Caravaggio e gli angeli di Siracusa:” Non havendone mai veduti non so ritrarli” (Padre Ippolito Falcone)

di Valentina CERTO

Scappato da Roma dopo l’omicidio Tomassoni, avvenuto nel maggio del 1606, Caravaggio, lasciata la gloria della città eterna, visse da uomo in fuga.

Inizialmente passò meno di quattro mesi nei feudi di don Marzio Colonna tra Zagarolo, Palestrina e Paliano e, quando ebbe la sicurezza della condanna alla pena capitale, si trasferì a Napoli. Ovviamente lo precedeva la fama ma furono anche importanti famiglie come i Colonna a permettere che Caravaggio ricevesse importanti commissioni. Successivamente soggiornò a Malta (1607), in Sicilia (1608/1609), e ancora Napoli (1609/1610).

Sono ancora tanti gli interrogativi irrisolti, e poche le certezze. Da Malta Caravaggio approdò in Sicilia, e probabilmente fu Siracusa la prima città ad accoglierlo. La scelta di fermarsi sull’isola, non fu programmata, ma resa necessaria per riorganizzare il suo ritorno a Roma, via Napoli.  In Sicilia arrivò, forse, nel mese di ottobre perché sappiamo che in un verbale del Concilio dell’Ordine di Malta, riunitosi il 6 ottobre 1608, si chiedeva a due cavalieri di seguire le tracce del pittore fuggito dalla prigione del forte Sant’Angelo.

A Siracusa, aveva una vecchia conoscenza, l’amico dei primi anni romani, il pittore Mario Minniti. Qui, il senato della città (come scrisse Francesco Susinno[1]), grazie all’intercessione proprio di Minniti, e probabilmente del nobile Mirabella[2], gli affidò la commissione di una pala d’altare con Santa Lucia, il Seppellimento di Santa Lucia [3], Fig.1

1 Caravaggio, Il Seppellimento di Santa Lucia, 1608, Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, Siracusa.

destinato all’altare maggiore della chiesa extra moenia di Santa Lucia al Sepolcro, luogo di sepoltura della santa, situata fuori dalla cittadella medievale di Ortigia. Fig. 2

2 Basilica di Santa Lucia al Sepolcro (immagine da http://www.basilicasantalucia.com/)

Volendo ricostruire la storia della chiesa, in un documento che ho visionato recentemente, conservato presso l’Archivio di Stato di Siracusa, negli Atti del Senato, volume 9, riferito agli anni 1612-1626, precisamente i fogli 503, 504 e 505, si parla di un Consiglio riunito il 13 febbraio del 1626, in cui si stabilisce la direzione della chiesa e si racconta, brevemente, la storia degli ultimi anni.

La chiesa nel 1469 era stata assegnata ai Francescani Osservanti (che furono nuovamente chiamati nel 1515 e nel 1545), e poi retta da un Collegio. (Istituito nel 1507, il Collegio inizialmente fu composto da 4 cappellani Regi, successivamente, dal 1542, fu istituito il Consiglio dei Dodici, per poi, dal 1552, ridursi nuovamente a 4 cappellani). Negli anni in cui Caravaggio era presente a Siracusa, il ruolo direttivo era stato affidato, dal Senato, alla Congregazione di San Filippo Neri, (che seguivano la regola dell’Oratorio di San Filippo Neri) poiché la chiesa si trovava in uno stato di incuria. Nel documento si fa riferimento anche a tre a nobili, estratti dal bussolo, che, dal 1541, svolgevano il ruolo di procuratore (carica  mantenuta per due anni). Anni dopo, dal 1618 al 1626, il senato, i procuratori e l’illustrissimo vescovo Torres, dal momento che la chiesa risultava nuovamente quasi in disuso, la affidarono ai Francescani Riformati, di cui, nel documento si loda l’operato.

3 Chiesa Santa Lucia alla Badia, Siracusa.

Per quanto riguarda il Seppellimento di Santa Lucia, adesso, dopo alcuni interventi di restauro e dopo essere stato esposto al Museo di Palazzo Bellomo e, per parecchi anni, nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia, in Piazza Duomo, si trova nuovamente nella sua collocazione originale. Quella del Seppellimento di Santa Lucia fu un’altra importante commissione pubblica, dopo quelle di Roma e Napoli e dimostra che il pittore non soggiornò mai in Sicilia da fuggiasco ma fu sempre accolto e protetto. Fig. 3

Anche questa volta, il Merisi dimostrò di conoscere pienamente l’iconografia cristiana, creando un dramma poco consueto, la cui consegna era forse prevista per il 13 dicembre, dello stesso anno, il giorno della festività della Santa.

Santa Lucia, Vergine e martire, morta durante le persecuzioni di Diocleziano, è rappresentata senza vita, accasciata sulla nuda terra, con un taglio in gola. Attorno a lei frustrazione e pianto, una donna inginocchiata con le mani al volto, la folla che guarda incredula, in una scena resa ancora più drammatica dalla luce che si staglia sulle figure esaltandone il dolore e i lineamenti contratti. Due becchini, enormi e con le espressioni assenti, ai lati della tela, stanno già scavando la fossa, con gesti rozzi e privi di qualsiasi grazia.

Caravaggio non dipinge una scena di martirio, non c’è esaltazione, con c’è gloria, non troviamo l’intervento salvifico del divino ma nella tela è in atto il semplice seppellimento di una donna, appena morta tragicamente. I veri protagonisti sembrano paradossalmente essere i due becchini, le cui figure emergono dallo scuro sfondo, interpretato da alcuni studiosi come le scure e suggestive latomie siracusane, oggetto di curiosità e studio del pittore, ma, in realtà, di difficile definizione.

Sicuramente nelle tele siciliane, e proprio con il Seppellimento di Santa Lucia, inizia l’estremo periodo di Caravaggio, caratterizzato da essenzialità e pathos. Nelle tele, le scene sono sempre più scarne, scure, opprimenti, in un climax ascendente di tragedia che si configura con il grande vuoto nella parte superiore che è brama di salvezza ma che porta all’inesorabile fine.

Padre Ippolito Falcone, nato a Siracusa nel 1623 e autore di numerose opere, nel Narciso al fonte cioè l’uomo che si specchia nella propria miseria, stampato presso Gabriel Hertz a Venezia nel 1675, tramanda un’importante, quanto singolare, testimonianza che riguarda il quadro siracusano del Merisi. Scrive nel capitolo XI, a pag. 88:

“Richiesto Michelangiolo da Caravaggio, che facesse un gruppo d’angioli nel largo campo, che resta in alto, in quel famoso quadro, in cui si piangono, e s’ammirano i funerali di S. Lucia in Siracusa, egli non volle dipingerli, dicendo: Non havendone mai veduti, non so ritrarli [4]”. Fig 4
4 Padre Ippolito Falcone, Narciso al fonte, 1623

Falcone, sicuramente, fu influenzato dalle notizie che circolavano oralmente a Siracusa sulla personalità di Caravaggio, dal momento che nessun altro documento citò questo particolare episodio. Non ci da altre informazioni sulla tela, sulla collocazione o sullo stile.

La notizia, sebbene appaia romanzata, anche perché le tele siciliane si caratterizzano per essenzialità e grandi spazi vuoti, è molto interessante perché si configura come l’ennesima dichiarazione di poetica naturalistica a cui il pittore ha aderito, nonché come una delle tante testimonianze circa il comportamento poco consono del pittore. Caravaggio non vuole rappresentare il divino, ma la verità. Nonostante la richiesta di dipingere un gruppo di angeli nella parte superiore del dipinto, rifiuta dicendo che non avendoli mai visti, non li sa ritrarre.

Ma c’è una curiosità. L’aneddoto scritto da Falcone potrebbe essere rintracciato in una copia del Seppellimento del 1800, custodita nella chiesa di Santa Lucia[5] di Ragusa Alta, appartenente alla parrocchia di Santa Maria delle Scale. Fig. 5

5 Copia dal Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio. Opera di autore ignoto custodita nella chiesa di Santa Lucia di Ragusa.

Sono parecchie comunque le divergenze figurative e stilistiche tra l’autografa del Merisi e la copia, di autore ignoto (probabilmente un pittore siciliano?). Quest’ultima, nonostante l’analoga composizione dei personaggi  e le notevoli dimensioni,  presenta un livello artistico abbastanza modesto, e una forma centinata che circoscrive il campo vuoto dello sfondo, occupato adesso soltanto da un angelo. L’angelo, guardandolo nel particolare, è raffigurato mentre libra in volo su una nuvola; con la mano destra indica la scena sottostante del seppellimento, mentre con la sinistra sorregge un calice nel cui interno sono custoditi gli occhi della Santa. Ricordiamo che, nell’iconografia consueta, Lucia è spesso rappresentata con un calice in mano contenente i suoi occhi. Possiamo pensare che il pittore ignoto, forse un siciliano, abbia ammirato e studiato dal vivo il Seppellimento di Caravaggio e si sia ispirato per la sua copia. Questa notizia potrebbe essere confermata dal cartellino della didascalia che reca la seguente scritta “Sepoltura di Santa Lucia. Olio su tela di ignoto (sec. XIX). Ispirato all’originale del Caravaggio che si conserva in Siracusa-Isola Aretusa”.

L’aneddoto di Falcone, a quanto pare, era molto conosciuto tra gli storici perché, un secolo dopo, Francesco Susinno nelle Vite lo smentì scrivendo: “fece l’evangelista Matteo coll’angelo, dal che viene dell’intutto screditata quella diceria tanta volgata che questo dipintore non volesse dipingere angeli a cagione di non averne mai veduti. Quando che, ed invero tutte le volte che gli occorse sempre li rappresentò nelle sue tele; egli, la verità si è che non inclinava a farli[6]”.

L’episodio a cui rimanda Susinno è quello del quadro con San Matteo e l’Angelo, dipinto da Caravaggio per la cappella Contarelli di Roma. Si tratta, quindi, di un altro periodo, quello romano, diverso dal punto di vista stilistico ed iconografico. È probabile pensare che il frate cappellano abbia solo riportato un esempio per dimostrare, e confutare la tesi che Caravaggio non dipingeva soltanto quello che osservava ma aveva, in passato, anche rappresentato il divino.

Valentina Certo, Messina, 20 giugno 2021

NOTE

[1] Scrive Susinno nelle Vite, del 1724, a pagina 110: “fuggì in Sicilia, e ricovratosi nella città di Siracusa fu ivi accolto dall’amico suo e collega nello studio di pittura, Mario Minnitti pittore siracusano, da cui ricevette tutta la compitezza che poté farle la civiltà di un tal galantuomo. Lo stesso supplicò quel senato della città acciò impiegasse il Caravaggio in qualche lavoro, e così potesse aver campo di godere per qualche tempo l’amico ed altresì osservarsi a qual grado di altezza erasi portato Michelagnolo, mentre se ne udiva grande il rumore e ch’egli fosse in Italia il primo dipintore. L’autorità di quel magistrato non pose in non cale l’occasione, ed insubito l’impiegò nella fattura di una gran tela della vergine e martire S. Lucia siciliana. Oggi giorno ammirasi nella chiesa de’ Padri Riformati di S. Francesco, dedicata alla stessa gloriosa santa, fuori le mura della medesima città. In questa gran tela il dipintore fece il cadavere della martire disteso in terra, mentre il vescovo con il popolo viene per sepellirlo e due facchini, figure principali dell’opera, una di una parte ed una dall’altra, con pale in azzione che fanno un fosso acciò in esso lo collochino. Riuscì di tal gradimento questa gran tela che comunemente vien celebrata, ed è tale di questa dipintura il meritato  concetto che in Messina ed altresì in tutte le città del regno se ne veggono molte copie. L’inquietissimo cervello di Michelagnolo, amando vagare pel mondo, lasciò gli agi della casa dell’amico Minnitti. Portossi alla città di Messina”.
[2] Vincenzo Mirabella, nobile e storico siracusano incontra Caravaggio a Siracusa nel 1608, subito dopo la fuga con infamia del pittore da Malta. Questo incontro è narrato nelle Dichiarazioni della pianta dell’antiche Siracuse, e d’alcune scelte medaglie d’esse, e de’ Principi che quelle possedettero, descritte da Don Vincenzo Mirabella e Alagona cavalier Siracusano, opera pubblicata a Napoli nel 1613.
[3] La prima fonte per il dipinto è quella di Bellori, nel 1672. Scrive nelle Vite a pagina 210: “Pervenuto in Siracusa, fece il quadro per la Chiesa di Santa Lucia, che stà fuori alla Marina: dipinse la Santa morta col Vescovo, che la benedice; e vi sono due che scavano la terra con la pala per sepelirla”.
[4] Ippolito Falcone, Narciso al fonte cioè l’uomo che si specchia nella propria miseria. Del Padre D. Hippolito Falcone Siracusano Cherico regolare. Diviso in due parti. Dedicato all’Illustrissimo Carlo Vincenzo Gio anelli, Nobile Veneto, Conte di Morengo, e Carpeneda, Barone, e Signore di Teluana, della Pietra, del castel San Pietro, Laimburg, Caldar, c., Gabriel Hertz, Venezia 1675.
[5] La chiesa in passato era dedicata a Santa Veneranda, successivamente, anche per il proliferare del culto di Santa Lucia in città, fu dedicata alla martire siracusana.
[6] F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi, 1724, a cura di V. Martinelli, Firenze 1960.

BIBLIOGRAFIA

  • Barbera – D. Spagnolo, Dal Seppellimento di santa Lucia alle Storie della passione: note sul soggiorno del Caravaggio a Siracusa e a Messina, in Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, catalogo della mostra, Napoli, Museo di Capodimonte, (23 ottobre 2004 – 23 gennaio 2005), Napoli 2004, pp. 80-87.
  • Barbera – D. Spagnolo, L’adorazione dei pastori restaurata e le “osservazioni” del Caravaggio in Sicilia, Messina 2010.
  • Barbera, scheda 8, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Seppellimento di Santa Lucia, in Caravaggio in Sicilia, il suo tempo, il suo influsso, catalogo della mostra, a cura di V. Abbate, Siracusa, Museo Regionale di Palazzo Bellomo, (10 dicembre 1984 – 28 febbraio 1985), Palermo 1984, pp. 147-52.
  • P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma 1672, ed. a cura di E. Borea, Torino 1976.
  • Bologna, Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, in Caravaggio l’ultimo tempo 1606-1610, catalogo della mostra (Napoli, Museo di Capodimonte, 23 ottobre 2004-23 gennaio 2005), Napoli 2004.
  • Buccheri, A Siracusa un documento inedito su una seicentesca “copia della Santa Lucia morta” dal Caravaggio, in “Incontri”, 12,
  • 2015, pp. 17-20.
  • Certo, Caravaggio a Messina, Terme Vigliatore, 2017.
  • Cuppone, M. Romano, Caravaggio a Siracusa: un itinerario nel Seicento aretuseo, Ragusa, 2020.
  • Giansiracusa, Caravaggio a Siracusa 1608, Siracusa 2018.
  • Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio: fonti e documenti (1532 – 1724), Roma 2010.
  • Spagnolo, La fuga e l’approdo: da Forte Sant’Angelo alle coste siciliane, Karta, 5, 2010, 2-5.
  • Spagnolo, scheda 10a, in Opere d’arte restaurate nelle province di Siracusa e Ragusa, a cura di G. Barbera, Siracusa 1994 (“Quaderni della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa. Sezione per i Beni Artistici Storici e Iconografici”, 3, 1990-1992), pp. 49-51.
  • Zuccari, La pala di Siracusa e il tema della sepoltura in Caravaggio, in L’ultimo Caravaggio e la cultura artistica a Napoli in Sicilia e a Malta, a cura di M. Calvesi, Siracusa 1987, pp. 147-173.