Architettura nella Sicilia barocca (parte IV^) Giovan Battista Vaccarini e la ricostruzione di Catania.

di Francesco MONTUORI

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Martini e F. Montuori

CIVILTA’  ARCHITETTONICA   DEL  BAROCCO  SICILIANO Quarta parte

Il sacerdote e architetto Giovan Battista Vaccarini e la ricostruzione di Catania

Nominato architetto della Cattedrale di Catania, Giovan Battista Vaccarini, affronta il problema del nuovo fronte della grande chiesa che si affaccia nella platea magna del centro della città. Il tessuto urbano catanese è ormai delineato ma il cantiere della Cattedrale comporta lavori che si trascinano ormai da decenni; per porvi rimedio il Vescovo della città, monsignor Galletti che conosceva bene Giovan Battista per  averlo battezzato nel 1702, lo nomina Soprintendente del Palazzo dell’Università  e Architetto della Cattedrale. Questo prestigioso incarico lo impegnerà fra l’anno 1730 e il 1745.

Vaccarini lavorò assiduamente; era stato dispensato dagli impegni liturgici inerenti la sua carica di canonico; è un architetto ben pagato e può studiare, viaggiare, comprare testi di architettura.

Il tema affrontato è complesso; il problema della facciata della Cattedrale di Catania non era isolato; nella grande piazza si stanno già costruendo importanti palazzi barocchi: il seminario dei Chierici, prolungamento del palazzo vescovile; il palazzo dei Chierici, collegato al seminario dall’Arco della porta Uzeda; il palazzo Sammartino Pardo; il Palazzo degli Elefanti, Municipio della città; sul fianco destro del Duomo, le rovine della chiesa della Badia di Sant’Agata sono ancora in situ, ben visibili (fig.1).

Fig. 1 Vista zenitale di Piazza del Duomo, alla sinistra del Duomo la Porta Uzeda, palazzo del Seminario, il Palazzo dei Chierici; sul lato destro del Duomo il palazzo degli Elefanti, Municipio della città, opera di G.B.Vaccarini

Nel 1600 la città di Catania rimaneva passivamente bloccata entro il tessuto urbano della città medioevale caratterizzato dai vecchi allineamenti che risalivano ormai all’impianto classico romano. L’attività edilizia era monopolizzata dagli ordini religiosi, che a partire dalla metà del Cinquecento iniziarono a costruire i loro conventi, oratori, noviziati, occupando, senza alcun criterio urbano, le aree disponibili. Quando nel 1666 si verificò una grandiosa eruzione dell’Etna Catania fu investita da un immane fiume di lava; le mura che circondavano la città riuscirono a contenere e deviare il corso dell’eruzione ma migliaia di ettari di terreno agricolo che costituivano la fonte di lavoro e di ricchezza dei suoi abitanti andarono perduti. Pochi anni dopo si verificò il devastante terremoto del 1693.

Si racconta che il duca Di Camastra abbia tracciato a cavallo, passando attraverso le rovine della città, il nuovo piano di ricostruzione: strade diritte, larghe e lunghe di collegamento fra il centro urbano con la campagna; su di esse gli ordini religiosi e la classe nobiliare ricostruirono i palazzi e le numerose chiese rispettando i criteri di decoro e di magnificenza che l’amministrazione vicereale spagnola e gli amministratori borbonici che gli succedettero avevano imposto alla cittadinanza. Anche le numerose piazze, che in parte riproducevano il sistema degli spazi urbani medioevali preesistenti, furono rettificate ed ampliate. Prevalse la regola delle facciate basse e lunghe, della linea retta e dell’angolo retto.

La ricostruzione della città fu affidata a Giovan Battista Vaccarini, un architetto colto e aggiornato che ebbe il merito di rinnovare la città senza sconvolgere il tessuto della città seicentesca.

La platea magna, piazza del Duomo, fu ingrandita e regolarizzata; furono ricostruiti la Cattedrale e i principali palazzi della città, così da fare affermare nel 1761 dal Leanti, nello Stato presente della Sicilia, che

“Quasi tutti gli edifici sacri e profani, ancorchè bassi per timore dei tremoti, vanno adorni di superbissimi intagli e di commendabili pezzi di architettura.”

Il Duomo catanese venne fondato da Ruggero I nel 1092; della primitiva costruzione rimanevano ancora le tre poderose absidi, costruite in grossi conci di lava scurissima; il terremoto del 1169 distrusse la chiesa normanna; l’organismo ricostruito fu abbattuto dal cataclisma del 1693.

L’incarico del Vaccarini non fu limitato alla facciata della Cattedrale; l’architetto catanese si occupò anche del fronte laterale verso il corso Vittorio Emanuele, destinato al Capitolo ed alla Sacrestia; la complessità dell’intervento comportò infine l’inserimento urbanistico dell’edificio religioso nello schema viario della città (fig.2).

Fig. 2 La piazza del Duomo e il palazzo dei Chierici.

Il progetto per il nuovo prospetto della Cattedrale aveva suscitato le prime polemiche non appena venne iniziato il cantiere, al punto che il Vaccarini decideva di portare il modello a Roma per sottoporlo al giudizio degli Accademici di San Luca. Ottenne così un’approvazione autorevole e definitiva.

La facciata, immaginata come una quinta nello spazio della piazza è posta in asse con la via Ferdinandea; presenta uno schema compositivo suddiviso in due ordini separati da un’ampia fascia orizzontale, quasi un piano intermedio, ed è scandita da due ordini di colonne, ben aggettanti e ruotate rispetto alla parete di fondo, secondo gli insegnamenti del maestro romano del Vaccarini, Carlo Fontana. Le sei colonne del primo ordine sono disposte sul basamento della facciata ed hanno una sezione doppia delle sei colonne del secondo ordine raggruppate sull’asse di simmetria verticale. Quest’ultimo è segnato dal grande portale di ingresso e dalla nicchia del secondo ordine contenente la scultura di Sant’Agata patrona della città; un terzo ordine di quattro lesene di ancor minore sezione ed altezza sono infine collegate da un terminale triangolare. L’insieme simula una scansione prospettica con un punto di fuga finito sulla verticale del fronte della grande chiesa. Vaccarini traforò quel fondo, come potette, così da ridurlo al minimo. Ma, il fronte della Cattedrale continuò a pendere un po’ anonimo dietro le colonne, come un sipario (fig.3). In seguito, il Vaccarini si rifarà e creerà facciate panciute ed ondulate.

Fig. 3 G.B. Vaccarini, la Cattedrale della città con la Fontana dell’Elefante

Al centro della piazza il Vaccarini sistemerà una fontana con elefante lavico di età romana ed un obelisco egizio, sormontato dai simboli di Sant’Agata, chiaro riferimento  all’ obelisco della Minerva, nell’omonima piazza romana, posizionato sulla groppa di un elefante marmoreo scolpito da Gian Lorenzo Bernini.

Sul lato nord della piazza sorge il Palazzo degli Elefanti, municipio della città. In esso Vaccarini sperimenta un fronte a tre ordini di cui il primo bugnato, con finestre ad arco con le caratteristiche orecchie; il secondo con nobili finestre slanciate, timpano segmentato e balconi; il terzo con finestre modulate inserite nel fregio terminale; poiché Vaccarini intervenne quando la costruzione si limitava ancora al primo ordine bugnato, modificherà il prospetto interrompendo le paraste a bugne del primo ordine, continuando con piatte lesene ed inserendo sul fronte verso piazza una sontuosa tribuna con un balcone sorretto da quattro colonne di granito, ai lati del portale di ingresso del palazzo (fig.4).

Fig. 4 G.B. Vaccarini, Il palazzo degli Elefanti in piazza del Duomo

La lesena gigante divenne il tratto caratteristico dell’architettura dei palazzi che barocchi catanesi; nel Palazzo dei Chierici dell’architetto Francesco Battaglia sulla Piazza del Duomo (fig.5)

Fig. 5 F. Battaglia e M. Di Stefano, palazzo dei Chierici in piazza del Duomo

e nel Monastero di San Nicolò all’Arena dello stesso Vaccarini (fig.6)

Fig. 6 G.B. Vaccarini, F. Battaglia, C. Battaglia, Monastero di San Nicolò all’Arena

è abbandonata la suddivisione orizzontale per ordini e cornicioni ed enfatizzata la verticalità, dividendo la facciata con imponenti lesene bugnate piramidali in spazi verticali, trattati con gli intonaci scuri di polvere di pietra lavica, tipici della città, su cui spiccano le elaborate cornici in pietra bianca delle finestrature di cui le magnifiche finestrature (fig.7).

Fig. 7 G.B.Vaccarini, F. Battaglia, C. Battaglia, Monastero di San Nicolò all’Arena, finestrature
Fig. 8 A. Italia e S. Itter, la Collegiata

Se per l’edilizia residenziale le prescrizioni imponevano piani bassi ed angoli retti, negli edifici sacri prevalgono le pareti ondulate e la verticalità; a Catania la Collegiata, e la Badia di Sant’Agata rappresenteranno due prototipi esemplari del tardo barocco siciliano.

Sulla via Etnea, proprio alle spalle della Piazza dell’Università La Collegiata, basilica di Santa Maria Santissima dell’Elemosina, opera dell’architetti Angelo Italia e Stefano Itter, spetimenta la tipologia della facciata-campanile a due ordini; una loggia centrale, profondamente concava è sorretta da una selva di agili colonne ben separate dalla muratura retrostante; la delimitano due nicchie con le statue di San Pietro e San Paolo; concludono la verticale una balaustra ed una cella campanaria tra una folla di aquile, angeli, musici, putti, sfere (fig.8).

A pochi passi da piazza del Duomo, sul corso Vittorio Emanuele, Vaccarini realizza l’opera più prestigiosa, la Badia di Sant’Agata (fig.9)

Fig. 9 G.B. Vaccarini, Badia di Sant’Agata

La facciata, ad un unico ordine, concepita come quinta rispetto all’antistante corso Vittorio Emanuele, trae unità e movimento dalla larga ondulazione della muratura. L’ordine gigante della facciata è organizzato da paraste che seguono l’andamento curvilineo con capitelli palmati, secondo l’esempio borrominiano. Nella concavità centrale è inserito l’ingresso della chiesa, definito da due coppie di colonnine fortemente aggettanti, sovrastato da un bassorilievo; il primo ordine si conclude con un timpano che segue la concavità della partitura centrale. Il secondo ordine di paraste non presenta capitelli ed è concluso da una splendida balaustra traforata. L’interno è articolata in cappelle; l’asse longitudinale più pronunciato contraddice la centralità della struttura architettonica (fig 10).

Fig.10 G.B. Vaccarini, Badia di Sant’Agata, interno

La cupola non appare visibile a distanza ravvicinata ma, grazie ad un tamburo ottagonale slanciato, domina la città e la marina (fig.11).

Fig.11 G.B. Vaccarini, la cupola della Badia di Sant’Agata
Fig.12 Vista zenitale di via dei Crociferi. Edifici attribuibili al Vaccarini: sul lato sinistro il palazzetto alla Badia e la chiesa di San Benedetto, la chiesa di San Francesco Borgia, il Collegio dei Gesuiti, sul lato destro la Badia piccola, la chiesa ed il chiostro di san Giuliano.

Via dei Crociferi è la via monumentale di Catania (fig.12).

Vaccarini ed i suoi collaboratori realizzeranno la maggior parte degli edifici, sacri e profani; l’irregolarità del tracciato e il suo corso in discesa offrì ai progettisti l’occasione di integrare più strettamente fra loro i numerosi monumenti. Chiese e palazzi non soltanto si allineano sull’asse prospettico della strada, ma interagiscono e si compongono  pur mantenendo la loro individualità. In via dei Crociferi si cementa un’architettura di vuoti e di solidissime facciate in una spazialità che connette esattamente i singoli edifici come pezzi in un prezioso mosaico.

La via ha inizio dalla piazza San Francesco d’Assisi; vi si accede passando sotto l’Arco di San Benedetto.

Fig.13 Badia e chiesa di San Benedetto

La Chiesa e la Badia di San Benedetto costituiscono le quinte di accesso della storica via; esse costituiscono il complesso degli edifici claustrali della comunità monastica benedettina. La Badia articola i suoi volumi sui due lati della via avendo l’Arco come saldatura architettonica. Adiacente alla chiesa è la Badia grande mentre di contro è il palazzetto della Badia piccola, opera anch’essa attribuita al Vaccarini.

La Badia grande (fig.13) è caratterizzata da un primo ordine di colonne fortemente aggettanti; un cornicione profondamente chiaroscurato con ai lati due archi spezzati preparano un secondo ordine segnato da semplici lesene. La verticalità è interrotta, come spesso accade nel Vaccarini, da una lunga balconata falsa conclusa in alto da un timpano spezzato, quasi un secondo attico che accentua la maestosità della facciata.

A fianco della Badia Grande, superata una piccola via laterale, la chiesa di San Francesco Borgia e il Collegio dei Gesuiti formano un organico complesso (fig.14 e 15).

Fig.14 Chiesa di San Francesco Borgia
Fig.15 Collegio dei Gesuiti

Di assoluto rilievo è il cortile del Collegio gesuitico dove Vaccarini, a un primo ordine di arcate in forme rinascimentali sovrappone un secondo ordine di arcate con linee mosse e sinuose, tipiche del barocco catanese (fig.16)

Fig.16 Collegio dei Gesuiti, chiostro

Nella chiesa e il chiostro di San Giuliano con la facciata nella parte terminale di via dei Crociferi, Vaccarini si misura ancora con un’ edificio a pianta centrale. A differenza della Badia di Sant’Agata, impostata su un quadrato centrale, Vaccarini sperimenta nella chiesa di San Giuliano una struttura planimetrica organizzata su un ottagono allungato. Sull’asse longitudinale l’ingresso e il presbiterio sono raccordati alle pareti da archi ellittici (fig.17), mentre sull’asse trasversale le due cappelle sono tracciate con pianta circolare, leggermente schiacciata.

Fig.17 Chiesa di San Giuliano, interno

Al volume della navata ellittica si appoggia la facciata convessa, che, trasgredendo le regole del decorativismo barocco del primo ‘700, è improntata ad una nuova razionalità che annuncia l’età del classicismo e dei lumi. Vaccarini, nascondendo il volume dell’aula, alzò la parte centrale della facciata su due ordini ed inserì  al centro del secondo ordine un falso balcone, quasi fosse la tribuna di un’architettura civile; la chiesa così invade al “teatro” dello spazio urbano di via dei Crociferi (18).

Fig.18 Chiesa di San Giuliano

Una cancellata la separa la chiesa di San Giuliano dalla antica strada; come negli altri edifici sacri la cancellata assolve ad un ruolo rilevante; essa non solo impedisce l’accesso alla chiesa, ma protegge l’immagine stessa dell’edificio, un po’ come fanno le cornici dei quadri.

Vaccarini conferma a via dei Crociferi il chiaro salto di qualità delle sue architetture rispetto a quelle dei suoi predecessori catanesi, quando la forma della città tendeva scivolare

“verso l’involuzione di forme che gradatamente si svuotano e diventano decorative, chiedono al brulichio degli ornati una giustificazione che non sanno più trarre o sviluppare dalla funzionalità dell’elemento architettonico”,

come noterà Cesare Brandi in Sicilia mia.

La sua coscienza formale impedirà ogni slittamento della forma architettonica verso l’ornato, distaccandosi così dalla deriva provincialista dove deviò, allo scadere del secolo, gran parte del barocco siciliano.

Francesco MONTUORI    Roma  3 gennaio 2021