Aspetti della committenza Albani in rapporto allo sviluppo della cultura marchigiana del Settecento

di Lorenza MOCHI ONORI

Pubblichiamo con vero piacere il testo che Lorenza Mochi Onori aveva scritto per gli atti (mai pubblicati) del convegno di studi “Gaetano Lapis e la cultura artistica nelle Marche a metà Settecento”. Organizzato da Paolo dal Poggetto, Bruno Toscano e dall’allora assessore Alberto Mazzacchera (che non pubblicò gli atti), risalente al 1994 tenutosi a Cagli, Palazzo Pubblico 29-30 ottobre 1994. Il saggio, se risente inevitabilmente del fatto che sia passato parecchio tempo e che intanto nuovi studi e nuovi contributi (vedi tra le altre in particolare sulle collezioni Albani le ricerche di Maria Barbara Guerrieri Borsoi), tuttavia si qualifica come importante contributo scientifico che merita ancora l’attenzi0ne degli studiosi per l’ampiezza dell’analisi e per la competenza argomentativa dell’autrice. Con questo intervento Lorenza Mochi Onori inzia la sua collaborazione con About Art .

Nella serie dei papi di origine marchigiana il papa Albani è forse quello che più caratterizza nel suo secolo l’ambito culturale della sua regione, pur tenendo conto che nel XVIII secolo il rapporto delle Marche con la cultura romana nel suo complesso è del tutto predominante.

Mandato a Roma all’età di undici anni, per studiare al Collegio Romano, retto dai Gesuiti e riservato ai giovani di nobile famiglia, il giovane Albani venne ammesso molto presto nell’Accademia di Cristina di Svezia a palazzo Riario e divenne un particolare protetto della Regina; già nel 1675 era uno dei principali membri dell’Accademia, come dimostra il panegirico dedicatogli nel 1692 da Pietro Cannetti.

La formazione del giovane Giovan Francesco e le sue scelte culturali future vanno inoltre ricercate in una linea di influenze del tutto coerente con lo sviluppo della cultura marchigiana. Le sue scelte passano, anche dopo la sua venuta a Roma, attraverso il rapporto con le committenze di famiglie particolarmente legate alle Marche, come la famiglia Barberini, che dall’epoca della devoluzione del ducato di Urbino alla Chiesa, nel 1631, aveva assunto, attraverso il ruolo del cardinal legato, le funzioni di committenza che già erano della casa regnante dei duchi Della Rovere.

Il rapporto fra i Barberini e l’Albani è diretto [1]. Grande influenza sul giovane Giovan Francesco aveva avuto lo zio Malatesta Albani, protetto di Urbano VIII Barberini che tuttavia morì nel 1644 prima di poterlo fare cardinale. Malatesta, legato quindi all’entourage francese dei Barberini, trasmise queste scelte culturali anche al nipote, che fu protetto in particolare dal cardinale Carlo Barberini. Il rapporto con i Barberini, rafforzato anche dal perdurare del loro legame con Urbino, definisce nel papa una linea di interessi che passa attraverso la scelta di rinnovare motivi culturali già predominanti nel circolo Barberiniano. Si può quindi stabilire un rapporto, se non altro di premesse di una linea culturale, fra le scelte artistiche del papa marchigiano e quello che sarà il clima culturale della formazione del giovane Lapis.

Nei primi dodici anni di pontificato dell’Albani, papa con il nome di Clemente XI dal 1700 al 1721, pittore ufficiale fu Carlo Maratti (1625-1713) mentre la carica di architetto del papa fu ricoperta da Carlo Fontana (1634-1714).

Maratti, erede, attraverso Sacchi, della linea del classicismo dei Carracci e sopratttutto di Raffaello, era prediletto dall’Albani ancora prima di divenire papa, come ricorda Leone Pascoli[2]. E non è da sottovalutare in questa scelta, oltre ad una coincidenza di linee culturali, l’origine marchigiana del pittore. Nel 1703 Clemente XI aveva acquistato la raccolta di disegni di Maratti, nella quale era compresa la collezione di disegni del Domenichino. La collezione stava per essere venduta ad un inglese, il papa intervenne, in linea con la sua politica di impedire l’uscita delle opere d’arte, ma anche per un preciso interesse nel collezionismo dei disegni; sempre nel 1703 infatti Clemente acquista per 4000 scudi la collezione di disegni di Cassiano dal Pozzo, dal pronipote Cosimo, (l’avvenimento è registrato anche dal diario del Valesio). Nel 1716 compra anche dagli eredi i disegni appartenuti all’architetto Carlo Fontana [3].

Mentre nell’ambito culturale le scelte del papa Albani sono coerenti con i nuovi indirizzi, anche se legate ad una linea di classicismo “tradizionale”, nell’ambito delle scelte politiche sono più evidenti le scelte reazionarie, non in linea con gli sviluppi della politica europea.

Le idee reazionarie del papa nella visione politica sono fonte dei suoi più gravi insuccessi [4]. Fanno parte di questa linea la  predilezione per gli Stuart, con il rifiuto di riconoscere gli Hannover sul trono d’inghilterra, l’avversione per i principi protestanti, l’inseguimento della ricostituzione di una Lega di principi cattolici e di una crociata contro i Turchi, nel 1714-15.

Nella sua visione politica rientra la passione per la prima cristianità come età aurea ed eroica della Chiesa, sulla linea che fu del Cardinale Baronio e dei grandi papi controriformati, da Pio V a Sisto V, assieme al culto delle reliquie dei martiri, (non bisogna dimenticare che fu Clemente XI a canonizzare San Pio V nel 1712). In questa linea “sistina” anche l’attenzione all’ampliamento della Biblioteca Vaticana, che però va assieme all’incremento della sua biblioteca personale. Peraltro l’esaltazione dell’epoca medioevale è perfettamente conseguente in un papa come Clemente XI che, in una posizione antistorica, intendeva riaffermare la preminenza della Chiesa sui poteri temporali.

E’ stato notato l’uso delle arti da parte del papa Albani a fini politici. Sia come raffigurazione di concetti che intendeva divenissero chiari ai destinatari dei dipinti, sia come glorificazione del suo papato. Anche qui il paragone è con l’uso più direttamente utilitaristico delle arti dei papi controriformati (Pio V, Gregorio XIII, Sisto V) ma nella maggioranza dei casi il fine perseguito era chiaramente diplomatico[5].

Clemente XI si concentra nel restauro e nell’abbellimento delle basiliche paleocristiane a cominciare dalle basiliche di S.Pietro e S.Giovanni in Laterano, simboli della cristianità.

In qualche modo si potrebbero ricondurre ancora una volta gli assunti del papa Albani nel riprogettare Roma iniziando dalle basiliche, nel ridisegnare piazze ed elevare obelischi e fontane, come gran parte della sua politica, agli schemi sistini e gregoriani e soprattutto di S.Pio V, il papa da lui voluto santo.

Non a caso, come si è detto, le più importanti imprese romane di Clemente riguardano la Basilica Vaticana e S.Giovanni in Laterano[6] e nell’ambito dei lavori per la basilica Vaticana l’impresa più rilevante è il concorso per la sacrestia di S.Pietro del 1715.

Fece anche eseguire, a pendant della statua equestre di Costantino del Bernini alla scala regia, una statua equestre di Carlomagno da Agostino Cornacchini (la scelta del soggetto è conseguente alla sua tendenza filofrancese).

Possiamo subito iniziare a rilevare il rapporto fra le scelte romane del papa e le opere inviate nelle Marche, infatti il Cornacchini è anche l’autore della statua del papa Albani, inviata ad Urbino nel 1710 e successivamente fatta collocare nel Duomo[7].

Date le premesse sulla personalità e gli interessi culturali del papa Albani infatti vorrei esaminare le sue scelte artistiche, documentate dalla sua collezione privata e il legame culturale con il suo luogo di origine, partendo da due documenti che ritengo fondamentali.

Il primo documento da analizzare è l’inventario del palazzo alle quattro fontane del 1790, che è stato pubblicato nel volume, edito nel 1980, “Il Cardinale Alessandro Albani e la sua Villa”, curato da Elisa Debenedetti, a seguito di una ricerca, durata vari anni, da parte di un gruppo di studiosi, fra cui chi scrive.

L’inventario del palazzo alle quattro fontane si riferisce alla situazione delle collezioni della famiglia nel 1790, ma soprattutto indica quali sono le opere acquistate personalmente dal papa e in quale periodo della sua vita, sia quando era cardinale sia dopo l’elevazione al soglio.

La linea generale delle scelte personali del papa nella collezione di dipinti è quella classicista già notata, che va da Raffaello ai Bolognesi, presenti anche con copie, con particolare attenzione ai Carracci, a Reni, con numerose opere del Domenichino, fino a Sacchi per proseguire con Cignani, Maratti e allievi.

Un’altra linea di collezionismo da sottolineare è la presenza massiccia di pittori marchigiani o legati strettamente alla cultura marchigiana, da Timoteo Viti e Raffaello (in questo caso coincide anche con la linea di interessi già tracciata); per di più sempre in rapporto con Raffaello sono presenti numerosi piatti istoriati, anche questi legati ad un interesse per una produzione artistica marchigiana[8].

Numerosi sono i dipinti di Barocci e dei suoi allievi, come Antonio Viviani, sono presenti anche molti esempi di ritrattistica della scuola del Barocci, soprattutto ritratti dei duchi[9].

Sono presenti alcuni dipinti di Andrea Lilli di Ancona e del Begni pesarese (del quale è presente un’opera nel duomo di Cagli), ed è da sottolineare che queste ultime sono scelte personali del papa quando era ancora cardinale.

Indicate queste premesse sulle scelte di fondo e le preferenze del papa, è necessario in questa sede soprattutto fare il punto sulla pittura coeva e direttamente legata alle scelte della sua committenza ufficiale, quale compare nella collezione.

Sono comprati personalmente dal papa quando era cardinale due dipinti su specchio di Garzi, raffiguranti “Mosè e la figlia del Faraone” e “Rachele e Giacobbe”. Luigi Garzi riceve commissioni dall’Albani, è uno dei pittori che lavora agli ovali del ciclo di S.Giovanni in Laterano[10]. Inoltre Garzi dipinge il quadro per il duomo di Cagli nel 1704, tramite il conte Berardi[11]. E’ da notare che, anche in questo caso, la committenza della cittadina marchigiana, patria del Lapis, è perfettamente in linea con la committenza papale.

Il Trevisani è presente con una “Deposizione con angeli”, donata al papa dall’Ottoboni, suo principale committente; peraltro numerose opere del Trevisani sono presenti nella collezione urbinate degli Albani, come vedremo in seguito.

Sono ricordati nell’inventario romano quadri di canonizzazione; di Giuseppe Ghezzi (“S.Giovanni di S.Facondo”), di Chiari (“Beata Mafalda”), e Odazzi (“Beata Teresa di Galizia e Beata Sancia di Portogallo con gloria di angeli” e “S.Felice da Cantalice con la Vergine e il Bambino”).

Cignani è presente fra i “disegni di buona mano”, non a caso con il disegno per il quadro del duomo di Urbino “La natività della Beata Vergine con S.Gioacchino, alcuni Angeli e donne, primo pensiere fatto dal Signor Cavalier Carlo Cignani per il quadro che fa d’ordine di Nostro Signore per il Duomo di Urbino con cornice dorata ecc. donato dal medesimo Sig.Cignani”.

Carlo Cignani, Natività della Vergine con i santi Anna, Gioacchino e angeli, Urbino, Duomo, fonte Catalogo generale dei Beni Culturali

Sempre del Cignani, ma anche questo ricevuto in dono, non acquistato, è

un quadro grande tondo in cima, di palmi 15 di altezza e palmi 9 di larghezza rappresentante il Beato pellegrino sostenuto da un  angelo, ed una croce col crocifisso, che porge una mano con una gloria di vari angeletti, di mano del Cavalier Carlo Cignani[12].

Fra le opere di Maratti è ricordato come acquisto diretto del papa un

“Quadretto ovato di palmi 1 e 1/2  e di larghezza palmi 2 in circa rappresentante il bambino che dorme con S.Giovanni Battista che gli bacia la mano”.

Sono sempre del Maratti

“Due disegni compagni alti palmi 2 e 1/4 e larghi palmo 1 rappresentanti uno il battesimo del centurione et altro il battesimo dei santi Procesio e Martiniano in acquarello lumeggiato di biacca, e sono li pensieri fatti dal Maratti delli due quadri laterali, che sono stati dipinti nella cappella del Battistero a S.Pietro”

e due bozzetti centinati uno con “La Vergine col Bambino S.Francesco e S.Giacomo”, per la cappella Montioni in S.Maria in Montesanto[13], l’altro raffigurante “La Concezione”, bozzetto del dipinto della cappella Cybo a Santa Maria del Popolo. Il dipinto della cappella Cybo raffigurante “L’Immacolata concezione adorata dai Santi Giovanni Evangelista, Giovanni Crisostomo, Gregorio e Agostino”, fu commissionato dal Card. Alderano Cybo[14], e finito nel 1686, la cappella fu eseguita da Carlo Fontana che su questo stesso modello eseguì la cappella Albani a S.Sebastiano.[15]

I bozzetti per i profeti di S.Giovanni in Laterano di Nasini, Luti, Benefial, Muratori sono segnalati successivamente nell’inventario di Palazzo Albani alle quattro fontane del 1817 e del 1819[16].

Del Luti sono ricordati nell’inventario del 1790 un quadro alto palmi 3 e largo 2 rappresentante laDecollazione di S.Anastasio con un soldato che mette la spada nel fodero, con gloria di angeli” ed un quadro in tela di testa rappresentante la “Beata Vergine a sedere che legge col Bambino nella culla che dorme, S.Anna, S.Giovanni Battista” di mano di Benedetto Luti[17]. Il dipinto si riferisce precisamente al quadro di identico soggetto già a Vienna, Furich Galerie[18].

Esaminata la collezione romana del papa si possono notare le differenze con la committenza sua e della sua famiglia per Urbino e in particolare la raccolta di dipinti conservata nel palazzo della sua città natale.

Diversa e più marchigiana è la scelta della collezione del palazzo Albani di Urbino, per la quale il documento più preciso potrebbe essere considerato il manoscritto del Dolci del 1755, che riporta le “Notizie sulle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi di Urbino”[19].

Questo è il secondo documento che si intende prendere in esame, dopo l’inventario romano, ed è fondamentale per sottolineare il rapporto che intercorre fra le collezioni della famiglia papale (con particolare riferimento alle opere scelte dal papa e legate allle grandi committenze romane), e le opere mandate ad Urbino dal papa, in relazione diretta inoltre con il suo interesse per lo sviluppo della cultura artistica nella sua patria. Infatti il papa, che manifesta una forte avversione nell’applicare criteri nepotistici nel favorire la sua famiglia, non ha nessuna remora nel favorire in tutti modi il suo paese natale.

Dal testo del Dolci può essere anche dedotta quella che è la consistenza del patrimonio artistico urbinate alla metà e alla fine del Settecento.

Il manoscritto è inoltre anteriore al terremoto del 1781 e al conseguente crollo del Duomo del 1789, ma riveduto dopo questo avvenimento. Da questo documento si possono riscontrare le tendenze precise degli interventi  settecenteschi nelle chiese urbinati, che possono essere tutti fatti risalire alla diretta influenza delle scelte del papa e che determinano anche le tendenze della committenza della sua famiglia. Il quadro che se ne trae è molto indicativo, raffrontato anche alle tendenze del collezionismo del papa, per definire un tipo di cultura che è poi quella che direttamente influenzò le prime tendenze del giovane Lapis.

Cominciando ad esaminare le opere del Settecento della più importante chiesa di Urbino, il Duomo, vediamo che nella Cappella del Sacramento vi erano:

Sopra la tribuna di S.Pietro ed il Sacro Fonte il Mosè supplicante a destra ed il Re o sia temerariamente sacrificante a sinistra sono opera di Ercole Procaccini Bolognese, (aggiunto poi: questi non sono più per essere stata rimodernata la chiesa e trasportati in corte) Sotto a queste la Debora, la Giuditta il Re David e Geffet sono opera del Cavalier Franceschini bolognese[20].

Nell’inventario romano del 1790 erano già ricordati due dipinti del Franceschini:

“Un quadro di palmi 3 rappresentante un Filosofo che tiene una mano alla testa, e legge alcuni libri di mano del Franceschini con cornice intagliata e dorata”, di seguito “un quadro di palmi 7 e 5 rappresentante la lotta di Giacob con l’angelo, e altre figure simboliche, e alla fine coll’arme di sua Santità, di mano del Franceschini con cornice intagliata e dorata”.

E’ da ricordare che il senato di Bologna incarica proprio il Franceschini di dipingere due opere mandate in omaggio al papa.

Sempre per il duomo, per la cappella della Concezione, era stata inoltre commissionata la “Natività della Vergine” del Cignani, il cui bozzetto abbiamo visto nella collezione romana del papa. Nella stessa cappella è di Maratti “L’Assunzione della Vergine”, commissionata direttamente dal papa nel 1707 e terminata dal Chiari[21].

E’ necessario tenere presente, nel panorama della cultura urbinate del momento, l’importanza della committenza non solo del papa ma anche della sua famiglia, in particolare le scelte del cardinal Annibale, che pure sono in linea con quelle dello zio. Basti ricordare ad esempio la chiesa di S.Domenico, che fu fatta rinnovare negli anni 1729-32 da Annibale Albani, ad opera di Filippo Barigioni, allievo di Carlo Fontana. Barigioni aveva collaborato col maestro alla realizzazione della cappella Albani in S.Sebastiano e aveva realizzato, sempre su commissione del papa, l’altare della Beata Michelina in S.Francesco a Pesaro nel 1708.

Ritornando alla descrizione del Dolci, proprio della chiesa urbinate di S.Domenico

“Dove sull’altare è la pala della Madonna del Rosario di Giovanni Conca, al terzo al quarto e al quinto altare copie dei Carracci Lanfranco e Guercino di Giovanni Conca”,

si rileva nuovamente l’interesse per la ripresa della cultura bolognese.

Nella stessa chiesa la guida di Lazzari [22] e Giovan Battista Pericoli [23] ricordano più precisamente dipinti con “S.Sebastiano” e “La comunione di S.Girolamo”, copie da Domenichino, e “Il Miracolo di S.Pietro” e la “Crocifissione” come copie non identificate da pittori bolognesi. In realtà si tratta di copie dal Cigoli la prima e dal Passignano la seconda, eseguite da Giovanni Domenico Campiglia e Giuseppe Nicola Nasini (quest’ultimo uno dei pittori attivi nella commissione di S.Giovanni in Laterano)[24].

Giuseppe Passeri, Sant’Agata in carcere, Galleria Nazionale delle Marche, fonte Catalogo generale dei Beni Culturali

Nella Chiesa parrocchiale di S.Agata è ricordato dal Dolci un ovato sopra all’altare con “S.Giuseppe Colasanzio” “di mano moderna, scuola romana”, nel Collegio dei Padri delle Scuole Pie, fatto edificare da Clemente XI, il “ritrattto di Clemente XI di scuola romana moderna e, nell’Oratorio dei convittori, la S.Agata in carcere” del Passeri, attualmente nella Galleria Nazionale delle Marche, si tratta di una committenza ad un pittore che, come vedremo, è molto attivo per Clemente XI e che passa direttamente dalla committenza Barberini alla committenza Albani.

Alla Chiesa di San Francesco, restaurata nel 1740, il Card. Annibale dona i due dipinti provenienti dalla decorazione a mosaico di S.Pietro. Il Dolci ricorda nella “Cappella grande a cornu evangeli S.Pietro che battezza il centurione del Passeri“, in realtà la tela con il “Battesimo del centurione Cornelio” è di Andrea Procaccini [25], modello per il mosaico della cappella del Battistero in S.Pietro, (Dolci scambia le due tele, dando poi a Procaccini quella di Passeri).

La decorazione della cappella del Battistero era stata affidata nel 1695 a Maratti, che nel 1698 aveva quasi terminato la tela per l’altar maggiore con il “Battesimo di Cristo[26], posto poi nel 1725 nel coro della chiesa di S.Maria degli Angeli. I due quadri laterali furono affidati nel 1705 a Passeri e a Chiari, al secondo subentrò il Procaccini nel 1710.[27]. In questo dipinto è chiara una diretta ripresa di modelli raffaelleschi, quasi a voler mostrare di adattarsi massimamente alle preferenze della committenza[28].

Sempre in S.Francesco, Dolci ricorda il “S.Pietro che sana la lebbra all’imperatore Costantino”, indicandolo come di Procaccini; in realtà si tratta di “S.Pietro che battezza i Santi Processo e Martiniano” del Passeri, dipinto eseguito, come documenta Di Federico[29], fra l’estate del 1709 e quella del 1711, per essere riprodotto a mosaico nella cappella del Battistero a S.Pietro[30]. Nel dipinto Passeri seguì l’idea e il disegno di Maratti e fu ricompensato con 300 scudi dei 700 pagati per il mosaico completo[31].

In questo stesso periodo Passeri esegue altre importanti commissioni per il papa, fra il 1707 e il 1712[32] il dipinto con “Papa Fabiano che comunica Filippo l’arabo” per la cappella Albani in S.Sebastiano dedicata a S.Fabiano, pendant della “Elezione di S.Fabiano” di P.L.Ghezzi. La cappella è opera di Carlo Fontana, che riprende il modello della cappella che aveva eseguito per i Cybo in S.Maria del Popolo[33].

Del dipinto del Passeri è presente il bozzetto nella collezione romana degli Albani, scelto e donato personalmente dal papa al nipote Carlo:

“un quadro di palmi 3 e 2 ovato in cima rappresentante S.Fabiano papa in atto di battezzare i due Filippi, di mano del Passeri, primo pensiere del medesimo pittore del quadro eseguito in grande, esposto nella cappella di detto santo nella chiesa di S.Sebastiano fuori le mura, e donato da Sua Santità a me Carlo Albani”[34].

ll dipinto di Passeri della chiesa di S.Francesco ad Urbino presenta una maggiore compostezza ed equilibrio di impostazione rispetto al dipinto di Roma. Passeri, allievo di Maratti, mostra il suo rapporto con la pittura barocca, nell’impostazione e nella stesura rapida a colpi di pennello; nel lavoro per gli Albani però sembra riesaminare i suoi legami con Bologna, in una linea che sembra la più gradita alla committenza.

Passeri da giovane, nel 1678, quando aveva 24 anni, aveva lavorato per i Barberini nel palazzo alle Quattro Fontane, decorando le sale dell’appartamento al piano terreno nell’ala nord[35]. I Barberini possedevano inoltre un bozzetto con “Cristo che dà le chiavi a S.Pietro”, ora al Circolo Ufficiali delle Forze Armate, Palazzo Barberini, forse una prima idea per il dipinto della chiesa di S.Maria in Vallicella, pendant del “Mosè che rompe le tavole della legge” per il ciclo di dipinti[36], voluto dai padri dell’oratorio per l’anno Santo 1700, nella cui committenza ebbe parte il Card. Carlo Barberini.

Il dipinto compare nell’inventario del palazzo Barberini del 1844, assieme ad un altro bozzetto dello stesso pittore, di formato più piccolo, raffigurante la “Resurrezione di Lazzaro”, era collocato nella II sala dopo la sala del trono, nell’ala sud, poco lontano da dove è tuttora[37]. Il dipinto per i Barberini, attualmente in cattive condizioni, mostra un riferimento ancora più preciso alla pittura barocca, nell’esasperazione del taglio diagonale e nei riferimenti cortoneschi. Peraltro Passeri, assieme a Giacinto Calandrucci, è l’allievo preferito di Maratti, la sua formazione era sui bolognesi e su Raffello. I suoi rapporti con il papa Albani sono precedenti alla sua elevazione al soglio. Nell’inventario del 1790 è ricordato un suo ritratto del papa quando era ancora Cardinale, commissionato da Orazio Albani subito dopo l’elezione del pontefice. Passeri esegue inoltre opere in onore del papa appena eletto, come il disegno per l’incisione “La tiara papale offerta al card. Albani“di Dusseldorf[38], il disegno del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi con “Clemente XI con la Fede e la Giustizia” e il disegno di Dusseldorf “Clemente XI come nuovo Sansone”  Anche il disegno con “La pazzia di Aiace” di Halkham Hall, Viscount Coke, corrisponde ad una incisione di Dusseldorf, sormontata dal ritratto di Clemente XI e fatta da Nicolas Dorigny da Passeri.

Giuseppe Ghezzi, San Giovanni e San Pietro, Urbino, chiesa di San Francesco, Cappella Albani, fonte Catalogo generale dei Beni Culturali

Nella chiesa vecchia  di S.Francesco ad Urbino, nella cappella Albani, il Dolci ricorda la pala dell’altar maggiore con “S.Pietro e S.Giovanni” del Ghezzi e alle pareti due ovali di Carlo Roncalli, personaggio che è ricordato anche nell’Oratorio(chiesa) di S.Giuseppe come autore di quattro quadri grandi con le “Gesta di S.Giuseppe” e dell’affresco sul soffitto, che avrebbe eseguito nel 1711. Carlo Roncalli lavora direttamente per gli Albani anche nel palazzo di Urbino, nella settima camera è infatti ricordata la “pittura sul soffitto di Carlo Roncalli”, si tratta della sala delle stagioni, mancante della parte centrale[39]. Nella sacrestia di S.Giuseppe sono ricordati anche due ritratti di Giacomo III, sempre in relazione alla sua presenza ad Urbino ed al suo rapporto con gli Albani[40].

Un altro pittore che riceve numerose commissioni dagli Albani è Agostino Masucci. Dolci ricorda nell’Ospedale: un “quadro grande dell’altare con la Nascita della Vergine di Agostino Masucci”. Nell’oratorio di S. Gregorio, commissione da Annibale Albani, sono ricordati i quadri laterali con le “gesta di S.Gregorio” di Agostino Masucci.  I due dipinti del Masucci, attualmente conservati nel Museo Albani (Museo Diocesano di Urbino), raffigurano “S.Gregorio tratto al soglio pontificio”, certo con un riferimento alla riluttanza di Giovan Francesco ad accettare la tiara, e “Gesù appare pellegrino a S.Gregorio“. Bisogna anche ricordare le tele del Masucci con “L’Angelo Annunciante” e “La Vergine Annunciata” e “S.Pietro e S.Paolo” del Museo Albani. Masucci lavora con Procaccini e con Maratta ed è in diretto rapporto con Chiari, ed è pittore dell’ambito degli Albani, in questo caso di Annibale[41].

Particolarmente interessante è ovviamente il riscontro delle opere conservate specificatamente nel Palazzo dei principi Albani ad Urbino[42].

Con le altre famiglie nobili urbinati la collezione degli Albani ha in comune la scelta di dipinti di pittori attivi ad Urbino, come Timoteo Viti, e il grande interesse per opere di Raffaello, di Barocci e allievi, fino al pesarese Cantarini e una predilezione per i pittori bolognesi, e in ciò si ritrovano motivi già presenti nella collezione romana degli Albani e in particolare nelle opere scelte dal papa direttamente.

Sono inoltre  particolarmente ricordate dal Dolci nella collezione urbinate, due piccole opere di Garofalo, una “Natività” in rame di Polidoro da Caravaggio, indicata come “bellissima”. Sono ricordate in termini di lode anche una “Sacra Famiglia” e una “Madonna con S.Gioacchino e S.Anna” dello Strozzi (il “prete genovese”), indicata quest’ultima come “bellissima e magistralmente toccata”.

Sono però da sottolineare, fra i quadri ricordati dal Dolci, i dipinti in rapporto con le  committenze romane, del papa Albani.

E’ da considerare però a parte il caso di Alessio De Marchis, particolare protetto del papa dopo le sue vicissitudini giudiziarie[43]. Di Alessio sono ricordati numerosi quadri negli inventari romani e nel palazzo di Urbino, dove esegue anche i sovrapporte e i sottofinestre con vedute di fantasia. Sempre nel genere dei paesaggi e delle vedute, sono ricordate dal Dolci due vedute di Urbino di Gaspar Van Wittel nella anticamera – galleria dell'”appartamento contiguo”,  4 quadri nella quinta camera, 6 vedute di Roma nella sesta stanza e 4 paesaggi  nella settima stanza.

Francesco Trevisani è ricordato con alcuni ritratti, a cominciare con i ritratti di Luigi XIV e della regina di Francia nella camera contigua alla prima galleria, “quattro belli ritratti semibusti” nella quinta camera, “Giovanni re di Polonia a cavallo” e due ritratti nella settima camera dell’appartamento contiguo e inoltre, nelle camere contigue alla galleria, “Ritratti di principi e di principesse di Trevisani e di suoi allievi similmente di alcuni pontefici”;  sono poi ricordate altre sue opere, come una “Pallade che sostiene il ritratto di un cardinale” nella quinta camera  una “Madonna in semibusto raffigurante la Concezione” nella seconda camera a sinistra.

Francesco Trevisani, Apelle ritrae Campapse, Pasadena, Norto Simon Museum

Nell’anticamera-galleria del secondo appartamento è citato il dipinto di Trevisani con Apelle che ritrae Campaspe”. Questo dovrebbe potersi identificare con il dipinto che è attualmente al Norton Simon Museum di Pasadena, datato e firmato sul retro al 1720[44], che corrisponde perfettamente alla descrizione del Dolci: “piccolo quadro che esprime …Apelle in atto di fare il ritratto alla bella Campaspe Larissea alla presenza di Alessandro Magno”. Inoltre è citato nel palazzo dal Dolci, che lo dà per perduto, un piccolo dipinto con “S.Lorenzo sulla graticola”, sempre di Trevisani, che potrebbe essere riferito ad un dipinto di simile soggetto in collezione privata a New York, messo in rapporto stilistico con il precedente da Di Federico[45].

Sempre di Trevisani è ricordato un dipinto con “La regina Stratonice con il re di lei consorte, ed il figlio in letto, appresso il filosofo medico che fa notare al re la malattia del figlio”  e il “Transito di S.Giuseppe” nell’anticamera – galleria, ora nella Galleria Nazionale delle Marche[46].

E’ ricordato nel palazzo il “Miracolo del bimbo risuscitato da S.Andrea Avellino” riportato come Ghezzi nella descrizione del Dolci, da tutti gli inventari, fino a quello del 1852, e dal Nardini[47]. Sono menzionati inoltre, sempre nell’anticamera – galleria, “due quadri compagni” con “un Santo Pontefice morto ed esposto con molte figure” (è il bozzetto della “Traslazione del corpo di S.Clemente” di Giovanni Odazzi, per l’affresco omonimo di S.Clemente) e un “Santo martire fra i leoni” (si tratta del “Martirio di S.Ignazio di Antiochia”, bozzetto per l’affresco della chiesa di S.Clemente di P.L. Ghezzi[48]), e inoltre una “Strage degli innocenti” nella quinta camera.

Francesco Mancini, Cristo incorona san Clemente e sant’Agostino, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, fonte Catalogo generale dei Beni Culturali

Di Francesco Mancini sono presenti nella collezione urbinate degli Albani, unaMadonna Addolorata” in una delle camere contigue alla prima galleria, un “Santo monaco” nella sesta camera del secondo appartamento.  Nella seconda camera a sinistra del primo appartamento sono ricordati “due quadri compagni uno con S. Anna con la Vergine e S. Gioacchino e l’altro con Cristo in gloria che porge la corona a S. Clemente e S.Agostino di Francesco Mancini“. Il primo dipinto è nella Galleria Nazionale dell’Umbria, e il bozzettone è nella collezione Busiri Vici a Roma, il secondo è nella Galleria Nazionale di Urbino, e il bozzettone in collezione privata romana[49]. Il dipinto di Perugia è firmato e datato 1732, la presenza dei due dipinti nella collezione Albani è quindi legata certamente ad Annibale. E’ stato notato in ambedue i dipinti, non accostati dalla critica come pendant, la scelta di una composizione decisamente classica, chiusa e semplificata, in qualche modo da far corrispondere ad una linea di preferenze della committenza.

Nella sesta camera sono ricordate le copie dei sette sacramenti del Crespi.

Di Paolo De Matteis (del “Mattei Napoletano”) sono citati quattro dipinti: “Gesù che risuscita Lazzaro dal Monumento, con altre figure”, “La Pittura”, che potrebbe identificarsi con un bozzetto della grande tela con l’ “Allegoria della Divina Sapienza che incorona la Pittura regina delle arti”, (firmato e datato in maniera incompleta 168..), attualmente al Getty Museum di Malibu, [50], “L’Aurora con il Tempo, in aria”, che si può identificare con il bozzetto raffigurante “L’Aurora con il carro del sole” in cui è raffigurato anche il  Tempo, conservato al castello di Pommersfelden [51] e inoltre un “S.Gaetano in semi busto, con il Bambino in braccio” nell’anticamera – galleria.

Di Sebastiano Conca, pittore attivo in committenze romane del papa, è presente nella collezione urbinate una “S.Cecilia”. Il dipinto può essere messo in rapporto con la “S.Cecilia” della New York Central Picture Gallery, nella quale in particolare Sestieri[52] nota il fare pacato del dipingere e gli spunti dal Domenichino, che sembrano rientrare nelle linee di committenza indicate.

Sono naturalmente presenti nella collezione numerosi dipinti di Maratti, il “Ritratto di Clemente XI a  figura intera grande al naturale”, (nella sesta camera una “galleria con i ritratti di tutti i cardinali creati da Clemente XI” della scuola di Maratti). E’ ricordato come di Maratta il “Martirio di S.Clemente” del Grecolini[53], nell’anticamera – galleria. Questo ultimo dipinto è in relazione alla presenza, già ricordata in palazzo Albani, dei bozzetti della decorazione di S.Clemente a Roma. Nella quinta camera sempre di Maratti sono ricordati  “quattro quadri con santi”, inoltre il “Presepio”, “Narciso alla fonte” e “S.Pietro al martirio”.

Nell’anticamera – galleria di palazzo Albani sono citati i bozzetti del Maratti per i cartoni della cupola del duomo di Urbino

“quattro quadri rappresentanti il Paradiso e il discacciamento degli spiriti ribelli, che sono gli abbozzi fatti per la cupola del duomo, del celebre Carlo Maratta[54].

La cupola crollò nel 1789, distruggendo anche l’altare, opera di Alessandro Specchi e dono del papa alla cattedrale, il crollo fu annunciato da numerosi segnali ma non furono presi provvedimenti per salvare l’edificio, (il dissesto era conseguenza del terremoto che nel 1781 aveva distrutto anche il duomo di Cagli[55]). Come ricorda Amico Ricci[56] anche i frammenti dei cartoni furono portati a palazzo Albani dopo il crollo della cupola.  I Cartoni erano quelli della cappella della presentazione in S.Pietro, commissione data a Maratti nel 1675, rinnovata da Clemente XI nel 1704, l’incarico passa poi al Chiari che nel 1708, come ricorda Leone Pascoli nella vita di Giuseppe Chiari,

“fu impegnato ad andare a collocare nella metropolitana di Urbino i cartoni che lui aveva fatto per i nominati musaici in S.Pietro”.

Per la cupola del duomo di Urbino potè usare solo 6 dei 12 cartoni eseguiti per la cappella della Presentazione, aggiungendo alcune figure nella parte bassa.

Chiari lavora in diverse occasioni per gli Albani, nei restauri della basilica di S.Clemente ebbe l’incarico di affrescare il soffitto[57]; il papa lo incaricò di eseguire uno dei modelli dei 4 arazzi per la cappella pontificia, da tessere nel laboratorio del S.Michele, su modelli del Maratti (assieme ad Andrea Procaccini, soprintendente alla manifattura, Pietro de Pietri e Giuseppe Passeri). Il cartone che eseguì Chiari è quello della “Pentecoste” (1718). Chiari, come Passeri aveva lavorato per i Barberini in due affreschi per il palazzo alle 4 fontane[58].

Importante commissione degli Albani a Giuseppe Chiari è il dipinto con l’“Allegoria della Chiesa” (la Navicella di S.Pietro) dell’Accademia di S.Luca. Di questo la Guerrieri Borsoi[59] ha dimostrato che la prima versione è quella, diversa, del vescovato di Frascati, donata da Clemente a Giacomo Stuart, pretendente al trono d’Inghilterra, giuntavi attraverso il secondogenito di Giacomo, che vi fu vescovo.

Clemente XI aveva sempre fatto della protezione del pretendente cattolico al trono inglese un caposaldo della sua politica.[60] Bisogna ricordare che il pretendente visse ad Urbino in più riprese, in quella parte del Palazzo ducale che prese il nome di appartamento del re d’Inghilterra, ospite di fatto degli Albani (anni 1717-18, 1722). Anche a questa posizione politica del papa nei confronti degli Stuart si legano altri dipinti che vengono ricordati ad Urbino dal Dolci, cioè un “Ritratto di Giovanni di Polonia a cavallo” del Trevisani, nel palazzo Albani nella VII camera, (Trevisani sembra essere il ritrattista ufficiale, moltissimi ritratti di re e principi nel palazzo di Urbino degli Albani sono ricondotti a lui) e due dipinti del palazzo dei signori Bonaventura, un quadro di Agostino Masucci con “il matrimonio di Giacomo III e Maria Clementina” ed il pendant del Ghezzi con “la nascita del primo figlio della coppia[61].

Sempre in linea con le scelte degli Albani nella cappella di questo stesso palazzo, la pala è del Trevisani con “La Vergine, S.Giuseppe e S.Alessandro martire“. Nella biblioteca Albani era presente inoltre un volume, attualmente a Windsor[62], che reca impresse le armi di Clemente XI, con le copie dei rilievi della facciata del palazzo ducale[63]: le incisioni dei rilievi erano destinate ad illustrare un testo di Francesco Bianchini del 1724 “Memorie concernenti la città di Urbino” dedicato da Annibale Albani al pretendente al trono d’Inghilterra, Giacomo Stuart.

Francesco Treviusani, San Pietro battezza il centurione Cornelio, Galleria Nazionale delle Marche,fonte Catalogo generale dei Beni Culturali

Non sono specificatamente ricordati nella descrizione del Dolci del palazzo Albani di Urbino e nell’inventario del 1790 del palazzo di Roma i quattro bozzetti del Trevisani per i cartoni dei mosaici del vestibolo della cappella del battistero in S.Pietro, raffiguranti le quattro parti del mondo, “Europa”, “Asia”, “Africa”, “America”, ricordati invece nell’inventario del palazzo di Urbino del 1818[64], nell’inventario del 1852[65] e dal Nardini[66] nella sua descrizione della Biblioteca Albani. I quattro dipinti sono attualmente conservati nella collezioni della Galleria Nazionale[67], acquistati nel 1972. Nelle collezioni della Galleria è presente un altro bozzetto per le lunette della stessa decorazione, il “S.Pietro che battezza il Centurione Cornelio”, acquistato nel 1974 sul mercato antiquario[68]. Un’altra serie di bozzetti per le lunette del vestibolo della cappella del Battistero sono conservati nella pinacoteca Tesei Pianetti di Jesi, che R.Valazzi (com.or.) ritiene siano anch’essi di provenienza Albani.

I bozzetti della quattro parti del mondo sono probabilmente stati presentati nel 1709 alla morte del Gaulli al quale Trevisani subentrò nella commissione, i cartoni relativi furono eseguiti intorno al 1713-23 e furono poi trasferiti nei pennacchi della cupola del duomo di Urbino, crollata nel 1789[69]. Si ha quindi un continuo riferimento reciproco fra la collezione degli Albani e i cartoni fatti portare a decorazione delle chiese di Urbino, diretta emanazione delle scelte di committenza della famiglia.

Numerosi ancora sono i cartoni della decorazione musiva di S.Pietro che  furono trasferiti ad Urbino a decorarne le chiese. Bonaventura Lamberti, allievo del Cignani dipinse due dei cartoni per i vani tra gli archi (sordini) della cappella degli angeli e di S.Petronilla in S.Pietro, “Elia e l’Angelo” e “Tobia e l’angelo“, l’incarico risale all’inizio del secondo decennio[70]. Lamberti lavora per il papa Albani alla Cancelleria con Franceschini (1718), e lavora nelle Marche[71].

Alla morte del Lamberti la commissione della cappella fu completata da Lorenzo Gramiccia con ilS. Pietro che battezza S.Petronilla” e da Marco Benefial con il “S.Nicodemo comunica S.Petronilla” . Tutti e quattro i cartoni sono ricordati ad Urbino nei sordini delle due testate del transetto della cattedrale[72]. Quando la cupola crollò il transetto non ebbe danni eppure le tele scomparvero[73].

La provenienza delle opere è tramite gli Annibale Albani, molto attivo ngli anni del terzo decennio per la città di Urbino. Per suo volere vennero collocati nella cupola di S.Chiara i cartoni delle campate della navata destra antistante la cappella del Crocifisso (ora detta della Pietà) con il tema dell’esaltazione della Croce[74]. Questi sono stati oggetto di un importante restauro che conferma l’ipotesi della mano del Cortona avanzata da S.Rudolph[75], per questi si rimanda anche agli studi in atto della Dott.ssa Maria Giannatiempo che dirige i lavori di restauro.

Lorenza MOCHI ONORI  Roma 6 Novembre 2022

NOTE

[1]Il rapporto con i Barberini era iniziato quando Orazio Albani era stato scelto da Francesco Maria II, ultimo duca di Urbino, per trattare con Urbano VIII, nel 1624, la questione della devoluzione del ducato, che fu stabilita secondo gli accordi del 1626 e avvenne, nel 1631, alla morte senza eredi del duca. Vedi anche F.Canuti, “Catalogo dei manoscritti che esistevano in Urbino nella Biblioteca del Papa Clemente XI (Giovan Francesco Albani) con notizie della famiglia Albani e descrizione del palazzo Albani in Urbino”, Fano 1939.
[2]Clemente XI conferì al Maratti l’ordine di Cristo con una fastosa cerimonia, sul modello di quanto aveva fatto Giulio II con Raffaello, L.Pascoli, “Vite”, ed.  a cura di V.Martinelli, Perugia 1992, p.206.
[3]Per la consistenza e le vicende della collezione di disegni di casa Albani vedi S.Valenti Rodinò, I disegni di Casa Albani, in “Alessandro Albani patrono delle Arti. Architettura, pittura e collezionismo nella Roma del ‘700”, a cura di E. Debenedetti, Roma 1993, pp.15-69. Domenichino aveva lasciato i suoi disegni a Francesco Raspantino alla sua morte nel 1641, ed era stata venduta alla morte di questi nel 1644. Dopo la morte del Maratti nel 1713 la figlia Faustina vende il resto della collezione (nel 1714). Il nipote del papa, il Cardinale Alessandro Albani, venderà tutta la collezione a Giorgio III d’Inghilterra nel 1762. Alessandro compie questo scempio dopo la morte del fratello Annibale (m.1752) e per precise necessità economiche, il gesto sembra negare tutti i principi di tutela promulgati dello zio, tuttavia questo interessantissimo personaggio, antiquario, collezionista, commerciante privo di scrupoli, compie tutte le sue scelte sempre nel solco dei suoi interessi culturali ed artistici, le necessità che lo stringevano erano legate proprio ai suoi gusti di collezionista di opere classiche e alla realizzazione della villa sulla Salaria che ne era il tempio. Per la sua importanza nella cultura romana del momento, di indirizzo ormai decisamente neoclassico, basterà ricordare la presenza di Winkelmann al suo servizio, che fece un’indice della raccolta di disegni. La straordinaria qualità della sua raccolta di opere classiche, che adornavano la villa, come il celebre Antinoo sopra uno dei camini, conviveva con una decorazione ispirata a villa Adriana e con il famoso Parnaso di Mengs sul soffitto del salone centrale della villa
[4]quali il congresso di Utrecht del 1712 e la pace di Rastatt nel 1714, dove peraltro a trattare c’era il marchigiano Domenico Passionei.
[5]Vedi anche C. M.S.Johns, “Papal Art and Cultural Politics, Rome in the Age of Clement XI”, Cambridge, 1993. E’ da ricordare, nella linea dei dipinti “politici”, il dipinto di Luti con “Pio V che dona una sacra reliquia all’ambasciatore de re di Polonia”, commissionato nel 1712 per essere donato al papa in occasione della santificazione di S.Pio V (asta Finarte 30 ott.1986, studio grafico al Metropolitan Museum, vedi G.Casale in L.Pascoli, “Vite”, 1992, p.321, nota 14; G.Sestieri, “Repertorio della pittura romana”, Torino 1994, voll.III, n.644).
[6]A S.Giovanni fece eseguire le dodici statue degli apostoli, maggiori del vero, sormontate dagli ovali con i profeti, fatti eseguire da Chiari, Luti, Conca, Trevisani, Melchiorri, Procaccini, Odazzi, Garzi, Nasini, Benefial, Ghezzi,  Muratori.  Pittori premiati tutti il giorno dell’Ascensione del 1721 con una medaglia d’oro e una d’argento con l’effigie di Clemente XI (anche nell’importanza data dal papa Albani alla medaglistica si può continuare con il parallelo con i papi riformati, attentissimi a quest’arte). Per S.Pietro il papa fece eseguire le 44 statue in travertino raffiguranti Santi e Martiri, poste  sopra la colonnata del Bernini ed eseguite tutte da scultori diversi.
[7]La statua nel 1710 fu posta in una nicchia appositamente approntata nel grande salone del palazzo ducale di Urbino. Fu spostata nel duomo nel 1847, vedi E.Calzini, “Urbino e i suoi monumenti”, Rocca S. Casciano 1897, p.53, n.1.
[8]Fra questi è citato un giudizio di Paride; nel “Corpus della Maiolica Italiana” di G.Ballardini, sono citati due piatti di questo soggetto, un piatto di Faenza del 1520, lustrato da Mastro Giorgio, Parigi, Petit Palais, coll.Dutuit, Corpus p.43, n.94 (ill.91),e un piatto del monogrammista F.R., lustrato da Mastro Giorgio, del 1524, Londra British Museum (n.304), Corpus p.45, n.151 (ill.138).
[9]Negli inventari ducali erano citati numerosi ritratti di allievi di Barocci, fra i quali alcuni di mano di  Claudio Ridolfi, si è supposto il passaggio anche di questi alle collezioni fiorentine, con l’eredità di Vittoria della Rovere, ma si può anche ipotizzare una provenienza di questo tipo di dipinti della collezione Albani dalla Guardaroba ducale.
[10]L’ovale con il “Profeta Gioele”, del 1718, il cui bozzetto è nelle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Antica di palazzo Barberini e il cartone è al Vaticano; Garzi lavora con Passeri (S.Barbara dei librai) ed esegue nel 1710 la tela per la distrutta chiesa di S.Venanzio dei Camerinesi (anche questa committenza legata all’ambito marchigiano), sempre di Clemente XI è l’incarico al Garzi della decorazione della chiesa delle Stimmate con la gloria di S.Francesco (1720-21).
[11]Vedi G.Boccolini, “Il dipinto di Luigi Garzi e l’altare di S.Geronzio nella cattedrale di Cagli”, Salerno 1962.
[12]AA.VV.”IlCardinale Alessandro Albani e la sua villa. Documenti”, Roma 1980, p.53, (d’ora in poi citato  come: “Documenti”,1980)
[13]la cappella commissionata da Francesco Montioni è del 1687 un disegno acquarellato era nella collezione Hampden e Reynolds, venduto da Sotheby nel 1928, foto GFN19430 A.Mezzetti, “Contributi a Carlo Maratta”, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, IV, 1955, p.337.
[14]Per la committenza Cybo vedi S.Rudolph, “Premessa ad un’indagine sul mecenatismo del cardinale Alderano Cybo, devoto dell’Immacolata nonchè parziale a Guercino e a Maratti”, in Bollettino dei Musei Comunali di Roma, VIII, 1994, pp.5-31.
[15]Si conoscono tre disegni completi per il dipinto, agli Uffizi (n.9654) a Londra coll. Rudolf (vedi Parker, in Old Master Drawings, X, n.39, 1935, p.45) e a Chatsworth coll. Duca di Devonshire, esistono vari disegni di particolari, Mezzetti, 1955, p.337.
[16]”Documenti”, 1980, p.72 e p.99. Sono ancora citati nell’inventario della villa Albani al momento della vendita della villa ai Torlonia nel 1866 (atti Bacchetti, 12 dic.1866, dopo il chirografo del 6 ott.1866 che scioglieva la villa dal vincolo fidecommissario): al n.52 “Profeta Amos del Nasini”, al n.53 “altro profeta del Luti”, al n.54 “altro del Benefial”, al n.55 “altro del Muratori”. Nella villa al momento del passaggio ai Torlonia sono citati cartoni del Barocci (l’ “Assunta”, la “Presentazione al tempio”, un “Santo vescovo”), opere del Viviani, “L’elezione al pontificato di Clemente XI” del Ghezzi, opere di Maratti e Trevisani.
[17]”Documenti”, 1980., p.67.
[18] Pubblicato da  G.Sestieri, “Il punto su Benedetto Luti”, in Arte Illustrata, 1973, p.248, fig.31 e G.Sestieri, 1994, vol.III, n.644.
[19]M.Dolci “Notizie delle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi di Urbino” ms. 1755 edito da L.Serra in Rassegna Marchigiana, 1933, pp.283-367.
[20]Marcantonio Franceschini (1648-1729), allievo di Cignani, è il pittore che, sulla linea della scuola bolognese, preferita dal Papa, eseguì cartoni per la cappella del coro in S.Pietro (cupola e lunette), su scelta di Clemente XI negli anni fra il 1711-12 e il 1713-19, scoperti nel 1721. A lui subentrò poi Nicolò Ricciolini che sostituì due lunette del Franceschini. I cartoni di Franceschini non furono apprezzati; in una lettera a Paolo Girolamo Piola, Camillo Rusconi nel 1721 li definisce poco eroici e dipinti come “a lume di candela”; vedi Dwight C. Miller, “Franceschini’s decorations for the cappella del coro”, in Burligton Magazine, 124, 1982, p.487, e Bottari- Ticozzi,”Raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura”, prima ed.1754-73, Milano 1822.
[21]Le cappelle della Concezione e del Sacramento si salvarono dalla distruzione del 1789, e nella cappella del Sacramento il tondo con S.Tommaso d’Acquino del Chiari.
[22]A.Lazzari, “Delle chiese di Urbino e dellle pitture in esse esistenti”, Urbino 1801.
[23]G.B.Pericoli,  “Passeggiata nella città di Urbino”, Urbino 1846.
[24]Vedi M.B.Guerrieri Borsoi, “Dalla Fabbrica di S.Pietro alla chiesa di S.Domenico a Urbino: copie di originali vaticani riutilizzate per volontà del Catrdinal Annibale Albani”, in Antichità Viva, 1, 1989, pp.32-40.
[25] Il bozzetto della tela è nella collezione Lemme, proveniente dalla collezione Albani, attraverso gli eredi Castelbarco Albani.
[26]Di questo nel 1722 Fabio Cristofari fece il mosaico.
[27]In realtà sembra essere stato il Maratti quello che effettivamente fece la maggior parte del dipinto di Procaccini, in una lettera a Clemente XI dichiara “io sono quello che ho fatto tutto di mia mano il disegno sulla gran tela dove sta di presente, io sono quello che ho lo sbozzetto e l’ho ricoperto di colore tutto di mia mano, son io quello che ho aggiunto cose che non erano nel disegno, poi di nuovo nel quadro aggiunte cose che non erano poste nel disegno ne allo sbozzetto”. Peraltro Maratti doveva difendere il lavoro della sua bottega e mostrarsene esecutore. Il mosaico fu eseguito da G.B.Brughi fra il 1726 e il 1731 e poi da P.P.Cristofari fra il 1733 e il 1736.
[28]Procaccini era soprintendente generale e disegnatore della fabbrica di arazzi voluta da Clemente XI a San Michele a Ripa (fondata 1708-10 a S.Michele dal 1714), ed eseguì cartoni per arazzi (come Chiari e Passeri).. Procaccini esegue anche uno degli ovali con il profeta Daniele per la serie di San Giovanni in Laterano, vedi anche A.Negro, “Conca, Melchiorri, Procaccini. Tre nuovi bozzetti per i Profeti del Laterano”, in “Alessandro Albani patrono delle Arti. Architettura, pittura e collezionismo nella Roma del ‘700”, a cura di E.Debenedetti, Roma 1993,, pp.125-139.
[29]F.Di Federico, “Documentation for the Paintings and Mosaics of the Baptismal Chapel in Saint Peter’s”, in The Art Bulletin, 50, 1968, p.195
[30] il mosaico fu eseguito da Brughi fra il 1726 e il 1730 rilavorato da Cristofari nel 1736-37, F. Di Federico , “The Mosaics of Saint Peter’s decorating. The New Basilica”, The Pennsylvania State University Press, 1983, p.80.
[31]Ne esiste un bozzetto preparatorio presso l’Accademia di S.Luca, vedi O.Ferrari, “Bozzetti italiani dal manierismo al Barocco”, Torino 1990 p.197.
[32]Nel 1708 è nominato pittore della Camera Apostolica  e del 1710 sono i 6 dipinti con episodi della vita di Clemente XI, provenienti da Urbino, e attualmente conservati nella Galleria Nazionale delle Marche, vedi A.Lo Bianco, “Pier Leone Ghezzi Pittore”, Palermo 1985, nn.17-18-19-20-21-22, pp.109-111.
[33]H.Hager, “Un riesame di tre cappelle di Carlo Fontana a Roma”, in Commentari, XXVII, 1976, 3-4, p.252-289.
[34]”Documenti”, 1980,.p.57. Di questo dipinto si  conosce un bozzetto alla Staatsgalerie di Stoccarda  venduto nel 1972 da Sotheby, mentre un altro bozzetto è all’Accademia di S.Luca a Roma.
[35]“Bellerofonte su Pegaso uccide la Chimera”, “Gli Argonauti”. Vedi J. Montagu, “Exortatio ad virtutem. A Series of Paintings in the Barberini Palace”, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 34, 1971, pp.366-371.
[36]eseguito da D.Seuter, L.Baldi, G.Ghezzi, le date dei pagamenti sono degli anni 1697-98.
[37]B.A.V., Archivio Barberini, “Inventario generale dei Quadri dell’Ecc.ma Casa Barberini redatto per ordine di Sua Ecc.za il Sig.Principe di Palestrina D.Francesco Barberini l’anno 1844”, Giuseppe Passeri, “Pasce oves meas”, n.299, al.p.mi2.2, larg.p.mi1.11″.
[38]La prima versione è al Courtauld Institute a Londra, un altro disegno a Wurzburg, Martin von Wagner museum. Per questa serie di committenze a Passeri vedi D.Graf, “Drawings by Giuseppe Passeri in homage to Clement XI”, in Master Drawings, 29, 1991, 3, p.235.
[39]Carlo Roncalli è un pittore urbinate, forse di Colbordolo o, come ipotizza Zampetti, romano, portato ad Urbino da Annibale Albani, attivo nella prima metà del secolo (dopo il 1700), è stato oggetto di una tesi di dottorato nel 1977 parte della Dr.ssa Agnese Vastano. Inoltre è autore del ciclo decorativo della villa di Montegallo (Osimo) studiato dalla Chiappini di Sorio. Carlo Roncalli decora anche una sala di Palazzo Albani, nella settima camera è ricordata la “pittura sul soffitto di Carlo Roncalli” si tratta della sala delle stagioni, mancante della parte centrale. Lavora anche nell’oratorio della grotta del Duomo e, secondo R.Valazzi, sarebbe stato anche restauratore.
[40]In S.Giuseppe è ancora conservato un ritratto di Annibale Albani di P.L.Ghezzi, vedi A.Lo Bianco, 1985, n.12, p.107.
[41] La committenza degli Albani riguarda anche la fisionomia della città e la sua economia. Carlo Albani fece edificare fra il 1707 e il 1718 l’Oratorio di S.Andrea Avellino. Sempre di committenza Albani è il restauro del palazzo arcivescovile del 1708 e della facciata del palazzo comunale nel 1719 con il dono della “Madonna di S.Luca” in mosaico. Annibale nel 1722 aveva voluto impiantare la fabbrica delle spille. Annibale Albani aveva anche donato un obelisco egiziano posto in piazza Rinascimento nel 1737 e due colonne dalla chiesa dei SS.Apostoli (Ex piazza Farina e largo Clemente XI) nel 1739.
[42]Per i quadri del Palazzo di Urbino sono importanti riferimenti anche l’inventario del 1818, 30 ott.-31 dic., relativo ai “Quadri esistenti nel palazzo di Urbino che si giudicano pregevoli e degni di conservarsi a forma dell’art.127 del Moto Proprio di Nostro Signore del 6 luglio 1816” per un totale di 249 dipinti, e il successivo inventario del 15 novembre 1852, “verifica dei quadri e dei libri esistenti nel palazzo Albani di Urbino..”; vedi Documenti, 1980, pp.104-124. Il manoscritto del Dolci appare comunque più preciso, anche se meno completo, e rende più chiaramente l’idea della disposizione e dell’importanza delle opere.
[43]Alessio fu imprigionato come piromane, dopo la sua scarcerazione lavorò nelle marche, chiamato dagli Albani e a Perugia; vedi Nicola Pio, Vite dei Pittori, Scultori ed Architetti”, 1724, BAV, cod. Capponi, 257, p.298, L.Lanzi, “Storia pittorica dell’Italia”, ed.1815, vol.II, p.265.
[44]Pubblicato da F.Di Federico, “Francesco Trevisani Eighteeth Century painter in Rome, a catalogue raisonné, Washington 1977, n.33, p.48, fig.27.
[45]F.Di Federico, 1977, n.88,p.64, fig.73. In particolare i dipinti del Trevisani della collezione Albani saranno oggetto di uno specifico articolo del Dr.Arcangeli.
[46]R.Valazzi, “La pittura del settecento nelle Marche”, in La pittura in Italia. Il Settecento, vol.I, Milano 1989, p.374.
[47] L.Nardini, “Palazzo dei Principi Albani, Catalogo della Galleria e della Biblioteca”, in Urbinum, IX, 1931, n.1,pp.1-11, n.2, pp.15-19, n.5, pp.1-9. Faldi, per la particolarità del soggetto, lo identifica con un’opera di Odoardo Vicinelli in collezione privata, proveniente dal palazzo Albani di Urbino; indicandolo quale pendant del “Beato Odorico da Pordenone”, questo specificatamente ricordato  dal Nardini come opera del Vicinelli, vedi I.Faldi,”Tre dipinti romani del Settecento provenienti da Palazzo Albani”, in Notizie da palazzo Albani, 1975, 1, pp.34-37.
[48]Dal 1709 a S.Clemente lavorarono Pietro de Pietri, Sebastiano Conca, Grecolini, Odazzi, negli affreschi con le “Storie di S.Clemente”, i relativi bozzetti sono pervenuti alla collezione Lemme dalla collezione Castelbarco Albani, provenienti dal palazzo di Urbino, assieme ai bozzetti di Piastrini, di Tommaso Chiari, di Giacomo Triga e di Pier Leone Ghezzi, per gli affreschi, sempre in S.Clemente, con le “Storie di S.Ignazio, S.Servolo e S.Policarpo”. Per questa impresa vedi J.Gilmartin, The Paintings commissioned by Pope Clement XI for the Basilica of S.Clemente in Rome”, in The Burlington Magazine, CXVI, 1974, pp.305-312 e C.Strinati, in “Giaquinto. Capolavori dalle Corti in Europa”, catalogo della mostra Roma sett. nov. 1993, Firenze 1993.
[49]Vedi in G.Sestieri, “Profilo di Francesco Mancini”, in Storia dell’Arte, 1977, pp.67-79
[50]pubblicato in  N.Spinosa, “Pittura napoletana del Settecento”, Napoli 1988, vol. I, p.129, n.108.
[51]pubblicato in  N.Spinosa, 1988, vol. II, p132, n.123 fig.142
[52] G.Sestieri, “Sebastiano Conca”, catalogo della mostra, Gaeta 1981, p.160, n.35.
[53]Come già ricordato attualmente a Roma, coll. Lemme, vedi anche Sestieri, 1994, vol.II, n.307.
[54]In collezione Castelbarco Albani a Milano, pubblicati da P.Rotondi, “Studi artistici urbinati”, I, 1949, pp.125-126.
[55] la vicenda è narrata nell’opuscolo del 1789 con la “Serie distinta degli avvenimenti nella caduta della cupola della chiesa metropolitana di Urbino”, Biblioteca Apostolica Vaticana.
[56]A.Ricci,  Memorie storiche delle Arti e degli artisti della marca d’Ancona, Macerata 1834,  p.338
[57]Il cui bozzetto è attualmente sul mercato antiquario romano, proveniente dalla collezione Albani, poi Castelbarco Albani.
[58] Il “Carro del sole con le stagioni”, eseguito in occasione delle nozze di Urbano Barberini e Felice Ventimiglia Pignatelli d’Aragona, nella sala X della Galleria, e la “Nascita di Pindaro” nella sala adiacente al salone del trono, sempre al piano nobile. Per il disegno relativo a questo secondo affresco vedi C.Legrand-D.D’Ormesson Peugeot, “La Rome Baroque de Maratti à Piranèse. Dessins du Louvre e des collections publiques françaises”, Paris 1990, p.88.
[59]M.Guerrieri Borsoi, “Un dipinto di Giuseppe Chiari a Frascati”, in Studi Romani, 37, 1989, pp.324-328
[60] Nel 1678 quando era ancora un giovane chierico dell’entourage di Cristina di Svezia, aveva composto un trattatello in onore di Giacomo II, che accolse con tutti gli onori dopo la sua elevazione al soglio, organizzò anche il matrimonio del giovane Giacomo III con Maria Clementina Sobieski, figlia di Giovanni III re di Polonia, che avvenne nel 1719 a Montefiascone , la coppia viveva a palazzo Muti a Roma. Il loro primogenito Carlo Edoardo nasce nel 1720.
[61]Coll. Northesk, vedi Lo Bianco, 1985, n.48, p.122, fig.48 e 48a, che attribuisce il secondo dipinto alla collaborazione di Ghezzi e Masucci.
[62]Prosperi Valenti, 1980, p.27
[63]Piccini ha eseguito anche l’importante rilievo della facciata del duomo prima delle modifiche del Valadier
[64]Documenti, 1980, n.464, p.109
[65]Documenti, 1980, p.114.
[66]Nardini, 1931, p.
[67]Di Federico, 1977, nn.106-107-108-109, pp.66-68, figg.90-91
[68]già proprietà Carlo Virgilio, Roma acquisto Uff. Esportazione, inv. n.2574
[69]I Cartoni relativi alle lunette con “S.Filippo battezza l’eunuco della regina Candace” e quello relativo al bozzetto della Galleria Nazionale con il “Battesimo del Centurione Cornelio”sono invece ancora conservati nei depositi della fabbrica di S.Pietro, i cartoni con “Cristo battezza S.Pietro” e S. Silvestro battezza Costantino”, sono conservati nella loggia delle benedizioni; vedi F.Di Federico, “Documentation for Francesco Trevisani’s Decorations for the Vestibule of the Baptismal Chapel in Saint Peter”, in Storia dell’Arte, 5, 1970, pp.155-174.
[70]I pagamenti sono del 1719-20, vedi P.Petraroia, in L.Pascoli, “Vite”, 1992, p.779, e id., ”Ventura Lamberti”, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, serie III, IV pp.279-318
[71]Come la “Sacra Famiglia con S.Anna” della chiesa dei Filippini di Osimo, nota da una incisione del Frezza e da un disegno del Gabinetto disegni e stampe.
[72]  Da Lazzari, 1801, p.16 e p.24, che scambia S.Nicodemo per S.Gerolamo
[73]Il Duomo fu ricostruito da Valadier nel 1801, nella cupola furono eseguiti i 4 evangelisti: “S.Giovanni” di A.Cavallucci, “S.Matteo” di D.Corvi, “S.Luca” del Tedeschi, “S.Marco” di G.Cades. E’ interessante notare come il rapporto fra la committenza degli Albani e la Fabbrica di San Pietro si rinnova anche con Alessandro Albani, anche lui, come lo zio, membro della congregazione della Reverenda fabbrica di S.Pietro; il card. Alessandro, ad esempio, utilizza nella sua villa sulla Salaria, il pittore Niccolò Lapiccola, che oltre ad essere allievo del marchigiano Mancini, dal 1768 aveva dipinto i cartoni per i pennacchi a mosaico della cappella Gregoriana in S.Pietro.
[74] messi a mosaico da Fabio Cristofari fra il 1669 e il 1681
[75]S.Rudolph, “Altre considerazioni sul riutilizzo dei cartoni per la decorazione musiva di S.Pietro: le cupole ornate di Ciro Ferri (e Cortona?) e di Giuseppe Chiari (e Maratti) in Urbino”, in Labyrinthos, 17/18, 1990, pp.95-121; vedi anche B.Toscano e M.Giannatiempo in B.Fazi-B.Vittorini, “Nuove tecniche di foderatura. Le tele vaticane di Pietro da Cortona ad Urbino”, Firenze 1995.