Capolavori a Salamanca; novità e inedite attribuzioni per importanti artisti italiani del Seicento

di Massimo PULINI

Una Salamanca italiana

                                                                                                  ad Augusta Monferini

Ho programmato a più riprese un viaggio a Salamanca, ma per motivi ogni volta diversi non sono ancora riuscito ad andare.

La prima occasione fu una quindicina di anni fa; mi trovavo a Barcellona per la mia settimana di Erasmus da docente e dovevo tenere alcune lezioni all’Accademia di Belle Arti. Tra un impegno scolastico e l’altro passai un po’ di tempo nella biblioteca universitaria, spulciando vecchie pubblicazioni d’arte. Fu lì che trovai una guida di Salamanca nella quale venivano pubblicati, in bianco e nero e con la polvere di un autentico abbandono, alcuni dipinti chiaramente italiani, rimasti nell’anonimato, ma che mi parvero subito opere importanti e perfino facilmente riconoscibili.

Parlo dapprima di quattro dipinti conservati nel convento de las Agustinas de Monterrey[1], che ora, grazie all’aiuto di un amico poeta[2] nativo di Salamanca, posso vedere attraverso immagini a colori.

Si tratta di tele concepite in un insieme iconografico che si mostra coerente, anche se gli autori sono tra loro diversi. Raffigurano imponenti Apostoli tutti della medesima proporzione e stagliati su un fondo scuro: San Giacomo, San Pietro, San Paolo e Sant’Andrea, a giudicare dagli attributi che li accompagnano.

1) Cavalier d’Arpino (qui attribuito), San Giacomo, Salamanca, convento delle Agostiniane di Monterrey

Anticipando le mie idee attributive, con quel tanto di riserva che la mancata visione diretta impone, ritengo che il San Giacomo (Foto 1) possa essere riferito al Cavalier d’Arpino, per evidenti stilemi tardomanieristi che si distinguono dal resto della commissione.

Basterebbe un confronto con altre figure segaligne di Giuseppe Cesari (Foto 2) per chiarire ogni dubbio.

2) Cavalier d’Arpino, Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Paolo, Nelson Atkins Museum of Art

L’Apostolo è costruito da lunghe falcate di disegno che distribuiscono i panni e gli arti in gesti diagonali. Ne risulta una ieratica figura disseccata al punto da sembrare un anacoreta.

3) Andrea Sacchi (qui attribuito), San Pietro, Salamanca, Convento delle Agostiniane di Monterrey

Il San Pietro (Foto 3) invece chiama in causa l’ideatore di un barocco filosofico: Andrea Sacchi, che aveva già replicato in un paio di occasioni il medesimo e fortunato personaggio evangelico.

4. Andrea Sacchi, San Pietro, Roma Galleria Nazionale Palazzo Barberini, 223 x 151

Si pensi alla tela di Palazzo Barberini (Foto 4) o alla pala di Forlì (Foto 5)

5) Andrea Sacchi, San Pietro, Forlì Pinacoteca

che è stata dipinta intorno al 1631 e per la quale sono noti anche disegni preparatori conservati tra Dusseldorf e Oxford (Foto 6).

6) Andrea Sacchi, Studio di mani, Oxford, Ashmolean Museum

Il busto aggettante del santo cerca un dialogo diretto con l’osservatore e il gesto del braccio forma un ideale cerchio che raccoglie lo sguardo in un abbraccio.

7) Spadarino (qui attribuito), San Paolo, Salamanca, Convento delle Agostiniane di Monterrey
7a) particolare

Meno semplici appaiono le identità delle altre due opere e devo ammettere che per qualche tempo avevo pensato al San Paolo (Foto 7, 7a) come a una invenzione di Orazio Riminaldi, ma ora che dispongo di qualche dettaglio in più, sono convinto appartenga allo Spadarino, a Giovanni Antonio Galli, per quell’espressione di stupore che corrisponde, nello spirito e nella forma, alle opere del pittore senese (Foto 8).

Questa tela di Salamanca si accosta in modo stringente a un dipinto della collezione Luigi Koelliker di Milano, che ebbi modo di attribuire qualche anno fa al più delicato tra i caravaggeschi italiani. Torna la bocca dischiusa in un’attitudine parlante e coerente risulta anche il rincalzo dei mantelli.

8 Spadarino, San Marco, Milano, collezione Luigi Koelliker

Approfitto dell’occasione spagnola per segnalare anche un altro dipinto inedito che inserisco nel corpus di Giovanni Antonio Galli.

9 Spadarino,Incontro sulla via di Emmaus, Baltimora The Walters Art Museum
10) Spadarino, Angelo custode, Rieti, Duomo

Assegnato fino ad ora proprio ad un artista iberico, Alonzo Cano, credo che questo Incontro sulla via di Emmaus (Foto 9) del Walters Art Museum di Baltimora[3] vada invece accostato all’Angelo custode della cattedrale di Rieti (Foto 10) nello stesso ‘paso doble’ che li accomuna.Ultima tela di questo inedito gruppo conventuale, quella che raffigura un Sant’Andrea (Foto 11), potrebbe venir riferita al Baglione, anche se qualche durezza induce ad apporre ancora un punto di domanda.

Spingono verso il suo nome il disegno marcato e la stesura terrosa e anche una recente aggiunta al catalogo dell’artista scrittore, un San Giacomo Minore (Foto 12) presentato ad Ariccia da Michele Nicolaci e Claudio Strinati, sembra confermare questa mia ipotesi[4].

11) Giovanni Baglione (qui attribuito), Sant’Andrea, Salamanca, Convento delle Agostiniane di Monterrey
12) Giovanni Baglione,San Paolo, Londra, collezione privata

Ma questo non costituisce che una parte delle opere italiane conservate a las Agustinas de Monterrey, quella conventuale, e la sequenza più in vista, appesa nella chiesa, è stata già pubblicata anche in altre occasioni che tuttavia si sono occupate del singolo apporto di un artista, anziché dell’intera impresa o delle sue singolari connessioni con l’Italia. Le stesse fonti locali antiche parlavano di un vero e proprio ponte artistico tra Salamanca e Napoli, voluto e costruito dal viceré spagnolo, don Manuel Alonso de Zúñiga Acevedo y Fonseca, VI conte de Monterrey che dal 1631 al 1637 governò sulla città partenopea per conto del Re di Spagna e portò in patria quel tesoro fatto di pitture e sculture, a decoro di una chiesa che avrebbe contenuto il proprio sepolcro e quello della sua sposa, con ritratti scultorei di Giuliano Finelli (Foto 13 e 14).

14) Cosimo Fanzago e Giuliano Finelli, Sepolcro della Contessa di Monterrey, Salamanca, chiesa delle Agostiniane
13) Cosimo Fanzago e Giuliano Finelli, Sepolcro del Conte di Monterrey, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Le sue intenzioni sembrano ispirate a certi signori italiani del Quattrocento, che univano il mestiere di condottiero a mire umanistiche, come fece a Rimini Sigismondo Malatesta col suo Tempio albertiano o Federico da Montefeltro con la sua corte urbinate di letterati e artisti.

 

Il conte fu una figura di massimo rilievo e giocò grandi ruoli sia politici che culturali entro la corte di Filippo IV.

Manuel Alonso era lui stesso figlio di un viceré, del Perù e delle americhe spagnole, e divenne doppiamente cognato del potentissimo Duca de Olivares, essendo sposi delle reciproche sorelle.

Avrebbe potuto disporre dei migliori artisti spagnoli, Velázquez compreso, ma decise di coinvolgere scultori, architetti e pittori delle terre che governava e che forse riteneva più vicini al proprio spirito.

In realtà la chiesa e il convento delle Agostiniane scalze di Salamanca costituiscono una enclave non solo napoletana, ma anche romana e bolognese, genovese e veneziana, dunque italiana nel senso artistico più pieno. Non mancano opere spagnole ed eccezioni fiamminghe, ma sono casi che confermano quanto il ‘cast’ venne scelto nelle koiné artistiche delle capitali italiane di primo Seicento.

Stupisce prima di ogni altra cosa l’ampiezza e l’ambizione del progetto decorativo entro la chiesa di un ordine abitualmente sobrio e povero per principî, ma meraviglia ancora di più vedere la resa d’insieme dispiegata nel gigantesco retablo dell’Altare Maggiore.

15) Cosimo Fanzago, Altare maggiore, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Una macchina complessa, ideata nientemeno che da Cosimo Fanzago (Foto 15 e 16) con una generosità creativa che accorda la tarsia marmorea delle parti ornate, alle tante sculture che vivono di una nitida purezza entro lo spazio ritmico dell’architettura.

16) Cosimo Fanzago, Altare maggiore, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

17) Jusepe de Ribera, Pietà, Salamanca, chiesa delle Agostiniane
18) Jusepe de Ribera, Immacolata Concezione, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Nella cimasa svetta una splendida Pietà di Jusepe de Ribera (Foto 17) con il corpo del Cristo che dal grembo della madre scivola drammaticamente sulle proprie ginocchia. Del Ribera è anche la grande Immacolata concezione[5] (Foto 18), eseguita nel 1635 e profusa di una luce dorata che fa comprendere come già acquisita l’influenza stilistica dei bolognesi, ma è nei doppi ordini laterali che vengono posti uno di fianco all’altra quattro tele che brillano per bellezza e per provenienza.

19) Alessandro Turchi, Fuga in Egitto, Madrid, Prado

Forse il conte di Monterrey aveva concepito il progetto prima ancora di divenire viceré, quando svolgeva il ruolo di ambasciatore di Spagna a Roma, tra il 1629 e il 1631, lì ebbe modo di conoscere gli autori delle quattro tele conservate nel convento e appena ricordate, ma anche Alessandro Turchi detto l’Orbetto a cui chiese di dipingere un dolcissimo San Giuseppe col Bambino (Foto 19) per il retablo principale. Come ha evidenziato Gabriele Finaldi in un suo intervento del 2007[6], questa potrebbe essere la prima opera di Turchi eseguita per la Spagna e in passato io stesso ho contribuito alla conoscenza della ‘produzione iberica’ dell’Orbetto, pubblicando diverse tele a soggetto mariano confluite nelle collezioni del Prado[7].

20) Alessandro Turchi, San Giuseppe col Bambino, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Il passo sereno del San Giuseppe sembra una variante della più famosa opera spagnola del Turchi, la Fuga in Egitto anch’essa conservata nel museo madrileno (Foto 20). Un’aria ferma e classicista che permette ai panneggi del santo di scendere pesanti e solidi, fino a formare un breve strascico. Bellissimo il particolare del cuscino col quale il padre putativo regge il Figlio, senza dimostrare sforzo alcuno.

Il conte di Monterrey ebbe di certo modo di conoscere l’artista parmense Giovanni Lanfranco seguendolo nei cantieri del suo soggiorno napoletano.

21) Giovanni Lanfranco, Annunciazione, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Fu di certo nella città campana che il nobile spagnolo gli commissionò una grande Annunciazione (Foto 21), tuttora conservata in chiesa, slanciata e mossa da un fremito di vento e di luce.

Mentre una bella e moderna Crocefissione (Foto 22) che era andata dispersa, è riapparsa nel 2003 ad un’asta italiana (già Milano asta Porro 2003), ora si trova a Modena, presso la collezione della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna.

Credo tuttavia appartenga a Giovanni Lanfranco anche un San Nicola da Tolentino con il libro e la pernice (Foto 23) fino ad ora considerato anonimo, forse a causa di ridipinture che riguardano la mano destra, ma tutto il resto parla del suo stile, anche il rapporto tra la figura e l’aria nuvolosa che gli gira attorno.

22) Giovanni Lanfranco, Crocifissione, Modena, collezione Bper
23) Giovanni Lanfranco (qui attribuito), San Nicola da Tolentino, Salamanca, chiesa delle Agostiniane
24) Anonimo artista italiano, Incontro alla porta Aurea, Salamanca, chiesa delle Agostiniane
25) Bottega di Pieter Paul Rubens, Sant’Agostino e il Bambino, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Sembra avere caratteri a metà strada tra Lanfranco e Caroselli l’Incontro alla Porta Aurea tra Sant’Anna e San Gioacchino (Foto 24), ma la foto che ho a disposizione non permette di avanzare un’attribuzione credibile. Penso però si tratti di un dipinto di alto livello e solo uno studio più approfondito può far sperare in una identificazione. Si sono alternate in passato le attribuzioni ad Artemisia Gentileschi e a Giacomo Cavedoni, ma non vedo appigli per nessuna di queste proposte. Difficile dire invece dove il conte di Monterrey abbia potuto conoscere Rubens a cui di deve l’ideazione del Sant’Agostino col Bambino (Foto 25) che venne tuttavia eseguito dalla sua esperta bottega di Anversa.

Forse i quattro Apostoli conservati nel convento furono i primi ad essere commissionati da don Manuel Alonso de Zúñiga, a partire dal 1630, mentre le altre opere della chiesa monumentale si raccolgono quasi tutte intorno al 1635.

Questa ingente materia storica e artistica, vasta per quantità, elevata per qualità e ricchissima per importanza, sia in ordine ai nomi degli autori che a quelli dei committenti, merita di certo un viaggio di studio in Spagna, ma anche in ragione della sua portata ho più volte desistito, cosciente della necessità di un lungo soggiorno, che si è trovato di volta in volta incompatibile da conciliare coi miei impegni.

Più crescevano le dimensioni e l’interesse verso questa ricerca più avvertivo il rischio di rimanere irretito dal tesoro italiano che avevo intravisto in terra di Salamanca. La prima sensazione fu decisamente infantile e accolta con autoironia, quasi avessi ritrovato una mappa di quelle che i film per ragazzi o la narrativa più scadente immaginano arrotolata a cilindro e bruciata ai bordi, con una geografia sommaria del territorio e una croce rossa tracciata sul punto destinato allo scavo.

Quel che ho raccontato finora risale a molti anni fa e si diede il caso che nel 2011 ricevetti un incarico culturale e amministrativo dalla città di Rimini e quel viaggio ha finito per non conciliarsi con la mole di lavoro affrontata negli ultimi anni. Ora che potrei finalmente compiere questa impresa ci si è messa di mezzo la pandemia, sicché ho iniziato a leggere l’insieme di questa vicenda come una sequenza ad ostacoli, fatta di progetti e rinunce, costellata da cause di forza maggiore e da divieti collettivi, al punto da costituire un racconto parallelo non puramente di lettura autoreferenziale.

Ogni ricerca storica è sempre innestata nella vita, anche se è una regola osservata quasi da tutti, quella di restituirla asettica e purificata da ogni elemento soggettivo. Credo invece che le avventure dell’arte, narrate in forma individuale, siano più vere e ritengo che la traiettoria di percorso personale aggiunga sapore e nutrimento al ‘piatto di grano’ della storia. Le vicende più singolari fanno meglio comprendere quanto la Storia sia plurale e mai univoca. Ebbene è questa successione di eventi che mi spinge ora ad affrontare il rischio opposto, quello di rendere nota quella mappa senza essere andato a scavare sul posto, senza nemmeno aver visto dal vero i dipinti dei quali parlo. In ogni caso quel tesoro non sarebbe mio, ma credo che giocare a carte scoperte aiuti a chiarire il mio intento, che resta in definitiva quello di segnalare una miniera di opere italiane ‘nascoste’ in un punto preciso della penisola iberica.

Comunque anche le opere già note e accessibili con una semplice visita in chiesa non mi sembrano studiate a sufficienza se nel retablo dell’altare maggiore si scorge un magnifico San Giovanni Battista (Foto 26) che ha tutte le caratteristiche per essere un autografo di Guido Reni,

26) Guido Reni, San Giovanni Battista, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

mentre le attuali classificazioni parlano, sbagliando, di Simone Cantarini, quando non citano una generica bottega reniana. Raffinatissima appare la slanciata figura del santo, proteso in una postura che rammenta il dipinto autografo della Dulwich Gallery di Londra (Foto 27).

27) Guido Reni, San Giovanni Battista, Londra, Dulwich Gallery

Di recente è stato restaurato e ricollocato sopra al retablo dell’altare maggiore il Padre Eterno di Antonio de Pereda (Foto 28), che tenta di ristabilire un equilibrio tra opere spagnole e apporti italiani, offrendo un Dio che gioca a palla assieme agli angioletti.

28) Antonio De Pereda, Padre Eterno in gloria, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Di altissima qualità è anche una pala di Massimo Stanzione raffigurante la Madonna col Bambino, San Domenico e Sant’Antonio da Padova (Foto 29), nella quale la Vergine sembra in procinto di atterrare procurando lo stupore incantato del santo patavino, reso con grande finezza e poesia dall’artista partenopeo.

29) Massimo Stanzione, Madonna col Bambino, San Domenico e Sant’Antonio da Padova, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

In altre parti della chiesa riecheggia la dominante presenza di Jusepe de Ribera, lo spagnolo divenuto italiano, napoletano al punto da fornire anche un San Gennaro in cielo (Foto 30), oltre a un Sant’Agostino (Foto 31).

30) Jusepe de Ribera, San Gennaro, Salamanca, chiesa delle Agostiniane
31) Jusepe de Ribera, Sant’Agostino, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

 

 

 

Queste opere attraversano, sia per spiritualià che per concetto, quell’ideale ponte tra Salamanca e Napoli.

 

 

32) Salamanca, Chiesa delle Agostiniane di Monterrey, scorcio con l’Adorazione dei Magi di Luciano Borzone e il Sant’Agostino di Jusepe de Ribera

Sopra all’altare di Sant’Agostino è collocata una Adorazione dei Magi firmata e datata dal genovese Luciano Borzone nel 1635 (Foto 32)  mentre la speculare Adorazione dei pastori, è sempre riconducibile al Ribera (Foto 33), anche se ora si presenta gravata da pesanti ridipinture.

33) Jusepe de Ribera (con ridipinture), Adorazione dei pastori, Salamanca, chiesa delle Agostiniane
34) Francesco Bassano, Crocefissione con dolenti, Salamanca, chiesa delle Agostiniane

Segnalo infine quel che sembra un passo indietro nel tempo e nella forma, un ritorno al Cinquecento e insieme un omaggio a Venezia dato che una Crocefissione con dolenti di Francesco Bassano rinnova il fascino che il padre Jacopo e lo stesso Tiziano avevano prodotto alla corte di Spagna (Fig. 34).

La carrellata di opere d’arte, necessariamente sintetica e sommaria, credo tuttavia restituisca uno spaccato della più rilevante impresa commissionata, per un edificio spagnolo, ad artisti italiani in pieno Siglo de Oro.

Di certo questo esempio dovette segnare un unicum, ma allo stesso tempo un modello da ammirare e da discutere, anche se nessuno riuscì più a imitarlo. C’è da credere che la presenza di un tale ‘tesoro’ italiano nella comunità di Castiglia e León sia stata nei secoli una meta di artisti iberici e di amanti dell’arte, andando a contribuire a un ideale gemellaggio delle due penisole.

Non va tuttavia escluso che il convento conservi altre sorprese e, giunti a questo punto, non mi resta che partire per Salamanca.

Massimo PULINI  6 settembre  2020

NOTE

[1]  Il convento de las Agustinas de Monterrey a Salamanca venne fondato nel 1630 da don Manuel Alonso de Zúñiga Acevedo y Fonseca, VI conte de Monterrey figura eminente della corte spagnola di Filippo IV. Dal 1627 al 1631 fu ambasciatore di Spagna verso la santa sede e da quella posizione italiana aiutò il re a decorare di opere d’arte italiane le pareti del Buen Retiro, anche acquistando opere di Tiziano. Ma è dalla sua nomina a Viceré e dalla sua sede napoletana (dal 1631 al 1637) che il Monterrey amplia il proprio progetto magniloquente prevedendo l’intera trasformazione della chiesa e immaginando i sepolcri della propria famiglia e gli altari disegnati e scolpiti da Cosimo Fanzago (Clusone 1591- Napoli 1678).
[2] Ringrazio Eloy Santos per avermi fornito queste immagini che, seppur non professionali, hanno permesso una migliore leggibilità delle opere.
[3] L’opera conservata a Baltimora è eseguita su tela e misura cm. 51,5 x 66,7. Ho potuto ritracciare anche una piccola versione su rame (cm. 28 x 36) transitata sul mercato antiquario il 22 settembre 2016.
[4] Michele Nicolaci – Claudio Strinati, Giovanni Baglione, San Giacomo Minore, in “Dipinti inediti del Barocco italiano da collezioni private” Ariccia, Museo di Palazzo Chigi novembre 2013.
[5] Commissionata dal Conte di Monterrey al Ribera nel 1635. La devozione all’Immacolata è sottolineata dall’iscrizione che si trova sotto il sepolcro del conte: GENITRICI DEI IN CONCEPTU SANCTAE VOTA UBIQUE SUPLEX UNI SONAM ROMAE LEGAUTUS APELLATIONEM ANTIQUATA a GREG. XV ET URB. VIII VOCE SANCTIFICATIONIS EDICTOQUE NE QUIS CONCEPTUM DEIPARAE EMACULATUM INMACULATUM OMNES APELLENT MEMORANDA COELO TERRIS INFERIS LEGATIONE HIC TEMPLUM ARAMQUE PLACABILEM SESQUE SUOS D.D. ENMANUEL DE FONSECA ET -UIGA COM. MONTIS REY 1.Sale. Ronzio. CICCXXVI
[6] Gabriele Finaldi, Works by Alessandro Turchi for Spain and an Unexpected Velázquez Connection in The Burlington Magazine, Vol. 149, No. 1256, 2007.
[7] Massimo Pulini, Il naturalismo temperato di Alessandro Turchi, in “Studi di Storia dell’Arte” n. 7, 1996, entro il quale rendevo nota una serie di opere mariane dell’Orbetto allora sparse nei depositi del Prado. L’opera invece già nota e variamente pubblicata dell’artista era la splendida Fuga in Egitto, che qui si pone a confronto.