Canaletto a Roma fino al 19 agosto, in mostra opere eccezionali del pittore che “va sempre sul loco, e forma tutto sul vero”

di Nica FIORI

CANALETTO a Palazzo Braschi

La Torre dell’Orologio in Piazza S. Marco 1728-30 (The Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City, USA)

Giovanni Antonio Canal (1697-1768), meglio noto come Canaletto, è indubbiamente uno dei più importanti artisti del Settecento europeo, celebre soprattutto per le sue luminose vedute di Venezia, sua città natale, della quale ci ha lasciato innumerevoli scorci con i canali solcati dalle gondole, tra ricchi palazzi, ponti e chiese, in un clima festoso e sereno. In un periodo particolarmente vitale della storia artistica veneziana, in una città che più che mai era divenuta cosmopolita, in grado di attrarre visitatori illustri e viaggiatori curiosi, il suo genio pittorico ha rivoluzionato il genere del vedutismo, prima di allora ritenuto secondario, mettendolo alla pari con quello di storia e di figura, e anzi trasformandolo quasi in un emblema del secolo dei lumi.

A 250 anni dalla sua morte, il pittore viene celebrato a Roma a Palazzo Braschi con la grande mostra Canaletto 1697-1768, a cura di Bożena Anna Kowalczyk, che presenta il più grande nucleo di sue opere mai esposto in Italia: ben 42 dipinti, inclusi alcuni celebri capolavori, provenienti da importanti musei nazionali e internazionali (tra cui il Pushkin di Mosca, il Jacquemart-André di Parigi, la National Gallery di Londra, il Kunsthistorisches Museum di Vienna) e da collezioni private. Ad essi si aggiungono 9 disegni e 16 tra libri e documenti d’archivio.

La scelta di ospitare la mostra nel settecentesco Palazzo Braschi, con il suo panoramico affaccio sulla romanissima piazza Navona, ci appare azzeccata, perché richiama l’arrivo di Canaletto a Roma nel 1719, al seguito del padre scenografo, per realizzare le scene di alcune opere liriche al teatro Capranica. Ed è proprio a Roma che il giovane Antonio diventa paesaggista, affascinato com’è dalle rovine romane che si ritrovano non solo nei suoi fantasiosi capricci archeologici, ma anche in più veritiere vedute romane (per lo più degli anni ’40 e ’50 del secolo), tra cui La Basilica di Massenzio, Il Colosseo, L’Arco di Settimio Severo, Veduta di Piazza del Campidoglio e della Cordonata, che la mostra raccoglie in una sala spettacolare.

La mostra, come afferma Bożena Kowalczyk, propone “nuove conoscenze, nuove emozioni”, perché viene raccontato Canaletto dagli inizi della sua carriera, seguendolo passo dopo passo da Roma a Venezia a Londra e nuovamente a Venezia. In realtà il soggiorno romano di Canaletto è ancora un mistero (conosciamo solo due libretti d’opera nei quali appare il suo nome) e la curatrice si augura che ricercatori d’archivio possano far luce su questo periodo, che certo dovette provocare nel giovane grandi emozioni, tanto che l’entusiasmo per le colonne dei templi e gli archi di trionfo, che caratterizzano i suoi primi capricci (tra cui una Veduta ideata con rovine romane, 1720-21, proveniente dal Regno Unito, e un

Veduta ideata con rovine romane, 1720-21, dal Regno Unito

Capriccio con rovine, 1723, da una collezione privata svizzera), li ritroviamo anche nei capricci più tardi che eseguirà in Inghilterra.

Capriccio con rovine, 1723, Svizzera

Tra questi ultimi un Capriccio in particolare ci incuriosisce, perché vi è raffigurato un arco di trionfo, trasformato in chiave rinascimentale, che si vede dal portico di un palazzo, insieme alla piramide Cestia. Commissionato dal nono duca di Norfolk, il dipinto è un prestito davvero eccezionale, visto che solo una volta in passato ha lasciato la sua sede di Arundel Castle.

Un’altra di queste fantasiose creazioni Capriccio con architetture classiche e rinascimentali (1753-55 ca.), appartenente alla BNL-Paribas, mostra un edificio che ricorda il Pantheon e ha tra le sue particolarità un autoritratto dello stesso Canaletto, raffigurato seduto mentre disegna sotto un portico, con accanto un cagnolino: particolare scelto come immagine guida della stessa mostra.

Capriccio con architetture classiche e rinascimentali, BNL-Paribas

Dopo il soggiorno romano Canaletto torna a Venezia nel 1720 e comincia a dipingere le sue vedute. All’inizio la sua pittura è ancora fortemente scenografica nei contrasti drammatici di luci e ombre, ma a poco a poco elabora un razionale procedimento di composizione prospettica con gli schizzi ripresi direttamente sui luoghi. È già un astro nascente, in contemporanea con Tiepolo, quando il 6 ottobre 1725 il pittore veronese Alessandro Marchesini scrive al collezionista lucchese Stefano Conti, che Giovanni Antonio Canal “va sempre sul loco, e forma tutto sul vero”Tra agosto 1725 e giugno 1726 Canaletto realizza per Conti i suoi primi capolavori da vedutista, punto d’arrivo delle sperimentazioni giovanili.

Il Ponte di Rialto da nord (Torino Collezione Agnelli)

Due di essi, Il Ponte di Rialto da nord e Il Canal Grande con Santa Maria della Carità, provenienti dalla Pinacoteca Gianni e Marella Agnelli di Torino, sono esposti per la prima volta assieme al manoscritto della Biblioteca Statale di Lucca, che ne illustra le circostanze della commissione e della realizzazione. Queste e le altre opere riunite in questa sezione mostrano il progresso nell’elaborazione di una tecnica capace di rendere le sfumature della luce, l’atmosfera e le architetture di Venezia con grande naturalezza, permeata di delicato lirismo.

Nella sezione intitolata Lo splendore e la fama vengono evidenziate le prestigiose commissioni che Canaletto ottiene da collezionisti internazionali. Un grande dipinto, che proviene dal museo Pushkin di Mosca, rappresenta con vivace splendore la scena del Bucintoro di ritorno al molo il giorno dell’Ascensione.

Il Bucintoro di ritorno al molo il giorno dell’Ascensione, 1729, Museo Puskin,

L’opera, raffigurante la nuova imbarcazione dogale, sfavillante di sculture dorate, per la prima volta partecipe della cerimonia dello Sposalizio di Venezia con il mare il 26 maggio 1729 – è stata commissionata

Particolare dal Bucintoro

dall’ambasciatore di Francia, Jacques-Vincent Languet, conte de Gergy, come pendant della rappresentazione del suo solenne Ingresso a Palazzo Ducale, avvenuto il 5 novembre 1726. Le scene di vedutismo documentario, che comprendevano le feste per commemorare il soggiorno a Venezia degli ambasciatori stranieri e le onorificenze da loro ricevute, erano a Venezia nei primi decenni del Settecento una prerogativa di Luca Carlevarijs (1663-1730), ma a partire dal 1726 Canaletto si sostituisce al pittore udinese, con maggiore efficacia e vivezza.

Da allora è tutto un susseguirsi di successi fino al 1740, quando scoppia la guerra di successione austriaca, con il conseguente calo di viaggiatori e di lavoro per il nostro pittore. I mecenati veneziani di Canaletto facevano tutti parte degli ambienti culturali cosmopoliti. Tra essi Anton Maria Zanetti di Girolamo è artefice della famosa raccolta Liechtenstein, da cui proviene San Giorgio Maggiore dal Bacino di San Marco.

Per gli inglesi del Grand Tour le incantevoli vedute di Canaletto, così ricche di dettagli architettonici e di vita quotidiana, rappresentavano i più ambiti souvenir del viaggio. Joseph Smith, banchiere e mercante inglese, è tra i più assidui collezionisti e divulgatori delle sue opere, che in Inghilterra educano generazioni di artisti. Subissato da tante richieste, Canaletto dovette presumibilmente servirsi di assistenti negli anni del suo massimo successo: quasi sicuramente il padre, finché fu in vita, e il nipote Bernardo Bellotto, che a sua volta sarebbe diventato un vedutista e incisore di talento.

Padova, Il Pra’ della Valle

La sezione Bellotto a Torino, Canaletto a Padova, mette a confronto il nipote con lo zio e ci mostra in particolare un dipinto di Canaletto che ritrae Padova (Prato della Valle. Padova), l’unica città italiana, oltre a Venezia e Roma, che egli raffigurò, anche se lo fece 10 anni più tardi rispetto al viaggio da lui compiuto nel 1742 lungo il Brenta, in compagnia di Bellotto. Del resto anche Roma è stata da lui raffigurata più volte, molti anni dopo il suo soggiorno, basandosi sui vecchi disegni, sul ricordo e sulle stampe dell’epoca.

Canaletto è apprezzato soprattutto perché coglie con grande poesia le atmosfere e i dettagli architettonici più vari della città lagunare, ma non dobbiamo pensare alla sua realtà ipernaturale come se fosse fotografica, perché anzi “ci inganna con un’apparente realtà topografica”, secondo le parole della curatrice della mostra, confondendone i dettagli con grande discrezione. Egli ricrea la realtà attraverso la sua visione e quando nel 1746 si trasferisce in Inghilterra, dove trascorre circa dieci anni (con un ritorno intermedio a Venezia), reagisce alla diversità della luce inglese sperimentando nuove soluzioni. A Londra, però, non mancano imprevisti e sfortune, tanto che il suo stile non viene riconosciuto come autentico e deve pubblicare annunci sulla stampa per rispondere ad alcune voci denigratorie e attirare visitatori nel suo studio.

Tra i dipinti londinesi in mostra, alcuni dei quali esposti per la prima volta in Italia, vanno menzionate le due parti di un’unica, ampia tela, raffigurante Chelsea da Battersea Reach, tagliata in due parte prima del 1802 e riunita in questa mostra per la prima volta. La parte sinistra proviene da Blickling Hall, National Trust, Regno Unito, e quella destra dal Museo Nacional De Bellas Artes de la Habana, eccezionalmente concessa in prestito dal governo cubano. Sono pure del periodo inglese memorabili Capricci, dal gusto sofisticato e squisito, alcuni castelli gotici (tra cui Windsor Castle) e la veduta della Cattedrale di St. Paul.

Tornato definitivamente a Venezia nel 1756, Canaletto non ha più il successo di un tempo, anche perché Joseph Smith non è più interessato a promuovere le sue opere. Realizza nuove vedute, soprattutto in formato verticale, che raccontano la vita veneziana con una nuova sensibilità, e crea splendidi disegni, dei quali troviamo in mostra L’incoronazione del Doge sulla scala dei Giganti, appartenente alla serie delle dodici Solennità dogali,

L’incoronazione del Doge sulla Scala dei Giganti 1763-1766

l’ultimo capolavoro di Canaletto, commissionato dall’editore di stampe Lodovico Furlanetto. Pur con qualche difficoltà, nel 1763 viene eletto accademico delle Belle Arti e, infine, come accade a molti geni, muore in povertà.

Canaletto 1697-1768. Museo di Roma a Palazzo Braschi Piazza Navona, 2; Piazza San Pantaleo, 10

11 aprile – 19 agosto 2018 Orario: dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle 19 (la biglietteria chiude alle 18). Giorni di chiusura: lunedì, 1 maggio. Biglietto “solo mostra”: intero € 11; ridotto € 9; Speciale Scuola € 4 ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni); Speciale Famiglia: € 22 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni). Catalogo Silvana Editoriale

Nica FIORI   aprile 2018