Ascesa e declino di un’Architettura razionalista: il ‘caso’ di Sabaudia

di Francesco MONTUORI

SABAUDIA, UN PAESAGGIO ITALIANO

A pochi mesi dall’inaugurazione della nuova città di Sabaudia, il 15 aprile del 1934 dopo 233 giorni di lavori, Marcello Piacentini le dedica, nel giugno di quello stesso anno, un numero della rivista Architettura. L’introduzione di Piacentini è sorprendente per acutezza ed attualità.

Piacentini coglie il valore permanente, quanto ancor oggi noi tutti apprezziamo della nuova città:

Sabaudia ha avuto il merito di rispecchiare in pieno uno dei caratteri più tipici e significativi della formazione architettonica moderna … considerando prima della tipologia degli edifici, la connessione con l’ambiente”. E aggiunge: “ L’insieme edilizio  è inserito nella natura circostante; le masse sono abilmente composte, così che per le ampie fratture penetri ovunque il paesaggio … come quello del Circeo e del lago di Paola.”
Marcello Piacentini

Gli anni 1933-34 sono peraltro centrali per l’affermazione del suo ruolo determinante, deus ex machina della politica culturale del regime fascista; affermazione che si fonderà sia sulle sue capacità di mediazione delle forze in campo ma anche sulla lungimiranza delle sue scelte.

Sull’impostazione generale che il regime indica per lo sviluppo urbano, condivide l’appello allo “sfollare le città” a favore di un’edilizia rurale; per altro è favorevole alla ristrutturazione dei centri urbani con i conseguenti “sventramenti” ed ad una urbanistica densa e verticale dei centri metropolitani, come sperimentato nella realizzazione di Piazza della Vittoria a Brescia nel 1928.

Nel concorso per la nuova stazione di Firenze del 1932 riesce a far prevalere, alleandosi con Marinetti contro Ugo Oietti, il progetto del Gruppo Toscano guidato da Michelucci; nel 1933, per la realizzazione della Città Universitaria affida direttamente la progettazione degli edifici principali allo stesso Michelucci, a Pagano, Ponti, Minnucci e a tre giovanissimi architetti Calzabini, Muratori e Fariello ma esclude Libera, Terragni, Figini e Pollini perché “razionalisti d’assalto”, e propone il venticinquenne Montuori per il ruolo di coordinatore di tutta la progettazione. Di contro per il concorso di Sabaudia favorisce la composizione della giuria, affiancando agli accademici Giovannoni e Vincenzo Fasolo proprio Adalberto Libera, tra i fondatori del Gruppo 7 e del MIAR nel 1927, per garantire il suo appoggio, diversamente a quanto avvenuto per Latina con Oriolo Frezzotti, a quanti avevano svolto un ruolo importante nel rinnovamento dell’architettura italiana e nel movimento razionalista.

E’ in questo contesto di scontro politico e culturale che il gruppo composto da Cancellotti, Montuori, Piccinato e Scalpelli vince il concorso per Sabaudia.

Il 26 maggio 1934 si svolge alla Camera un acceso dibattito in cui viene messa sotto accusa l’architettura “moderna”, qualificata come “Novecento”, “esotica”, “bolscevica”, “bolscevica-nipponica” e identificata con la stazione di Firenze e con Sabaudia. Mussolini riceve i vincitori dei concorsi di Firenze e di Sabaudia. Nel comunicato che ne segue si afferma:

“il capo dello Stato ha espresso il suo compiacimento e il suo applauso, che ha voluto estendere a tutti i giovani che cercano nell’architettura e in altri campi di realizzare un’arte corrispondente alla sensibilità e alle necessità del nostro secolo fascista.”
Mussolini, Marcello Piacentini, Attilio Spaccarelli a Roma (8 ottobre 1937) lungo la via aperta tra Borgo Nuovo e Borgo Vecchio in seguito alla demolizione della spina di Borgo

Pagano può trionfalmente titolare un articolo per Casabella

“Mussolini salva l’architettura italiana” e commentare:”La storia di Sabaudia, la storia della stazione di Firenze e quella della Città universitaria di Roma, sono tre drammi dell’architettura moderna italiana che sono giunti ad una conclusione vittoriosa soltanto perché ad un certo momento, l’Uomo che crea la nostra storia, ha difeso apertamente la fede italiana ed artistica degli architetti moderni ed ha fatto tacere il gracidar delle rane.”

L’assioma architettura moderna = architettura fascista sembra divenire realtà.

Grazie alla politica dei concorsi per i Piani Regolatori italiani inaugurata dal regime – tra il 1926 e il 1942 verranno banditi 180 concorsi per P.R. di città grandi e piccole e un gran numero di trasformazioni urbane – i giovani architetti di Sabaudia avevano già un curriculum ricco di esperienze. Cancellotti era, con Piccinato, tra le figure di spicco del panorama architettonico romano; avevano entrambi partecipato al Movimento Italiano per l’Architettura Razionale e insieme fondato il Gruppo Architetti Romani cui aderiranno in seguito Foschini e Montuori. Importante era anche l’esperienza specifica: Cancellotti aveva ottenuto il secondo premio al concorso per le “case popolari modello” al quartiere Garbatella di Roma, successivamente realizzate, aveva redatto il piano di Chianciano e, con Piccinato, Foschini e Montuori, partecipato ai concorsi per i Piani regolatori di Foggia, Arezzo e Cagliari.

Anche Piccinato ha già un’importante storia personale; redattore di Architettura e Arti Decorative, assistente di Piacentini all’Università e quindi libero docente di Urbanistica all’Università di Napoli, fondatore nel 1929 dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, aveva già predisposto nel 1928 con Piacentini un Piano urbanistico per Roma con forti caratteri innovativi.

Divenuta legge del regime la Bonifica integrale ed acquistato credito l’ipotesi di un decentramento urbano nel territorio dell’Agro romano, Piacentini e Piccinato presentano, al congresso di Studi Romani,  un progetto inserito in un più vasto piano regionale con infrastrutture di rapido collegamento di Roma con i Castelli, Tivoli, Ostia, Anzio e l’area della Bonifica integrale ove fondare città satelliti in forma di borghi rurali.

Forte di questa proposta, illustrando “Il significato urbanistico di Sabaudia” in Urbanistica n. 1 del gennaio-febbraio 1934, Piccinato ribadirà che “il centro comunale di Sabaudia non è pensabile all’infuori della organizzazione del suo territorio agricolo dal quale esso dipende”; il comprensorio su cui è costruita è una dei più belli e suggestivi d’Italia: verso il mare, parallelo a questo e separato da una sottile striscia di dune, si svolge il lunghissimo lago di Paola il quale si addentra verso est con cinque bracci a guisa di fiords” . Il legame con il suo territorio della nuova città rurale è il tratto unificante della proposta e il paesaggio ne rappresenta l’aspetto visibile; l’acqua il motivo dominante, il mare il confine infinito.

Consequenziale è l’organizzazione del territorio bonificato. La cellula minima è il podere cui è assegnato un terreno che varia da 15 a 30 ha; ogni gruppo di poderi fa capo a un borgo, cellula urbana elementare; in esso avrà sede un’azienda agricola dell’O.N.G., una chiesetta, un armadio farmaceutico, una scuola, un edificio postale, un negozio alimentare.

I poderi per usufruire dei servizi generali – commercio, vita politica e amministrativa – fanno capo al centro comunale ove sono dislocate tutte le istituzioni necessarie: palazzo comunale, casa del Fascio, chiesa, albergo, mercato, cinema, scuole, ospedale, campo sportivo. Per questo il grande quartiere centrale è proporzionato su tutta la popolazione del territorio comunale, prevista in 20.000 abitanti, di cui 5.000 risiederanno nel capoluogo.

Gli architetti di Sabaudia non disegnano un semplice piano urbanistico ma progettano le architetture avendo come guida un tessuto di edifici orientato da percorsi; non dunque una procedura di zonizzazione ma un piano di progetti che va dal Piano regolatore al dettaglio, un’impostazione tradizionale ma innovativa che si discostava da quelle seriali usuali dell’internazionalismo nord-europeo.

Il paesaggio diviene espressione organica di un contesto in cui la natura incontaminata, le aree produttive, la natura lavorata dall’uomo costituiscono gli elementi fondanti. Il sistema delle zone verdi e delle piazze che penetra nella compagine edilizia, si apre verso l’esterno valorizzando visuali panoramiche.

Recarsi a Sabaudia, a quasi ottantacinque anni dalla fondazione, è come ritrovarsi in uno spazio familiare, uno spazio tipico del paesaggio urbano italiano: spazi aperti ma finiti; continui ma fra loro relazionati da chiare soluzioni architettoniche; più in generale si coglie la relazione con lo spazio naturale circostante. Non la cultura urbana dei paesi nord-europei, quella francese in particolare, ossessionata dalla “conquista dell’infinito” con le assialità che rimandano fino all’orizzonte; il paesaggio urbano di Sabaudia è misurato, riafferma la distinzione dei due termini di città e di natura.

La città è impostata tradizionalmente su due assi stradali fra loro ortogonali, il cardo ed il decumano: via Vittorio Emanuele III e via Vittorio Emanuele II. I due viali non si perdono nella campagna circostante, ma vengono interrotti e richiusi dall’anello a forma di conchiglia che definisce il perimetro del quartiere centrale; non sono assi di simmetria delimitati da palazzi: lungo il loro corso si generano una pluralità di eventi spaziali.

Torri, Piazze, Viali organizzano il centro della città.

Luigi Piccinato, Piano regolatore di Sabaudia, 1932-1934

Il cardo, orientato verso il lago di Paola ha come fuoco generatore la Torre comunale a cui è assegnato il compito di concentrare su di sé le tensioni spaziali, al tempo stesso elemento di misura del vasto paesaggio circostante e generatore di spazi per il transito o manifestazioni.

Nella sua relazione Piccinato ci offre la chiave per comprendere il sistema di strade e di larghi disposti intorno alla piazza del Municipio. La piazza del comune, dominata dalla torre

si apre su una seconda grande piazza libera che punta verso il panorama del Monte Circeo che ne costituirà lo sfondo. Queste due piazze formano quindi un tipico sistema a forma di L quale frequentemente si ritrova negli antichi sistemi di piazze delle città italiane”.

Sul lato opposto della piazza panoramica, annunciato da una significativa rientranza della torre della Casa del Fascio, si apre il viale Giulio Cesare, di fronte alla chiesa dell’Annunziata che, con il Battistero, organizza una terza piazza; il campanile della chiesa fa da fulcro ad un successivo viale ortogonale,  richiuso a sud est dall’anello perimetrale.

Alla Torre Comunale è assegnata la funzione di spezzare il cardo in due viali: corso Umberto I – posto sull’asse del canocchiale dei portici opposti alla Piazza comunale e sottostanti l’albergo – che attraversati una successione di spazi verdi e pinete si conclude con una terrazza sul Lago di Paola; un secondo viale, corso Principe di Piemonte, che, con una dolce curvatura tale da inquadrare come riferimento spaziale la Torre comunale, permette di accedere al ponte sul Lago di Paola per giungere al mare.

Il decumano assume analoghe funzioni: dal lato del Circeo permette l’accesso laterale alla piazza S. Barbara, sede del Mercato inopinatamente demolito, per poi incrociare il viale Filiberto Duca d’Aosta che delimita il quartiere centrale a sud-ovest; dall’altro lato, superato l’edificio postale di Mazzoni, non casualmente aggettante rispetto ai villini adiacenti, il decumano, con una leggera curvatura, si apre lateralmente al Giardino delle palme, per puntare su un fuoco terminale, il Caffè Ristorante, – oggi trasformato il villa di lusso – con spettacolosa vista su un fiordo del Lago di Paola.

Tutti gli spazi sono proporzionati, continui, concatenati, misurati, delimitati; gli edifici pubblici mantengono la loro individuabilità, non sono mai ostacoli ma spesso possono essere attraversati; così il cortile del Palazzo comunale, oggi purtroppo richiuso dall’ingresso del museo Greco, rinvia alla piazza retrostante, alla pineta, al lago, alla duna, al mare.

Una spazialità quella di Sabaudia, che rimanda direttamente alle città e alle piazze italiane: le sequenze

Eugenio Montuori

e le concatenazioni spaziali di piazza San Marco a Venezia o di Piazza Maggiore a Bologna o, a scala minore, al rapporto fra la strada tangenziale e la Piazza Piccolomini di Pienza; spazi che si offrono ad una molteplicità di punti di vista e non semplicemente alla visione assiale; spazi laterali al percorso principale, spesso misteriosi, annunciati dalle ombre lunghe dei tramonti mediterranei. Dove il punto di vista non è mai unico e la focalità obbligata in modo che gli elementi architettonici mantengano la loro individuabilità: la piazza, la via, il palazzo, la pineta, la natura circostante sono qui parti inscindibili di un ambiente unitario. Precisione realistica dei contorni, solidità di materia, edifici ben poggiati al suolo.

In uno scritto inedito per una conferenza da tenersi, presumibilmente, al corso di urbanistica che

Cancellotti dirige all’Università di Napoli, Eugenio Montuori, “dopo vent’anni” traccia un bilancio amaro sull’esperienza di Sabaudia, per

mettere in guardia i giovani architetti sulle teorie, sui principi, sui trattati, sulla, chiamiamola così, scienza esatta dell’urbanistica … 
Allo scopo di prevenire i giovani dalla leggerezza di alcune impostazioni teoriche vi racconterei di errori, diciamo così di gioventù, occorsomi in alcuni casi della mia esperienza urbanistica. La scelta per la posizione della cittadina di Sabaudia era completamente affidata all’intuizione degli architetti dentro un raggio di 10 chilometri. Panorama meraviglioso, per la presenza del lago, mare, monte, bosco; schema viario della massima semplicità, consistente in due raccordi con la strada principale … I miei tre colleghi ed io ci trovammo nella migliore condizione (o peggiore) di immaginare uno schema ideale di cittadina da far abitare ad ignoti futuri abitanti, trasportati tra l’altro da lontanissime regioni italiane, i quali avrebbero vissuto e si sarebbero comportati in modo assolutamente ipotetico. Quale è stato il risultato?
Il centro della cittadina… è perfettamente accademico e teoricamente ineccepibile. Non per niente la planimetria di Sabaudia si può trovare in parecchi trattati urbanistici moderni, quale applicazione quasi integrale delle teorie in voga nel 1935.

Qual è dopo vent’anni la vita cittadina? Purtroppo non altrettanto ideale quanto il suo classico schema.

La bonifica della selva non fu più effettuata perché vi si oppose a ragione il ministero delle foreste. La cittadina si trova perciò in posizione periferica rispetto al territorio del suo Comune, distaccata dalla sua ragione economica, senza il retroterra necessario al suo sostentamento …. La vita cittadina in vent’anni ha cambiato fisionomia per ben quattro volte e sempre per comando dall’alto, non per propria inclinazione spontanea. Sportiva, cinematografica, militare, turistica.
La piazza panoramica è semiabbandonata, mentre una zona vicino al lago, considerata da noi di scarsa importanza, è diventa la meta dei romani provvisti di automobile. Chi è stato in tal caso L’urbanista? Lo schema impostato a tavolino non si è dimostrato in realtà privo di difetti e viene continuamente modificato e temperato dalle necessità e al contatto della vita.”

Che dire dell’oggi? Esso dà ragione alle malinconiche considerazioni di Eugenio Montuori. Solo una minima parte dei quartieri residenziali di case a schiera e in linea previsti che, nel progetto vincitore del concorso del 1933, gravitavano sul Centro della città sono stati realizzati. Al loro posto, come si può verificare in una planimetria del 1988, sono sorte edifici isolati e ville, seconde case per il turismo estivo. Il mercato è stato demolito e la piazza S. Barbara è divenuto luogo sproporzionato e desolante; l’albergo, destinato agli imprenditori agricoli che lo frequentavano per trattare i loro affari, è oggi abbandonato, poco adatto ad un offerta turistica; il cinema-teatro è chiuso, incapace di diversificare l’offerta; la Casa del Fascio, attualmente sede della Guardia di finanza, è ridotta a qualche ufficio e la bella sala per  conferenze non viene utilizzata; la caserma Piave, in splendida posizione sulle rive del Lago di Paola, è desolatamente vuota; le strade e le piazze cittadine si popolano solo nel periodo estivo (o per il carnevale…).

Sabaudia Caserma Piave (2009)

Pagano così sintetizzò il fine dell’architettura razionalista: “esprimere gli ideali del mondo contemporaneo: case nuove per uomini nuovi”.

Sabaudia, città razionalissima ma vuota, ci segnala il fallimento della ragione del movimento razionalista; ne rimaniamo comunque affascinati per la strana assomiglianza dei suoi spazi urbani e degli edifici con quelli rappresentati nella pittura di Giorgio De Chirico e di Sironi. Come spiega Alberto Moravia nell’introduzione al libro Le città del Silenzio

“Ecco operata la saldatura dei due opposti, lo stile razionalista e lo stile metafisico: il primo si tramuta nel secondo proprio perché riflette qualche cosa che non c’è più o che avrebbe voluto esserci e non ci fu, cioè un’assenza, una velleità, un’aspirazione, insomma un sogno. Il sogno della rigenerazione attraverso la volontà di potenza politica.

Francesco MONTUORI     Roma marzo 2018