: http://www.parcocolosseo.it