Boîte en-valise di Duchamp all’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze

di Eleonora PERSICHETTI

Scatola in una valigia (Boîte-en-Valise), opera realizzata da Marcel Duchamp nel 1941, tra i capolavori conservati alla Collezione Peggy Guggenheim, si trova oggi all’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze per un importante intervento di studio e conservazione. Prosegue, così, la collaborazione che già nel 2013 aveva visto le due istituzioni impegnate nel progetto di restauro dell’opera di Jackson Pollock, Alchimia, del 1947.

“Tutto quello che ho fatto di importante potrebbe stare in una piccola valigia”, dichiarò Marcel Duchamp. Scatola in una valigia (Boîte-en-Valise) è la prima di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio di Louis Vuitton, che raccolgono ciascuna sessantanove riproduzioni e miniaturizzazioni di celebri lavori del poliedrico e dissacrante artista francese. Con essa Duchamp intraprese uno dei suoi progetti più ambiziosi: un museo portatile di repliche creato con l’aiuto di elaborate tecniche di riproduzione come il pochoir, simile allo stencil. In questo modo l’artista condusse fino alle ultime battute la rivoluzionaria operazione avviata attraverso i ready-made, dando il via a una parodia estrema dell’arte e dei meccanismi creativi, che colpisce al cuore l’idea stessa di museo.

Nell’edizione deluxe le venti valigie contengono, oltre alle riproduzioni in miniatura delle sue opere, un “originale” diverso per ogni valigetta, e differiscono tutte tra di loro per piccoli dettagli e varianti nel contenuto.  L’originale della valigia di Peggy è: una riproduzione de Le roi et la reine entourès de nus vites (1912), colorata ex-novo per la valigia dallo stesso artista (coloriage original); una dedica a Peggy Guggenheim, che sostenne economicamente Duchamp in questa sua produzione e, tra le varie riproduzioni, una miniatura del famoso orinatoio rovesciato, Fontana, del 1917, e una riproduzione di un “ready-made rettificato” del 1919 della Gioconda di Leonardo da Vinci, con barba e baffi e l’iscrizione “L.H.O.O.Q.”. La sequenza delle lettere pronunciate in francese formano la frase “elle a chaud au cul”, convenientemente tradotta da Duchamp come “c’è il fuoco là sotto”. Nel corso della sua vita, Duchamp creò 312 versioni de Boîte-en-Valise.

Il lavoro di restauro. Questa particolarissima opera-compendio è stata realizzata su supporti molto diversi tra loro: pelle, carta fotografica con aggiunte a matita, acquerello e inchiostro. L’intervento sull’opera di Duchamp, dato il carattere polimaterico, sarà coordinato dal dipartimento di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim e dal Settore Materiali Cartacei e Membranacei dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze, i cui restauratori condurranno le varie fasi di interventi coadiuvati da esperti dei diversi settori dell’istituto che, a vario livello, saranno coinvolti  per consulenze e per interventi mirati sui singoli elementi, presenti all’interno. E’ prevista una campagna di indagini per l’identificazione delle tecniche grafiche e pittoriche usate, così come sul metodo di assemblaggio dei pezzi. Trattandosi della prima della celebre serie di valigie deluxe della fine degli anni ‘30 del Novecento, obiettivi dell’intervento saranno, oltre alla risoluzione delle problematiche inerenti la conservazione e l’esposizione di un oggetto molto delicato quale essa è, conoscere meglio il modo di lavorare di Duchamp e il sistema “quasi industriale” che da questo momento attiverà per realizzare le altre serie prodotte. Particolarmente interessante sarà anche, data la complessità dell’oggetto e la sua stratificazione di contenuti, studiare la resa tridimensionale e la modellizzazione virtuale dell’oggetto, così da permettere una visione “in differita” dell’opera, da offrire al grande pubblico che altrimenti non potrebbe apprezzarlo nella sua completezza.

Come è consuetudine, l’Opificio delle Pietre Dure si avvarrà, per le indagini diagnostiche e la restituzione virtuale dell’opera, della rete di istituti di ricerca, universitari e del CNR, che collaborano con l’istituto fiorentino alla ricerca sui materiali dell’arte.

L’amicizia che legò Duchamp a Peggy Guggenheim durò una vita. I due si conobbero a Parigi, negli anni ’20, quando la collezionista si trovava in Europa insieme al marito, l’artista Laurence Vail, dove si ritrovò a frequentare la scena artistica parigina e il circolo degli espatriati americani. Quando nel 1938 la mecenate aprì la galleria d’arte Guggenheim Jeune a Londra, diede ufficialmente inizio a una carriera che avrebbe influenzato significativamente il corso dell’arte del dopoguerra. Fu Duchamp a presentarle gli artisti e a insegnarle, come lei stessa ebbe a dire nella sua autobiografia Una vita per l’arte (Rizzoli Editori, Milano 1998), “la differenza tra l’arte astratta e surrealista”. In merito all’opera dell’artista francese, sempre nell’autobiografia, Peggy scrive: “Spesso pensavo che sarebbe stato molto divertente andare a trascorrere un fine settimana portandosi dietro quella valigia invece della solita borsa che si riteneva indispensabile”.

Eleonora PERSICHETTI  april 2019