Alla Biennale di Architettura di Venezia una visione dei piccoli centri storici. Il 20 novembre meeting sul progetto: “Il parco a ruderi della città di Auletta (SA)”

a cura di Massimo MARTINI

Biennale di Architettura 2018 – Eventi collaterali – Borghi of Italy  – No(f)earthquake

Il 20 novembre meeting sul progetto: Il parco a ruderi della città di Auletta (SA)

Progetto: Arch. Massimo Martini – Ing. Paolo Faccio – Arch. Matteo Lucchini

Strutture: Ing. Paolo Faccio – Ing. Giulio Cafaro

Foto: Arch. Matteo Lucchini – Arch. Massimo Martini

Elaborazione grafica del materiale fotografico a cura dell’artista Patrizia Nicolosi

I PICCOLI CENTRI STORICI

NON SONO “CENTRI BENESSERE

A cura di Massimo Martini

Si parla molto dei piccoli centri storici mentre le forze trainanti della società, in tutto il mondo, si vanno organizzando sempre più attorno alle grandi, grandissime, concentrazioni urbane. Se ne parla, in Italia, per il carattere sparpagliato del nostro Paese e per il suo acceso e confuso localismo, dentro quella fosca cornice rappresentata dal conclamato dissesto del territorio nazionale. Ma se ne parla come se questi luoghi fossero lontani dalle tempeste che ognuno di noi vive quotidianamente, freddi custodi di una storia senza tempo e senza temperamento, per quanto piena di nomi, soprannomi, usanze locali

Così, a metà strada fra il fatalismo del Sud e la furbizia dei commercianti di ninnoli, i piccoli centri storici appaiono nell’immaginario collettivo come potenziali nuovi centri benessere, dove la cultura immateriale (il nuovo mostro creato da qualche astuto sociologo) incontra la dieta mediterranea nel suo luogo naturale. Mentre i locali si trasferiscono contenti lungo la provinciale, in cerca di nuovi affari e di una nuova casa in cemento armato.

Dare un senso al recupero edilizio di un centro storico delle zone interne, ancor più se nella scia di uno dei tanti e periodici post-sisma, è come navigare in un lago in tempesta senza neanche il fascino delle Indie da raggiungere. Idee e competenze le più diversificate (tutte lecite e tutte portatrici di interessi non conciliabili fra loro) si scontrano in manufatti né conservatori né d’avanguardia, in un international style nostrano (per altro ai miei occhi assai interessante). Nel risultato che, paradossalmente, il restauro mal fatto può dirsi alla lunga più sincero e significativo di quello che, ben fatto, riduce tutto a triste museo delle cere.

Mettere le mani (davvero) nel pozzo nero della storia non è assimilabile a una gita fuori porta nell’abbazia di turno. I segni del tempo non sono riconducibili alle tavolette del Serlio. La violenza di ciò che è sopravvissuto non sedabile in sovrintendenza. Questo almeno io penso, nella libertà che mi concede proprio il conclamato dissesto del territorio italiano.

Entrando nell’argomento, posso dire che il Parco a ruderi di Auletta, è composto da due modelli, uno a carattere urbano, l’altro a carattere artistico. Il primo suggerisce un modo per salvare quel bene diffuso, l’altro un modo per leggere quei segni in progress.

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Il modello a carattere urbano, (riguardante 7 comparti per oltre 120 stanze), è riassumibile nei seguenti punti:

  • L’intero assieme edilizio viene messo in sicurezza e diventa pertanto transitabile.
  • La condizione così raggiunta è assimilabile a quella di un Parco a tema.
  • Il bene si assesta nello stato di rustico, alla metà dei costi di un restauro completo.
  • Questa formula consente completamenti parziali in presenza di necessità e di fondi.
  • Come motore di avviamento vengono realizzate 10 suite di un albergo diffuso.
  • Il Parco tematico assume la funzione transitoria di Parco delle culture locali.
  • Il rudere singolo viene riassorbito in un ridisegno paesaggistico degli esterni.
  • Nell’uso pubblico del bene emerge la ricchezza di vita di interni contadini poveri.
  • Con scuciture del tessuto si ottengono percorsi che superano le barriere del privato.
  • E così via…

Il modello a carattere artistico, (riguardante massimamente gli interni poveri), è riassumibile nei seguenti punti

  • Gli esterni sono privi di segni ascrivibili ai codici anche elementari dell’architettura.
  • E’ il contadino che fa la casa, non il mastro; i materiali grezzi dicono di un orto.
  • Il tempo dilava, macera, consuma le materie e le rende a loro modo espressive.
  • Il tempo accelera la sua opera sulle macerie segnate da trent’anni di dopo sisma.
  • Gli interni vivissimi e poverissimi sono l’esplosione di un ipertesto figurativo totale.
  • Un carattere dominante è il nero fumo che avvolge le stanze prive di camino.
  • Un altro la fodera di giornali che controsoffitta solai sconnessi di travetti e pianelle.
  • Un terzo la stratificazione di colori e carte sulle pareti, in un turbinio di décollage.
  • La stanza, l’una per l’altra, è modulo, chiesetta paleocristiana, silenzio religioso.
  • Il minimalismo, l’arte povera, Pollock, Burri, Rothko e così via…

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Il Parco a ruderi di Auletta è un’opera d’arte, un’opera d’arte totale, labirintica, matericamente esplosiva, concettualmente leggera, comprensibile a tutti, rispettosa dei segni dell’uomo, vivibile in piena libertà assieme alle sue ragnatele d’autore, un’opera aperta a qualsiasi nuova tecnologia (mai per altro mascherata) stia lì a dare una mano, sia essa bullone, mattone o tavola di legno. Il Parco a ruderi non è il museo delle cere che il cosiddetto restauro ovunque benedice, è il trionfo dell’effimero, del segno, della traccia, di quella materia che negli anni ’60 si fece arte, in una forma di espiazione e di ascetico misticismo. Il Parco a ruderi è il sogno di farsi riconoscere da coloro che artisti non sono, dentro lo stesso occhio sociale che vaga libero nel Cretto di Burri a Gibellina, dove nessun segno si ripete e la singolarità, fosse anche dell’oggi, si trasforma in energia vitale e liberatoria.

Il Parco a ruderi, in un’interpretazione antropologica sia della materia pittorica che degli oggetti ready made è, ma che sorpresa!, un puro esercizio di democrazia. Nel Parco a ruderi prende forma un tipo di ready made che si evolve con l’evolversi della materia stessa, un ready made in progress. Un virus vigoroso e indistruttibile!

di Massimo MARTINI    Roma novembre 2018