Adam Elsheimer e la straordinaria maniera dei dipinti su rame. Parte 2^

di Michele FRAZZI

Adam Elsheimer pittore dell’impossibile 2^ parte

Gli esempi classici ed il realismo del paesaggio romano

Era inevitabile che prima o poi il classicismo di cui esistevano tanti esempi in Roma influenzasse l’Elshimer che si applicò anche allo studio delle mitologie antiche, soprattutto di Ovidio che d’ora in avanti condizioneranno i soggetti dei suoi dipinti. In questo contesto le sue scelte non furono affatto banali  ma al contrario piuttosto inusuali, dimostrando così ancora una volta l’intensità dei suoi studi, il costante impegno e il duro lavoro che lo ha sempre contraddistinto, ai temi biblici ora si affiancheranno: Mercurio e Giove, Cerere, Latona, Venere, Apollo e Coronide (fig. 38).

fig.38 Adam Elsheimer Apollo e Coronide olio su rame

Quest’ultimo fu un soggetto amato e rappresentato ad affresco anche dal Domenichino, Elsheimer sceglie di rappresentarlo facendo ricorso agli esempi della  statuaria classica presenti a Roma ed in particolare  prendendo spunto da una delle tante versioni dell’Arianna addormentata ( fig.39) che all’epoca si credeva fosse una Cleopatra morente e così infatti viene ricordata in una stampa di Francisco de Hollanda.

Fig.39 Arianna addormentata

Di fondamentale importanza fu poi il Mercurio e Giove in casa di Filemone e Bauci (fig.40).

fig.40 Adam Elsheimer Filemone e Bauci olio su rame

Bella e significativa è la loro storia. Ovidio narra che questa coppia di anziani molto unita viveva  in povertà, erano umili e senza pretese, la loro unica ricchezza era il volersi bene, non avevano bisogno di altro, essi furono gli unici ad ospitare nello loro casa Mercurio e Giove occultati in forma umana come viandanti. Per prima cosa Bauci si offrì di lavare loro i piedi ed infatti vediamo i due numi scalzi, Mercurio ha ancora i calzoni arrotolati al polpaccio, mentre Filemone sulla destra prepara i legumi dell’orto per il desinare; offrirono loro anche del vino che però sembrava non  finire mai, perciò i due anziani cominciarono a dubitare della loro identità e si risolsero ad offrire anche la loro unica oca che, avendo intuito prima di loro chi fossero i due, si rifugiò tra le gambe dei numi per salvarsi, ed infatti la  vediamo in basso nel dipinto mentre sta correndo sotto le gambe di Giove.

Per il loro comportamento così generoso la casa fu trasformata in un tempio maestoso e Giove offrì loro di esaudire qualsiasi desiderio; così essi chiesero di diventare sacerdoti del tempio e di finire insieme i loro giorni in armonia Quando poi il loro tempo arrivò al termine Filemone fu trasformato in una quercia e Bauci in un tiglio che crescevano insieme uniti per il tronco come simbolo eterno di una coppia unita, della concordia famigliare e della pietas. Estremamente rilassata e confidenziale è la posa dei due numi come fossero veramente due viandanti in casa di amici,  Elsheimer riesce qui  effettivamente a ricreare l’atmosfera familiare del riposo di una cena serale dopo una giornata di fatica, tutto si fa raccolto, tranquillo, viene perfettamente reso quel senso di intimità e protezione che è proprio delle mura domestiche.

Nella sua semplice ambientazione vengono mostrate tutte le suppellettili essenziali che adornano una  una povera casa: i panni stesi, le cipolle e le ceste appese, forse nella scelta di questo soggetto potrebbe esserci anche il richiamo all’ultima cena e alla lavanda dei piedi. In questo dipinto vediamo in nuce già il Rembrandt della Cena in Emmaus di Parigi, o del Tobia ed Anna, o il Sogno di Giuseppe e ovviamente soprattutto la sua interpretazione dello stesso tema: il Filemone e Bauci ( fig. 41) della National Gallery di Washington.

fig.41 Rembrandt Filemone e Bauci
fig. 42 Marten de Vos, Cristo in casa del Fariseo bulino

L’olandese dovette conoscere l’invenzione di Elsheimer, probabilmente attraverso la mediazione dei lavori del suo conterraneo Hendrick Goudt. Seppure il realismo dell’illuminazione riporti alla mente l’ascendenza caravaggesca, molto probabilmente qui Elsheimer è memore delle scene d’interni a lume di candela realizzate nella scuola dei Bassano, anche se l’idea originale per la composizione con tutta probabilità proviene da una incisione realizzata su disegno di Marten de Vos: Cristo in casa del Fariseo  stampata da Collaert ( 1598)  (fig.42) oppure alla versione stampata da Rafael Sadeler , che appunto si avvicina ad uno dei disegni preparatori per il dipinto (fig.43).

fig.43 Adam Elsheimer Filemone e Bauci Disegno preparatorio
fig.44 Statua proveniente dalla collezione di Scipione Borghese

I Sadeler, fiamminghi di Anversa, erano i proprietari di una delle più importanti botteghe di stampe di Venezia dove si erano trasferiti nel 1596,  ed è perciò  probabile che Adam li abbia conosciuti, eseguivano anche incisioni su invenzioni di maestri che lavoravano in italia: i Bassano, Antonio Tempesta e Paul Bril (10). Anche nel caso di quest’opera è presente l’immancabile richiamo alla statuaria romana, infatti la posa assunta da Filemone che tiene le verdure in un panno riprende quella di una statua acefala presente nella collezione Borghese (fig. 44).

Molto interessante e complesso dal punto di vista del significato è il ciclo di tre dipinti chiamato dei tre regni,  il Regno di Minerva  (fig.45) dove sono rappresentati artisti geografi e studiosi, simbolo delle arti intellettuali,

fig.45 Adam Elsheimer Regno di Minerva olio du rame

il Regno di Giunone (perduto, lo vediamo qui in una incisione di Hollar)  (fig.46) nume protettore della prosperità (come è ritratta anche in un dipinto del Veronese) e della operosità,

fig.46 Wenceslaus Hollar Regno di Giunone acquaforte

infatti il suo soggetto è popolato di persone che lavorano, per arrivare infine al Regno di Venere (fig.47), dove attraverso la dea nuda ed i satiri si vuole rappresentare la bellezza, il piacere e l’erotismo.

fig.47 Adam Elsheimer Il regno di Venere olio su rame

In questa serie Elsheimer fa ancora ricorso alla statuaria antica, la posa di Venere è molto probabilmente desunta dalla statua ermafrodito che fu ritrovata a Roma nel 1608; questa scoperta allora ebbe un grande clamore, a quell’epoca era senza il letto realizzato successivamente da Bernini e i suoi riflessi si vedono anche in un dipinto del Baglione dove anch’egli la finge per Venere raffigurandola nella sua Venere fustigata da Amore pubblicata da Federico Zeri (11), come vediamo in foto in un disegno conservato al Museo Nazionale Romano. (fig.48)

fig.48 Ermafrodito Museo nazionale romano
fig.49 Atena pensosa museo nazionale dell’acropoli di Atene

Per quanto riguarda il regno di Minerva, numerosi sono gli esempi adatti alla posa pensosa del nume, dalla statua di Polimnia del museo di Montemartini alla stele con la Dacia della Collezione Cesi conservata ai Musei Capitolini, o al sarcofago raffigurante Protesilao e Laudamia della Collezione Barberini, ma l’esempio più interessante  è il bassorilievo con la dea pensosa e con la lancia in mano dell’Acropoli di Atene (fig.49), sia il soggetto che l’atteggiamento sono davvero simili, in qualche modo Elsheimer deve essere stato a conoscenza del tema tramite una qualche derivazione che purtroppo io fino ad oggi non ho rinvenuto. Da ultima la figura di Giunone in trono deve essere stata ideata a partire dall’esempio della Triade capitolina o dalla Roma Cesi conservata ai Musei Capitolini sul cui basamento sta proprio la Dacia pensante, che come abbiamo visto è uno dei possibili modelli per la Minerva ( fig.50).

fig.50 Roma, Cesi e Dacia pensosa

Questa statua faceva parte della collezione della famiglia del linceo Federico Cesi  dunque è molto probabile che Elsheimer l’abbia vista. Nella incisione tratta dal dipinto, possiamo osservare che sulle volte degli archi che stanno dietro di lei  sono raffigurate anche le vittorie coi rami di palma che spesso decorano gli archi di trionfo romani; insomma dietro i lavori di Elsheimer sta come sempre un grande e preciso studio, in questo caso dell’iconografia antica.

Queste tre divinità sono quelle che parteciparono alla contesa di Paride per la mela d’oro e in forma simbolica rappresentano le scelte che un uomo può fare nel suo percorso di vita: quella sensuale, la vita intellettuale e la vita industriosa, connessa al perseguimento delle ricchezze. Nel medioevo il Giudizio di Paride è stato interpretato come indicativo della scelta tra la vita attiva, quella contemplativa e quella sensuale (in particolare dal frate Vincenzo di Beauvais), ma non mi sembra questo il caso in cui cade il ciclo di Elsheimer. Infatti nel dipinto del Regno di Minerva sono state rappresentate solo le arti intellettuali mentre nel medioevo la contemplazione aveva assunto anche un carattere spirituale-cristiano (Guglielmo di Auxerrre, Rolando da Cremona); mi pare dunque che il suo significato vada piuttosto inteso seguendo l’interpretazione umanistica di questo mito che si ritrova nelle pagine dei Libri di famiglia di Leon Battista Alberti dove si fa la distinzione tra il nec otium honestum, e cioè le arti attive (Giunone) e speculative (Minerva ), che si contrappone all’otium inhonestum dedicato invece al richiamo dei sensi (Venere): le prime due occupazioni sono virtuose e sono antitetiche al vizio (12).

Nell’ideazione di questo ciclo l’Elsheimer ha probabilmente preso spunto da una serie di incisioni di Rafael Sadeler il vecchio, che raffigurano le quattro ètà dell’uomo (1591) dove la giovinezza è sotto il regno di Amore ( fig.51), la maturità è patrocinata da Minerva ( fig.52)

fig.51 Raphael Sadeler Giovinezza- Regno di Amore bulino
fig.52 Raphael Sadeler Maturità-Regno di Minerva bulino

(che qui comprende tutti i tipi di attività), la tarda età invece è presieduta dall’abbondanza caratteristica di Giunone (fig.53), e per ultima vi è la vecchiaia all’insegna del dolore.

fig.53 Raphael Sadeler Tarda età-Regno di Giunone bulino
fig.54 Ninfa al bagno olio su rame

Per certi versi la rappresentazione di queste fasi della vita realizzate da Sadeler possono anch’esse rientrare nelle categorie dell’Alberti; all’ozio giovanile caratteristico del regno di Amore, l’otium inhonestum, fa seguito  e si contrappone il nec otium honestum, vita operosa della maturità (Minerva) che nella tarda età porterà i suoi frutti (Giunone) sotto forma di ricchezze ed onori (sotto questo aspetto viene rappresentata anche in un dipinto del Veronese).

fig 55 Venere accovacciata Uffizi

In questa serie dell’Elsheimer  dunque secondo lo stile nordico forse potrebbe essere nascosto anche un double entendre, cioè la rappresentazione delle Tre età dell’uomo (e non quattro) come più comunemente diffuso nella tradizione italiana.

Ancora alla tradizione classica devono essere riferiti alcuni suoi ulteriori lavori come la Ninfa al bagno (fig.54) del museo di Berlino pubblicata dal Bode che, al di là del dibattito sulla sua autografia, probabilmente riprende un soggetto di sua invenzione, la posa della ninfa è tolta dalla statuaria romana della Venere accovacciata (fig. 55) di cui esistono innumerevoli esempi e che è stata tradotta in stampa sia da Albrecht Altdorfer che da Marcantonio Raimondi.

L’inclusione di elementi classici si ripete ancora  nel disegno della Betsabea al bagno ( fig.56)

fig.56 Adam Elsheimer Betsabea al bagno gouache
fig.57 Statua romana di ninfa

dove la sua postura ricalca quello di una statua romana di una ninfa ( fig.57) anch’essa tradotta in incisione sia dal Raimondi che dall’Altdorfer.  I riferimenti all’antico ritornano ancora in altre due sue composizioni disperse ma di cui ci rimangono le versioni ad acquaforte realizzate da Hollar.  Una Danza di satiri e baccanti ( fig.58) dove le figure centrali: una ninfa che balla con il tamburello   (presente anche nel regno di Venere) e il satiro che suona il flauto sono ripresi  da un sarcofago romano (di queste figure a bassorilievo esistono diversi esemplari: nel British Museum quello proveniente dalla villa dei Quintilii sulla via Appia antica o nei Musei Vaticani), qui vediamo l’esemplare dei Musei Capitolini, ( fig.59), queste figure vennero anch’esse riprodotte  in una stampa dal Raimondi.

.58 Hollar Baccanti e Satiri acquaforte
fig.59 Corteo bacchico sarcofago (particolare)

Mentre il soggetto dell’altra stampa di Hollar tratta da un suo dipinto: il Satiro che suona il flauto (fig. 60)

fig.60 Hollar Satiro che suona il flauto acquaforte

può derivare dalla stessa figura del sarcofago o più probabilmente proviene in controparte da una acquaforte del 1606 di Antonio Tempesta, la Gara tra Apollo e Marsia (1606) ( fig. 61).

fig.61 Antonio Tempesta Apollo e Marsia acquaforte

In tutte queste composizioni che appartengono  al periodo più avanzato della sua permanenza nella Capitale, almeno a partire dalla Serie dei Santi,  il tono e l’aspetto del paesaggio è di nuovo radicalmente mutato, sono stati abbandonati i colori verde-azzurri di ascendenza nordica e le ambientazioni immaginarie; i colori e soprattutto la luce adesso sono diventati realistici, come si potrebbero vedere dal vero in Italia, la composizione ora è del tutto distesa, dolce come si trova nella contemporanea campagna romana,  ad esempio nella  Latona ed i pastori ( fig. 62), Elsheimer riesce in questo caso a restituire perfettamente l’impressione di trovarsi di fronte ad una placida ansa del fiume Tevere.

fig.62 Adam Elsheimer Latona e i pastori olio su rame

E’ chiaro che da questo connubio tra la natura della campagna di Roma e l’amore per i modelli classici non poteva che nascere che una nuova declinazione del paesaggio, che fu ovviamente influenzato dall’esempio di Annibale Carracci e dei suoi allievi, ma a differenza di questi, che non abbandonarono mai l’idea della rappresentazione del paesaggio sotto forma di fabula,  Elsheimer invece  in sintonia col suo carattere attento gli conferisce una connotazione più oggettiva e facilmente riconoscibile, contemporanea ( 13 ). L’attenzione soprattutto al realismo della luce e alla resa precisa degli aspetti della natura ha in lui un’atteggiamento quasi scientifico; questo tipo di sensibilità è molto più spiccata in Elsheimer che nella scuola carraccesca e non solo di quella, ma io direi  che lo è anche nei confronti di tutte le altre, con lui nasce davvero il paesaggio realistico in pittura. Perfettamente in sintonia ed anzi piena espressione di questa sua originale caratteristica è la bellissima Aurora ( fig. 63) che è stata preparata per mezzo di uno studio dal vero della campagna romana;

fig.63 Adam Elsheimer L’Aurora olio su rame

il sole che si sta alzando rimanendo nascosto dietro la quinta di una collina, inonda la pianura con la sua nitida e calda luce: probabilmente mai prima di questo dipinto si è raggiunto lo stesso grado di precisione nella descrizione di un fenomeno atmosferico e, cosa ancor più incredibile, mai un brano di paesaggio si è disciolto in un tal grado di pura poesia, ma Elsheimer, il pittore dell’impossibile, riesce qui ancora una volta a raggiungere l’irrealizzabile connubio dell’incanto poetico col realismo. Se nell’Aurora Adam si è concentrato sullo studio dei primi raggi luminosi mattutini, all’opposto nella Fuga in Egitto ( fig.64) è la luce lunare di un cielo notturno e stellato che occupa la sua mente.

fig.64 Adam Elsheimer La fuga in Egitto olio su rame

Come il giorno e la notte i due dipinti sono legati e stanno fra di loro in rapporto dialettico, sono i due termini di un dialogo per antitesi. Anche in questo caso l’artista tocca i vertici del lirismo, concretizzando l’equilibrio di un sottile incanto poetico di cui è protagonista una luna che si specchia immobile fra le acque. L’atmosfera di questa notte che ammanta gli uomini e la natura raggiunge una complessa ed inesplicabile intensità evocativa, che in qualche modo mi riporta alla mente il romantico Paesaggio al chiaro di luna del Guercino ( fig. 65), che seppure diversamente eseguito, come il capolavoro del tedesco possiede la stessa forza, la stessa capacità di trasportare lo spettatore in un luogo che esiste fuori dal tempo.

fig.65 Guercino, Paesaggio al chiaro di luna olio su tela

Questa è l’ennesima occasione per Adam di distinguersi e dare una ulteriore prova della sua pervicace ricerca del realismo; infatti nel dipinto vengono raffigurate precisamente oltre alla luna con i suoi crateri, la Via Lattea e le costellazioni del Delfino e del Leone (anche se non nella loro esatta collocazione).

Per questo motivo nel 1976 Anna Ottani Cavina scrisse un articolo dove supponeva che fosse stato utilizzato un telescopio per la sua realizzazione, registrando però l’opposizione per primo di Keith Andrews e aprendo  un dibattito che ancora dura, infatti su questo punto gli studiosi si sono divisi in due fazioni contrapposte, chi è a favore e chi contro, i primi inoltre hanno cercato  di desumere la data precisa dell’osservazione: il 16 giugno 1609, tesi ovviamente messa in discussione dagli oppositori (14).

In realtà è possibile che Elsheimer abbia potuto osservare il cielo con un telescopio, uno strumento a cui poteva aver avuto accesso attraverso la sua amicizia con Faber, lo scienziato era infatti in contatto con il Della Porta, il primo a teorizzare il funzionamento del telescopio nel suo Magia naturalis del 1589 (fig. 66).

fig.66 Della porta schema costruttivo di un telescopio, dalla lettera a Federico Cesi

Si ha poi testimonianza che i primi telescopi furono fabbricati in Italia nel 1590 come afferma Lapini :

“Il noto scienziato e storico italiano Vasco Ronchi sostiene [Ronchi, 1958 e 1968] che questi avrebbero in realtà imitato un oggetto arrivato dall’Italia verso il 1590, a seguito della migrazione in Olanda di vetrai nostrani, ed a sostegno di questa tesi cita uno scritto olandese del 1634, pubblicata dallo storico Cornelis de Waard  nel quale è riportata una affermazione del figlio di Janssen, che suona così: «Giovanni Zaccaria (Janssen) dice che suo padre costruì il primo telescopio in questo paese nell’anno 1604, imitandone uno pervenuto dall’Italia, su cui era scritto: anno 1590».

Sappiamo inoltre che nell’agosto del 1609  Scipione Borghese (amico di Faber)  ne possedeva uno, e il 28 agosto 1609 della Porta ne descrive in una lettera il funzionamento (fig.66) al Coelivagus: Federico Cesi, che fin dalla fondazione dei Lincei (1603) aveva scelto questo soprannome accademico; entrambi furono amici di Faber, Cesi poi costruirà il cannocchiale e sulle basi delle sue osservazioni scriverà il De coelo ( 1630) (15).

Al di là di tutti questi dati che sono oggettivi  e considerando la sua mentalità  non ho dubbi che se  Elsheimer ne avesse vuto la possibilità lo avrebbe usato per osservare il cielo in modo da riprodurlo nella maniera più verosimile possibile e probabilmente lo ha anche fatto, ma non credo che avrebbe registrato il dato come accade in una fredda ripresa fotografica, essendo un poeta lo avrebbe trasformato, così come lo vediamo noi ora nel suo piccolo rame.

Come si può desumere dall’intensità e dalla durata di questo dibattito tra gli sudiosii è evidente che egli riesce a ricostruire l’apparenza della realtà in una maniera talmente precisa da poterla scambiare per la realtà stessa, una volta fatto questo e cioè  aver impressionato la mente e la memoria dell’osservatore il fine della sua pittura è stato completamente raggiunto.

Questo dipinto influenzò profondamente sia Rembrandt che Rubens, tanto che entrambi ricordando l’opera di Elsheimer realizzarono le loro versioni, così come nell’ Aurora del nostro pare di vedere già tutto Claude Lorrain. Ad una attenta osservazione non sfiggirà neppure che queste due opere sono costruite seguendo lo stesso modulo organizzativo già utilizzato nel Diluvio o nella Fuga da Troia, e cioè con una quinta scura che discende da destra a sinistra e divide il quadro tra la zona della luce e dell’ombra.

A completamento dei discorsi appena fatti e con l’intento di inquadrarli all’interno del loro contesto storico occorre aggiungere che la discussione sui vari gradi di approssimazione nella rappresentazione della realtà fu uno dei temi centrali del dibattito culturale e filosofico del periodo, un dibattito che ricevette un forte impulso dai lavori pubblicati attorno alla metà del ‘500 da uno dei padri dell’ermeneutica: Francesco Robortello, ne In librum Aristotelis De Arte poetica explicationes (1548) e nel  De historica facultate (1548).

Lo studioso in questi due scritti pone le basi per la distinzione degli scopi e dei metodi utilizzati dalla Arte Poetica rispetto a quelli della Arte Historica inserendosi così nell’ ampio dibattito che riguarda la filosofia estetica e per certi versi anche quella della scienza. Ai suoi interventi seguirono poi quelli di Patrizi, Castelvetro, Bodin, e da ultimo quello posteriore di Agostino Mascardi, cui vorremmo far ricorso in ultima analisi per l’esemplare chiarezza (Cfr. Eraldo Bellini ,Agostino Mascardi tra ars poetica e ars historica, 2002).

In primo luogo occorre precisare il fatto che la storia ha il compito di descrivere una sequenza di avvenimenti facendo ricorso a notizie certe e verificate, mentre la poesia racconta un un fatto con lo scopo di colpire l’emozione dello spettatore e fornirgli anche un contenuto educativo (secondo l’ampiamente diffusa accezione oraziana); se lo storico dunque necessariamente ha dei limiti nel suo agire e deve osservare delle regole comunemente accettate dai suoi colleghi, il poeta non ha nessun limite alla sua immaginazione. Mascardi però correttamente mette in evidenza il fatto che nel suo lavoro lo storico deve necessariamente ricucire la trama degli eventi servendosi di ipotesi, e che tali ipotesi sono indispensabili per colmare le lacune di informazioni esistenti fra le notizie frammentarie di cui egli dispone, in modo da ricondurre ad una certa logica il discorso complessivo.

Dunque a ben vedere anche l’attività dello storico ha la caratteristica del verisimile e non del vero assoluto, un verisimile che comunque si avvicina alla verità con un grado di approssimazione migliore di quello del poeta, dato che è incanalato in una serie di regole razionali, ma che ha pur sempre una natura che il Mascardi chiama verisimile-vero per differenziarlo da quello che è permesso solo al poeta e cioè il verisimile-falso. Il poeta all’opposto può servirsi a suo piacimento di entrambi i  tipi di verisimile,  il suo obiettivo comunque non è quello di stabilire la verità ma di emozionare lo spettatore e dunque il verisimile-vero viene introdotto dal poeta  con lo scopo ultimo di dare corpo e rendere più concreta e tangibile allo spettatore la sua rappresentazione del fatto, e mi pare che a questa categoria appartenga l’Elsheimer.

In questo dibattito non mancò di entrare  anche la voce della scienza, quella di Galileo, che ne Il Saggiatore ( 1623), commentò un passo dell’allora famoso storico Omero Tortora dove si afferma che il piombo delle palle di cannone a causa dell’ attrito con l’aria poteva arrivare a fondere; l’affermazione  è  verosimile dato che esiste l’attrito e  che esso sviluppa calore nei corpi solidi, ed il piombo col calore può fondere, ma il calore sviluppato dall’attrito con l’aria non è sufficiente a portare il piombo al punto di fusione, quindi l’ipotesi, che sarebbe in linea teorica possibile, non reggerebbe la prova sperimentale che è tipica appunto del  metodo scientifico che si andava allora delineando.

Questo però non pregiudica affatto la credibilità dello storico, dice Galileo, infatti scienza e storia hanno strumenti e fini diversi, il metodo storico può servirsi di congetture, proporre delle ipotesi e dare una interpretazione di quanto è accaduto senza la necessità di una assoluta conferma sperimentale, una cosa che allo scienziato invece non è concessa. In questo discorso Galileo introduce quindi una terza e più restrittiva categoria di approssimazione alla realtà: quella scientifica. Un ultimo inciso per dire che sia Omero Tortora che Agostino Mascardi che anche Federico Cesi, il fondatore dell’Accademia dei Lincei, facevano tutti parte di quella che allora era ritenuta la più importante accademia italiana, quella degli Humoristi fondata a Roma nel 1600 e che aveva sede in via del Corso nel palazzo Mancini-Mazzarino.

Non ci rimane ora che da analizzare un ultimo importante ed enigmatico dipinto: Il Contento (fig.67), un’opera creata da Elsheimer partendo da un soggetto di una novella picaresca dello spagnolo Mateo Aleman: La vita di Guzman de Alfrache e tradotta in Italiano da Barezzi nel 1606.

fig.67 Adam Elsheimer Il Contento olio su rame

Come si legge nella introduzione dell’autore il suo scritto ha uno scopo di carattere educativo e cerca di mettere in guardia l’uomo rispetto alla vanità del piacere terreno che è invece all’opposto è l’unico scopo dei picari.Così Barezzi nella prima pagina del libro ne riassume efficacemente il contenuto:

Nella quale Guzmano narrando le di lui attioni, fa vedere a ciascuno come in un lucidissimo specchio, che le Virtù conducono al supremo degli Honori, e che i vizi traboccano nel precipizio delle miserie fino alla mendicità” ed ancora ”Nel progresso potrai tu tirar fuori le cose morali…sappi che questo è l’essere picaro cioè del briccone che è il principale soggetto del libro,”(L’autore al vulgo).

Essi infatti:

entraro nell’aringo della gioventù, sopra lo sfrenato cavallo del loro irragionevole appetito che li porta e precipita in mille disordini.Ci mostra similmente, che non è men sicuro a costoro, l’huomo il quale privo di nobile scienza o di alcuno speciale mestiero, fonda le speranze sue su la non coltivata scuola della natura…”. ( Elogio).

In questi passi iniziali si fa chiaro fin da subito l’intento morale dell’opera, immediatamente seguito da un ammonimento generale nei riguardi dei percorsi della vita: in primo luogo durante la gioventù non bisogna abbandonarsi agli appetiti sfrenati del piacere e poi successivamente durante la fase della maturità occorre acquistare con fatica una nobile scienza o uno speciale mestiere poiché

Non è fatica tanto amara che se tu vuoi ne ricavi un fin dolce: né riposo tanto dolce qual tu possa lasciar di temere una fine amara …( pag.259)”.

In questi consigli si possono vedere già in nuce gli argomenti del ciclo dei tre regni, che ammoniscono sulla pericolosità di una gioventù dedicata agli appetiti sensuali (regno di Venere) e al contrario mostrano le strade virtuose dell’acquistare una conoscenza (regno di Minerva) o un buon e profittevole mestiere (regno di Giunone); potrebbe dunque anche esserci un legame tra questo ciclo e il messaggio contenuto del libro.

Il soggetto del dipinto è una novella morale ripresa dagli scritti di Leon Battista Alberti e del Doni, narrata nel capitolo VII° del primo libro ( pag.95):

La vita dell’huomo è una malitia sopra la terra, non vi è alcuna cosa sicura, né stato durabile, né gusto perfetto, né contento vero: ogni cosa è finta e vana, e se tu vuoi vederlo, odi questa diceria morale degli dei antichi”.

Nei passi seguenti si narra il fatto che gli uomini della terra si interessavano,onoravano e ricercavano solo il dio Contento e cioè il Piacere: Giove stanco della situazione, inviò sulla terra Mercurio che trovò gli uomini intenti a fare feste e giochi, e il dio, vista la situazione, a quel punto ordinò di rapire il Contento e poi :

Giove… calò in terrà e perché gli huomini stavano attaccati alla veste del Contento, usando una astuzia lo cavò fuora lasciando lo Scontento in luogo suo… Si credevano gli houmini che con loro fosse rimasto il Contento… e dentro a quei panni è lo Scontento…Considera in quel modo che tu vuoi le feste, i godimenti, i banchetti, le  danze, la musiche, i diletti le allegrezze e tutto quello che più move la tua inclinazione, e questo tutto in quel maggior colmo, che’l tuo desiderio ti sapesse dipingere:se io ti dimanderò dove vai, mi potrai orgogliosamente rispondere alla tal festa di contento. Io voglio che tu lo riceva e te lo dieno, percè i giardini erano molto fioriti e’l suono delle acque argentate e le fontane di zaffiri e di perle ti rallegrarono… maggiori piaceri intervengono maggiori disgrazie…Mi verrai hora a confessare che la veste ti ingannò e la maschera ti accecò? Dove credevi fosse il Contento, non fu altro che il suo vestito, e in lui lo Scontento. Hora tu vedi come in terra non è contento, e ch’l vero contento è in cielo.

Questa è la storia narrata dal Guzman, che viene fedelmente rappresentata (come era prevedibile) nel dipinto di Elsheimer: in alto vediamo le danze, i canti, il girotondo, i fuochi d’artificio, i giardini fioriti insomma l’atmosfera della festa, c’è anche la corsa dei cavalli che come abbiamo visto nel testo di Aleman è il simbolo degli appetiti sfrenati; sulla destra c’è Giove su una nube, e di fronte a lui Mercurio mentre rapisce il Contento che gli uomini cercano di trattenere.

L’opera dal punto di vista dell’organizzazione è davvero molto articolata, è come se fosse divisa in tanti riquadri, ancora una volta Elsheimer riesce nell’impresa di far coestistere il buio e la luce pur essendo in pieno giorno, lo vediamo nella accuratezza degli effetti del fuoco dell’ara sui volti dei partecipanti, così come anche nella rappresentazione della luce diurna nella zona superiore.

Dal punto di vista iconografico l’opera si configura come un compendio delle invenzioni realizzate dall’Elsheimer nel suo primo periodo romano, ritroviamo qui la menade danzante col tamburello che guida il girotondo mentre sopra di lei un uomo si sta arrampicando come sull’albero del Diluvio, di fianco a loro si rinnova l’energia dei cavalli della Caduta di San Paolo, mentre due cavalieri riccamente vestiti come nel Martirio di Santo Stefano sono raffigurati dietro a Giove, dappertutto poi il paesaggio è disseminato delle immancabili rovine romane e dei bellissimi e realistici fiori. Si tratta della composizione più complessa realizzata dal tedesco e questo giustifica la numerosa serie di disegni realizzati per pervenire ad un risultato di tale valore, per questo motivo l’opera rimase non terminata nello studio del pittore e alla sua morte fu completato da un assistente; un disegno passato in asta da Christie’s nel 2012 ce la mostra nel suo stato di non finito.

Andrews correttamente lo situa nel 1607 proponendo l’ipotesi che sia passato nelle proprietà di Odoardo Farnese, successivamente si è fatta strada anche l’ipotesi di una commissione del cardinale; sicuramente vi è un filo che lega l’opera con questa famiglia in cui la cultura spagnola era ben presente e che nella biblioteca custodiva il libro di Aleman e dunque il seme del clima intellettuale  che ha suggerito al tedesco il soggetto può certamente essere venuto dal suo entourage. Meno spiegabile anche tenendo conto della lentezza di Elsheimer è il fatto che dopo tre anni una eventuale commissione sia rimasta ancora da completare, senza che sia emersa la notizia di alcun sollecito da parte della corte, né si faccia alcuna menzione dell’opera negli inventari.

Sempre molto puntuali e  ben evidenziati da Andrews e ribaditi da Witte sono, per quanto riguarda il corteo, i riferimenti ai modelli dei bassorilievi antichi antichi pervenuti al tedesco probabilmente per mezzo di incisioni realizzati da Cornelis Cort (fig.68),

fig.68 Cornelis Cort, cortei processionali da bassorilievi romani incisioni

possiamo notare con certezza la vicinanza dell’uomo con le braccia aperte, la donna con il bambino, la presenza dell’ara sacrificale da cui si emana la luce (qui nascosta ma visibile nei disegni preparatori), la cesta con le offerte ed altre figure (16) a queste sorgenti si può senz’altro aggiungere anche una incisione di Diana Scultori in controparte (fig.69), per quello che riguarda  l’organizzazione complessiva della parte bassa del dipinto con il Giove in trono in mezzo al corteo e posto tra le colonne.

fig.69 Diana Scultori Sacrificio a Giove

La figura di Giove è anch’essa un riflesso dall’antico, la sua posa seduta e con un braccio alzato riprende la statua del Giove Tonante in trono come quello che era conservato a palazzo Verospi (fig.70) e che ora è ai musei Vaticani oppure quello che adornava il palazzo dei Conservatori.

fig.70 Giove Tonante Verospi incisione
fig.71 Adam Elsheimer L’artista disperato, disegno

In questo percorso attraverso le sue opere abbiamo potuto apprezzare quanto il tedesco sia attento e laborioso nel curare ogni  dettaglio, allo scopo di restituire la massima verosimiglianza ad ogni aspetto contenuto nelle sue opere, che devono essere tutte dotate del massimo grado di realismo; lo possiamo immaginare nel suo atelier a pensare, progettare, costruire ogni parte di un dipinto, analizzandone l’ accuratezza sotto tutti i molteplici aspetti che abbiamo evidenziato durante questo saggio: era infaticabile.

Ma alla fine il troppo lavoro, il troppo studio e l’ansia per il perfezionismo finì per sfiancarlo: lo vediamo in un suo disegno seduto al tavolo da lavoro dello studio (fig.71) dove si raffigura disperato mentre si tiene la testa.

La morte lo colse l’11 dicembre 1610 ad appena 32 anni, ponendo così fine ad una parabola addirittura più breve di quella di Caravaggio che era morto l’11 luglio dello stesso anno, mentre Annibale era spirato l’anno precedente,  tutti e tre avvolti dalla più cupa disperazione, ma nonostante questo le sue poche opere lasciarono una impressione indelebile nella storia dell’arte.

Alla sua morte fu stilato un inventario che ci permette di gettare un po’ più di luce sul suo operato e anche sul suo catalogo purtoppo ancora molto scarno, speriamo che in futuro altri documenti simili ci consentano di risarcire meglio la sua arte.

L’elenco stilato dopo la morte ci dice che nella sua camera da letto vi erano la Fuga in Egitto e il Contento ed altri rami solo abbozzati e dunque presumibilmente suoi ma dispersi: una Negazione di San Pietro ed altri sei paesetti in rame non finiti, inoltre nel suo studio, e quindi  realizzati da lui, figuravano tre quadri abbozzati  in tela con le Stagioni, un Ecce Homo ed una Santa Caterina sempre in tela in abbozzo, un  Cristo nell’orto in tela, ed un San Giovanni in tela, tutti non finiti.

Dunque secondo questa precisa testimonianza Adam dipinse anche su tela e i successivi inventari del collezionista-pittore fiammingo Karel Oldrago ce lo confermano, ma purtroppo di questa attività ci rimane solamente il bellissimo Autoritratto conservato agli Uffizi( fig.72). Alla sua morte Rubens scrisse all’amico Faber:

Sicuramente dovrebbe per tale perdita vestirsi di lutto stretto tutta la nostra professione, la quale non ritroverà facilmente un par suo che, al giudicio mio, in figurette et in paesi et in qual si voglia cirostanza non ebbe mai pari. E’ morto nel fiore degli studi “la sua messe era ancora in erba”. Ci sarebbe potuto aspettare da lui”cose che non si sono mai viste e mai si vedranno, insomma il destino lo ha solo mostrato fugacemente al mondo”. Io per me non stimo d’esser mai stato maggiormente trafitto al cuore di dolore che con questa nuova né guarderò giammai con occhi d’amico costoro che l’hanno ridotto a sì miserabil fine. E prego il sigr. Iddio che voglia perdonar al sigr. Adamo il peccato d’accidia, mediante la quale ha privato il mondo di cose bellissime e causatosi molte miserie e ridotto, come credo, sé stesso quasi in disperazione ove poteva colle proprie mani fabricar una gran fortuna e farsi rispettar di tutto il mondo. (17).

Come si evince dalle sue stesse parole il grande pittore barocco fu fortemente vicino al tedesco e fortemente influenzato dalla sua arte, come del resto abbiamo avuto modo di apprezzare durante questa analisi; egli arrivò a possedere anche due sue opere, la Giuditta e Oloferne e la Derisione di Cerere che è conservata al Prado. Quest’ultimo dipinto è conosciuto  in due esemplari, una prima esecuzione conservata in America che è certamente originale per il superiore trattamento degli effetti di luce e perché mostra diversi ripensamenti iconografici, purtroppo non è in buono stato di conservazione e forse non fu finita o  danneggiata, mentre la seconda versione è invece quella che fu in proprietà di Rubens (fig. 73).

fig.73 Adam Elsheimer La derisione di Cerere olio su rame

Questa fu giudicata non autografa da Andrews che lamentava alcune cadute di stile, successivamente Klessman in occasione della mostra sul pittore, pur concordando su questo punto con Andrews, ammorbidì la sua posizione mettendo in evidenza che alcuni esami scientifici hanno mostrato che anche questa copia subì dei danneggiamenti e soprattutto il fatto che la testa del bambino poteva essere rivolta verso lo spettatore come accade nella stampa di Goudt che la raffigura, ma che non avviene nell’esemplare americano.

fig.74 Atena Giustiniani

In aggiunta a questo c’è sicuramente da tenere in considerazione il giudizio dell’occhio di Rubens che per di più conosceva personalmente il pittore e la storia delle sue opere, appare dunque piuttosto logico che si tratti di una versione autografa magari finita da un’altra mano. Anche nel caso di questo soggetto può essere colto un richiamo alla statuaria antica che è stato evidenziato da Weizsacker secondo il quale la figura di Cerere è da collegarsi ad una statua di Atena che faceva parte della Collezione Giustiniani e che ora si trova ai musei Vaticani ( fig. 74) ( 18). Abbiamo avuto modo di vedere quanto fu amato anche da  Rembrandt, così come impressionò fortemente non solo Agostino Tassi ma anche il suo straordinario allievo Claude Lorrain che come il tedesco seppe popolare di satiri, menadi danzanti e leggende classiche la campagna romana, inondata dalla luce calda e felice del sole meridionale: i suoi dipinti sono dei  paesaggi incantati dove il mito è oramai divenuto una favola serena.

Claude raccoglie con acutezza l’insegnamento dell’Aurora di Elsheimer e spesso nasconde la luce diretta del sole dietro una quinta che lo fa intuire ma non lo mostra direttamente, questo accorgimento tecnico risulta evidente soprattutto nel Paesaggio che più si ispira all’Aurora, Il tempio della sibilla di Melbourne (fig. 75), ma  vicevera quando il Lorrain decide di mostarlo allo spettatore lo fa riproducendo l’incanto dei riflessi dell’astro che solcano un mare intriso di nostalgia.

fig.75 Claude Lorrain, Tempio della sibilla olio su tela

Lunghissima è la lista dei pittori di paesaggio oltremontani che cedettero al suo fascino, a partire dai più vicini Bril e Goudt, per continuare con Konig, Lastman, Pynas, van Poelenburgh, Breembergh, Wals ed anche  David teniers il vecchio. Adam colpì anche gli italiani, Domenico Fetti e Filippo Napoletano ne subirono l’influenza così come soprattutto il Saraceni e Orazio Gentileschi, che studiò attentamente la sua maniera pittorica riversandola nel suo meraviglioso rame col San Cristoforo, talmente vicino al tedesco, non solo per il risultato ma anche per la minuziosa tecnica esecutiva, che per lungo tempo gli fu attribuito; solamente l’occhio di Roberto Longhi riuscì di individuarne l’autore. Fu molto apprezzato dal Longhi che comprese pienamente la portata della sua pittura, ed anche dai suoi allievi, infatti si occuparono di lui Giuliano Briganti, Andrea Emiliani, Federico Zeri ed anche Anna Ottani Cavina e Luigi Salerno.

Adam colpì anche gli italiani: Domenico Fetti e Filippo Napoletano ne subirono l’influenza così come soprattutto il Saraceni (19) e Orazio Gentileschi che studiò attentamente la sua maniera pittorica riversandola nel suo meraviglioso rame col San Cristoforo, talmente vicino al tedesco, non solo per il risultato ma anche per la minuziosa tecnica esecutiva, che per lungo tempo gli fu attribuito, e solamente all’occhio di Roberto Longhi riuscì di individuarne l’autore.

Conclusioni

Come uno scoppio improvviso ed inaspettato la sua pittura illuminò di una luce, originale e diversa, il panorama della pittura del Seicento, come scrisse il Sandrart dopo il suo arrivo in città:

“In tutta Roma non si parlava d’altro che della formula pittorica di recente scoperta da Elsheimer”.

E forse ora alla fine di questa lettura si potrà comprendere meglio l’entusiastica apertura di questo articolo, insomma l’intelligenza pittorica di Adam impressionò tutti i pittori della sua epoca e parafrasando Rubens possiamo solo immaginare  quanto la sua impronta sarebbe stata ancora più intensa e forte se  fosse vissuto più a lungo, ma purtroppo non andò così.

Abbiamo ripercorso le diverse fasi della sua carriera artistica che si snoda tra la Germania, Venezia e Roma e le cui tappe si trovano riflesse nella sua maniera di rappresentare il paesaggio, prima quello tedesco con le sue foreste di pini contaminato dalle ascendenze fiamminghe derivate da Rottenhammer e Bril, poi quello di ispirazione classica ma immaginario della sua  prima fase romana, e infine il suo, quello di cui fu l’iniziatore: il paesaggio realistico, che nasce per merito delle sue doti, la sua  sensibilità per la luce e la sua finezza esecutiva. Nel creare queste opere riuscì nella difficilissima impresa di coniugare l’esattezza del dettaglio con la bellezza dell’immagine intera vista nel suo insieme, e dunque i suoi quadri si possono godere sia a colpo d’occhio che nei particolari.

Nella organizzazione generale dei dipinti fa spesso ricorso strutture compositive già ben sperimentate e collaudate che si ripetono, come nel caso del Battesimo di Cristo e della Sacra famiglia con San Giovanni, del Diluvio e della Fuga da Troia, dell’Aurora e della Fuga in Egitto o del Martirio di Santo Stefano e di San Sebastiano, a dimostrazione di quanto tutto sia da lui coerentemente pianificato, preordinato.

fig.76 Adam Elsheimer foglio di schizzi

Come abbiamo visto poi nel caso dell’ illustrazione dell’episodio  del Contento o del Filemone e Bauci anche la precisione narrativa e l’aderenza al testo letterario fece parte della sua cifra stilistica. Abbiamo potuto anche apprezzare quanto approfonditamente e con passione si applicò allo studio dei modelli classici a cui fa puntualmente ricorso nella  maggioranza dei suoi dipinti romani, ed una uguale attenzione veniva dedicata anche ai loro significati simbolici. Meno in evidenza ma sicuramente solido fu anche il suo approfondimento e lo studio dei trattati sulla prospettiva, come si desume da questo foglio di schizzi conservato a Berlino (fig.76).

Il disegno contiene diverse immagini derivate proprio da questi trattati,  si distinguono in basso alcune partizioni prospettiche del viso umano e  alcuni studi di figura di sottinsù e di altre figure in movimento, che paiono derivate dagli esempi del trattato di Leonardo come quelle illustrate nel codice Huygens ( fig.77) di Carlo Urbino

fig.77 Carlo Urbino immagini del Codice Huygens
fig.78 Albrecht Durer Trattato sulle proporzioni del corpo umano (particolare)

o nel Trattato sullo studio delle proporzioni umane di Durer (fig.78), la figura con le partizioni del volto umano è proprio identica a quella che si trova in quest’ultimo testo. Amplissima ed indiscutibile fu la sua conoscenza degli esempi iconografici derivati delle incisioni e dai modelli dei grandi maestri, ma anche quella nel campo della botanica, molto numerose sono infatti le specie vegetali da lui rappresentate.

Tutte queste conoscenze che si desumono dalle sue opere rendono pienamente giustizia alla operosità e al duro lavoro che era la caratteristica del tedesco, ed  anche se non abbiamo nessuna testimonianza scritta di questo, dall’analisi dei suoi lavori emerge il ritratto di un’uomo non solo con una netta predisposizione scientifica ma anche dotato anche di una rara inclinazione enciclopedica.

fig.79 Lapide in memoria di Adam Elsheimer

Ma più di tutte la sua dote più nascosta e più grande risiedeva nel suo cuore, nelle sue opere Adam sapeva infondere una atmosfera di suggestione inimitabile e al contario di quello che ci si poteva aspettare da tanta precisione i suoi dipinti non sono mai freddi, ma all’opposto sono tutti dotati di un fascino inspegabile, era un uomo che sapeva dare alla sua immaginazione e al suo sentimento l’apparenza della realtà e  non vi è dubbio che il motivo più profondo per cui i  suoi quadri affascinano il nostro animo è proprio per mezzo del loro ineffabile incanto poetico.

Per chi avesse voglia di ricordarlo,  le sue spoglie mortali sono ancora  nella città che egli ha così tanto amato, a Roma in San Lorenzo in Lucina dove nel 2010 nell’anniversario della sua morte è stata posta questa lapide in sua memoria ( fig.79).

Michele FRAZZI  Parma 30 ottobre 2022

NOTE

10 Georgios E. Markou, 2019

11 Federico Zeri, Giorno per giorno nella pittura. Scritti sull’arte dell’Italia del  Sei e Settecento, Allemandi, 1996, riprodotta anche sulla copertina.

12 Maria Maślanka-Soro, 2010 pag. 22-34

13 Michele Frazzi,  2006; Anna Maria del Vigo, 2011

14 Anna Ottani Cavina, 1976 pag. 139-145 ; Feb., 1977 pag. 119-120; Keith Andrews, Aug.1976, p. 595

15 Andreas Thielemann,2009; Stefan Zieme, 2021; Gianluca Lapini, 2009; Huib J. Zuidervaart, 2010, pag 17; Barbara Caredda,2008, pag.10,17

16 Andrews, 1977 pag,149

17 Ibidem, pag.47-57

18 Klessmann, 2006, pag.139

19 Riccardo Lattuada 2020

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