Bianca come il latte, pura come la Vergine. L’oliva bianca, da frutto mitologico a pianta sacra

di Monica LA TORRE

Una pianta magica il cosiddetto “olivo della Madonna”, una cultivar che come per magia produce olive che diventano bianchissime, una specie rarissima e a rischio d’estinzione, un tempo coltivata in prossimità dei luoghi di culto, quindi dimenticata da secoli.
Oggi riappare in Calabria, dove un’archeologa appassionata ne ha mappato la presenza.

Bianca come la neve, candida come un giglio, pura come la Vergine: il non colore, o colore della purezza, è da sempre abbinato alla sacralità. E la sua presenza, in Natura, affascina ed inquieta. Non fa eccezione la olea europaea var. leucocarpa, olivo dal frutto bianchissimo, che produce olio preziosissimo, raro e multiforme. Sacro agli Dei con ogni probabilità sin dal tempo dei Greci, l’olio è presente nelle cerimonie tanto pagane quanto cristiane.  Albero rigoglioso e tenace come solo l’olivo sa essere nel bacino del Mediterraneo, il suo frutto nasce verde: ma laddove nelle altre cultivar, maturandosi (invaiatura), vira al nero, in questa rarissima eccezione diventa candido.

La  bellezza  dell’anomalia

Il colore bianco delle drupe della leucocarpa dipende dagli antociani, mentre in tutte le altre cultivar l’attivazione della sintesi antocianica induce il colore nero del frutto maturo, nella leucocarpa questo processo non avviene. Si tenga comunque presente, però, che il candore acquisito persiste solo dalla maturazione avvenuta alla caduta dal ramo, che tra l’altro avviene tardissimo rispetto alle altre cultivar. E quando la drupa cade dall’albero, o appena si coglie, il candore si perde subito. Il bianco si macchia, l’ossidazione è immediata, dopo poche ore. E la leucocarpa si “annerisce” completamente.

L’olio  che  brucia  senza  far fumo

La straordinarietà di questo frutto però non è nelle sue qualità alimentari (che anche sono documentate nella tradizione popolare calabrese: se ne produceva l’olio per l’alimentazione dei bambini): ma nella composizione organolettica che permette al suo olio di bruciare senza fare fumo. Caratteristica, questa, che per secoli lo ha reso ideale per l’illuminazione delle chiese, e più in generale dei luoghi di culto, che esigevano materie di pregio, e per lo più dotati di scarsa aerazione, e quindi avvantaggiati dalle caratteristiche della leucocarpa.

L’archeologa  a “caccia” dell’olivo  bianco…

A parlarci di questa pianta magica, Anna Maria Rotella che da anni ricerca e cataloga gli esemplari secolari su tutto il territorio regionale, l’archeologa specializzata in archeologia classica lavora e opera in Calabria con amore e professionalità e della sua terra ama far “parlare” ogni piccola “traccia”: dal frammento di vaso antico, alle tante testimonianze “lasciate” dalle genti che vi si sono avvicendate. Adotta una metodologia della ricerca archeologica applicata con passione alla comprensione, lo studio e la valorizzazione di una terra ricca e dai mille segreti. «È con questa “deformazione professionale” diventata ragione di vita che mi sono accostata allo studio di questa cultivar », dirà di lei a tale proposito).

Il simbolo del Mediterraneo

«Sappiamo bene come l’olivo sia simbolo dell’identità mediterranea – dichiara l’archeologa -. E conosciamo altrettanto bene come quest’albero, pur presente in tutta la penisola, nella parte meridionale e nelle isole venga “messa a sistema”, e la sua coltivazione ed utilizzo perfezionati, con l’arrivo dei coloni dalla Grecia alla fine del VII secolo avanti Cristo. La leucocarpa non  fa eccezione.  Di certo, era già presente nei territori italici. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non ci sono elementi per pensare che sia stata portata da altri luoghi. E certamente, anche tra i greci non è difficile ipotizzare quanto fosse tenuta in considerazione, per le sue straordinarie caratteristiche».

Anfora di Vulci
Particolare raccolta greca

Il raro  che diventa magico…

«Il candore del frutto deve certamente aver suscitato interesse particolare – prosegue la Rotella-perché, ricordiamolo: è nella strutturazione della cultura greca in primis, che l’eccezionalità del frutto bianco deve aver fatto scattare la molla della sacralità. A questa stessa chiave di lettura devono aver soggiaciuto anche i romani, e quindi il mondo cristiano».

Per poi diventare sacro

La cristianità in particolare, fa scattare intorno alla bianchezza ed alla purezza tutta la sacralità legata alla Madonna, la cui verginità era dogma. «Visto che tutte le genti italiche attribuivano valore sacro a questo frutto così strano – specifica la studiosa –  va da sé che con il culto mariano il suo utilizzo divenne sistematico». A quale scopo? Per l’illuminazione dei luoghi sacri. «La drupa della Leucocarpa ha un’altra straordinaria caratteristica: quando l’olio che se ne produce viene bruciato, genera pochissimo fumo. Aspetto, questo, che unito al suo candore ed alla preziosità dovuta alla scarsa resa,  lo rendono il combustibile ideale per alimentare i lumi delle chiese antiche, la cui areazione era praticamente difficile. Da qui, il decollo di questa produzione, e la sua diffusione in tutti gli areali olivicoli adiacenti ai luoghi di culto».

La tenacia dell’essenza calabrese

Pianta in piena produzione

Eppure, questa pianta, oggi è presente essenzialmente in Calabria, con solo qualche sporadica pianta nel resto della penisola. «La regione sembra essere il baluardo della resistenza  dell’olivo bianco: la terra dove permangono più esemplari. Da 3 anni sono impegnata nella mappatura del suo secolare. Quando la mia ricerca è iniziata, si credeva che persistessero non più di una decina di esemplari. Ed anzi alcuni mi scrivevano che gli incendi li avevano distrutti completamente. Personalmente, ho mappato 120 esemplari, distribuiti in 80 dei 404 comuni calabresi».

 

Sfatiamo  i luoghi  comuni

La ricerca della Rotella è servita sia a mappare la presenza della Leucocarpa, che a sfatare i luoghi comuni più diffusi su questa specie. «I siti dove sono stati rivenuti gli ulivi bianchi,  smentiscono categoricamente i due luoghi comuni più diffusi su questa cultivar. Il primo, che fosse in uso essenzialmente presso le aree di diffusione dei monaci basiliani. (Non è vero: è ovunque). La seconda, che fosse una delle essenze utilizzate per la produzione dell’olio del crisma, l’olio sacro,  usato per le cerimonie (battesimo, cresima, unzioni ed un tempo incoronazioni, ndr): altro luogo comune. Nessun atto specifico della Chiesa indica a tale scopo il ricorso all’olio ottenuto dalle olive di colore bianco.  E di certo, ci fossero state indicazioni ben precise sulla tipologia di unguento da preferire, lo avremmo saputo dalle fonti. Ci saremmo trovati ricette e testimonianze. Invece, questa ipotesi non trova riscontro alcuno: cosa molto strana, per un elemento così centrale nella ritualità cristiana. Ne desumiamo con certezza che l’olio della leucocarpa era soprattutto l’olio per le lampade all’interno delle chiese. E proprio per questa sua funzione, doveva essere di grande pregio. Impensabile infatti l’uso nei santuari dell’olio lampante,  destinato ai lumi delle case, all’uso quotidiano dei civili.

Papa Francesco e l’Olio santo

La diffusione  della  Leucocarpa

Insomma, in alabria  la leucocarpa è attestata ovunque. Non solo sulla costa ionica, come si andava dichiarando da più parti. Bensì, è stata riscontrata una diffusione generalizzata. Non certo riconducibile ai soli siti basiliani, come si vociferava un tempo. Ma come si è arrivati alla sua quasi totale scomparsa?  «Se oggi è stata dimenticata – risponde la Rotella – è perché, venuta meno l’esigenza legata all’illuminazione all’interno delle chiese. E pertanto, data la  poca resa a livello produttivo, la bassa attrattiva da un punto di vista alimentare, è stata man mano messa da parte: le si sono preferite cultivar più funzionali». E ancora: «Se nelle altre regioni è del tutto scomparsa, e permane solo al Sud, in particolare in Calabria è perché l’areale della coltivazione dell’olivo in regione è privilegiata dall’assenza di gelate, oltreché dalla persistenza di una religiosità tradizionale sentita e forte. Fattori fondamentali nel garantirne, come abbiamo visto, la minima sussistenza».

L’olivo  bianco  nelle  altre  regioni

«Altrove, le condizioni climatiche e un diverso mondo religioso hanno fatto sì che la Leucocarpa scomparisse definitivamente, senza lasciar traccia. Nei paesi e nelle campagne, sarà stato impiantato finché l’uso tradizionale ne ha richiesto la coltivazione. Venuto meno utilizzo e funzionalità religiosa, non sono sussistite altre ragioni per proseguirne l’impianto e in alcuni casi gli alberi sono stati usati come portainnesto. Fortunatamente questo processo non è definitivo: nei mesi scorsi, parlando con  un contadino della ionica, questi mi raccontava di come dal taglio di un olivo antico nella sua proprietà, fosse “ritornata in vita” la leucocarpa.  Evidentemente, l’olivo bianco non più necessario era stato innestato con una produzione funzionale all’alimentazione dell’uomo. E questo può essere avvenuto in tanti altri casi. Voglio quindi sperare che anche se su molti di questi esemplari sono state innestate altre cultivar, la leucocarpa antica non è completamente persa: ma solo quiescente».

Una straordinaria bellezza

L’olivo bianco è di rara bellezza. Ed alcuni esemplari mantengono intatta l’aura magica che un tempo doveva accompagnarne i piantoni… «La pianta più bella e maestosa che abbia visto – confida la Rotella – è certamente il secolare di San Marco Argentano, che per quel che è possibile giudicare senza analisi sembrerebbe avere almeno più di trecento anni. Oggi, ricade in una proprietà privata: ma certamente, un tempo era di pertinenza del cosiddetto “luogo santo”,  ovvero della vicina Chiesa dei Martiri Argentanesi, un santuario extraurbano poco lontano dal monumentale olivo.  Altre certamente ce ne saranno, in Calabria come in altre regioni: ma sinché non le avremmo mappate tutte, sarà impossibile fare una stima, ed uno studio ragionato su origini e legami dell’olivo bianco».

San Marco Argentano

Il futuro,  ancora  incerto

«Ad oggi purtroppo non ci sono iniziative specifiche per mettere in sicurezza la cultivar: eppure, una progettualità fattiva sarebbe indispensabile ai fini del mantenimento della biodiversità oggi tanto osannata – dichiara l’archeologa -. Far riprodurre l’albero, donarne uno ad ogni santuario di Calabria, rimettendo “in gioco” la cultivar, ridargli visibilità, ricollocarla nei luoghi d’appartenenza: ecco azioni che potrebbero garantire la diffusione e la messa in sicurezza di questa essenza.

Una  proposta

«Il mio sogno è creare in Calabria “il percorso dell’olivo bianco”, che metta insieme la particolarità dell’albero con le sue aree di diffusione, i diversi paesi e luoghi di culto di pertinenza, la bellezza e maestosità degli areali olivicoli regionali. Un progetto che fonda tutto questo in un unico percorso, tale da esaltare questa  straordinaria specificità della Calabria. L’iter dovrebbe coinvolgere ad oggi almeno gli 80 comuni, e per questo mi rendo conto di come non sia certo semplice. Ma si potrebbe iniziare sensibilizzando gli enti preposti e le associazioni di categoria. E puntare così, in un solo colpo, a creare indotto attraverso la valorizzazione della nostra immensa ricchezza: patrimonio naturale, arte e cultura».

Monica LA TORRE Tropea 10 maggio 2020