di Claudia RENZI
L’Annunciazione (1608 ca., Nancy, Musée des Beaux-Arts – Fig. 1) è una delle opere di Caravaggio meno celebrate: l’assenza di notizie certe sulla sua gestazione e le condizioni non ottimali in cui versa hanno contribuito a relegare il dipinto, di pur notevoli dimensioni (285×205 cm), in coda rispetto a molti altri.
Non è infatti noto, in questo caso, chi sia esattamente il committente – il dipinto è registrato per la prima volta nella sagrestia della chiesa primaziale di Nancy in un inventario del 1645 dove è così descritto:
“Une grande image de l’Annonciation donnée par le Duc Henry Second [duca di Lorena, ndA], de la main du fameaux peintre Michel Ange, le châssis doré par tout”[1].
Né, di conseguenza, è chiaro il periodo preciso della sua realizzazione, la cui datazione oscilla di diversi anni: nel 1948 François-George Pariset, che ebbe il merito di ricondurlo alla mano di Caravaggio[2], lo collocò nel periodo romano. Roberto Longhi, dopo un iniziale scetticismo, ci ripensò e ammise l’autografia caravaggesca datando tuttavia il quadro al secondo periodo napoletano[3]; Maurizio Calvesi, già nel 1971, avanzò l’ipotesi di una datazione al periodo maltese, attorno al 1608, per la presenza sull’isola del figlio naturale di Enrico II[4], Carlo de Brie; alchè Longhi[5] accolse la possibilità della commissione “francese”, e dunque la datazione al periodo maltese. Concordi Mina Gregori, che ravvisò similitudini con i dipinti estremi del maestro, quali es. il Martirio di Sant’Orsola (1610, Napoli, Palazzo Piacentini)[6] e Cinotti, Dell’Acqua che lo ritennero, per alcuni elementi, non troppo dissimile dalla Resurrezione di Lazzaro (1609, Messina, Museo Regionale) e dalla Natività (1609, già Palermo)[7]; infine Stefania Macioce[8], che argomentò come il figlio naturale di Enrico II fosse a Malta nello stesso periodo del pittore e Vincenzo Pacelli[9], giungendo così a una datazione tra il 1608 e 1609, ipotesi condivisa e argomentata, con un onesto condizionale d’obbligo, da Keith Sciberras, il quale individua nell’investitura di Carlo de Brie al cavalierato “il momento più appropriato per commissionare a Caravaggio” il dipinto in esame[10], giungendo a fissarne ipoteticamente la (altrettanto ipotetica) “rapida” esecuzione tra “gennaio e luglio 1608”[11] e prima ancora da Maurizio Marini, che propose il dipinto sia stato terminato in Sicilia[12].
L’ipotesi della datazione al periodo romano è stata ripresa da John Gash[13] nel 2009[14] e va ammesso che, dal punto di vista stilistico, non è tanto peregrina da dover essere rigettata aprioristicamente: nel caso l’Annunciazione fosse stata ideata, quantomeno a livello di abbozzo, a Roma – anche nella romana Morte della Vergine (1605, Parigi, Louvre) compaiono del resto un letto e un drappo dal sapore teatrale – l’angelo potrebbe allora essere il ragazzo che posa, in analogo ruolo, nel San Matteo e l’angelo (1602, Roma, San Luigi dei Francesi) mentre la modella invece non sarebbe una in particolare della “compagnia” del pittore (a quel tempo la modella più ricorrente di Caravaggio, fino al 1604, come ho già qui argomentato[15], era la cortigiana Fillide Melandroni, ma è da escludere che il maestro l’avrebbe ritratta, addirittura, nei panni della Vergine Annunciata) ma piuttosto un’idealizzazione, dato che il profilo di Maria è perfettamente sovrapponibile, se ribaltato, al profilo dell’angelo del Sacrificio di Isacco (1603, Firenze, Galleria degli Uffizi) a sua volta – pur partendo da un modello reale posante in carne e ossa – un’astrazione[16], sebbene sia opportuno segnalare una vicinanza somatica anche con la modella che impersona l’ancella col bacile (Salomè?) nella Decollazione di Giovanni Battista (1608, La Valletta, Oratorio di San Giovanni Battista dei Cavalieri, Concattedrale di San Giovanni)[17].
La vicinanza tra alcune sagome ricorrenti nelle opere del maestro anche a distanza di anni (es. la posa dell’angelo del San Matteo e l’angelo, 1602, Roma, San Luigi dei Francesi, e quella speculare dell’angelo nella perduta Natività, 1609, già Palermo, oppure di David nel David con la testa di Golia, 1606, Roma, Galleria Borghese, con quella speculare del boia nella Salomè con la testa di Battista, 1607 ca., Londra, National Gallery) si spiega con l’ovvio uso, conservazione e riuso dei cartoni che qualunque pittore figurativo, incluso Caravaggio, pratica.
L’Annunciazione è caratterizzata da un’atmosfera sommessa e sospesa: il divino irrompe nel quotidiano e tutto è congelato in attesa della risposta di Maria, la ragazzina di Nazaret scelta da Dio per riscattare, Nuova Eva, l’umanità. La scena si svolge infatti in un ambiente chiuso e dimesso, il buio è squarciato dal fascio di luce dal sapore mistico – lo Spirito Santo Caravaggio non l’ha dipinto in forma di Colomba, ma di luce – che investe Gabriele e convoglia su Maria, la cui contegnosa figura si staglia scultorea sulla dx del dipinto, quasi un cammeo perfettamente ascrivibile in una linea di disegno netta, come se la sua sagoma fosse stata ritagliata da altrove e posta qui come in un collage, dipingendole poi attorno l’ambientazione pertinente.
Lo sfondo è costituito da sedia impagliata che pare anticipare Van Gogh e, anziché il leggio con il Libro (secondo la tradizione Maria in quel momento stava leggendo la profezia di Isaia, 7: 14 che si avvererà in lei) c’è un cesto di panni e, in retroscena, un giaciglio con un cuscino che spunta da dietro la grande tenda verde tanto scura da risultare quasi indistinguibile dal resto sulla quale spicca, per contrasto, la figura dell’arcangelo: elementi che Caravaggio, come si vedrà, ha preso in prestito da artisti precedenti.
Gabriele è la figura più particolare: ne apprezziamo le ali (scure come quelle dell’angelo musico nel Riposo durante la fuga in Egitto, 1597, Roma, Galleria Doria Pamphili, e di Amore vincitore, 1602, Berlino, Staatliche Museum, ecc.), la scapola e il braccio destro, l’accecante bianco del panneggio che lo avvolge, rimando a quello del candido giglio che reca con la sinistra perché con la destra saluta e benedice Maria[18], ma non il volto.
Il viso dell’arcangelo è del tutto in ombra, se ne indovina a malapena un occhio e l’attaccatura del naso – la testa pare essere disallineata, mal collocata, come la un po’ rozza mano sx porgente il giglio.
Il Gabriele di Caravaggio, pur essendo in primo piano, è paradossalmente defilato: deve esserlo perché intento del pittore è convogliare l’attenzione dello spettatore su Maria, su quel fondamentale sì che lei dirà di lì a poco; colui che viene ad annunciare l’Incarnazione del Verbo è imperscrutabile proprio come la Volontà divina che lo ha inviato, ed è in una posa apparentemente inusuale: è posto più in alto di Maria – ma nemmeno questa non è un’invenzione di Caravaggio.
Già Lorenzo Lotto (1526-7, Jesi, Museo Comunale, Palazzo Pianetti – Fig. 2),
Tiziano (1535, Venezia, Scuola Grande di San Rocco – Fig. 3),
Domenico Beccafumi (1545-6, Sarteano, San Martino in Foro), Tintoretto (1560-70 ca., Bucarest, National Museum of Art – Fig. 4[19];
1560-70 ca., Venezia, Scuola Grande di San Rocco – Fig. 5;
1560-70 ca., Collezione privata – Fig. 6;
1582-4, Venezia, Scuola Grande di San Rocco – Fig. 7);
Paolo Caliari detto Veronese 1585 ca., Venezia, Gallerie dell’Accademia – Fig. 8;
(1578, Barcellona, Museu National de Catalunya – Fig. 9; 1588 ca., Cleveland, Museum of Art – Fig. 10)
avevano, nelle loro Annunciazioni, posto l’arcangelo più in alto della Vergine, soluzione che non ha, in fondo, nulla di eterodosso perché Gabriele sta planando dall’alto, dal cielo, dunque ha senso si possa trovare materialmente più in alto di Maria in questa specifica circostanza.
Soprattutto da Tintoretto – del quale va segnalato infine, per la presenza dell’angelo “annunciante” di spalle planante da dx, anche l’Angelo predice il martirio a santa Caterina (1560-70, Venezia, Palazzo Ducale – Fig. 11) – Caravaggio sembra aver mutuato i dettagli della sedia impagliata, del cesto con i panni e del letto visibile da una cortina dal gusto teatrale: non è più possibile, insomma, negare che Caravaggio guardasse, studiasse e rielaborasse le opere dei predecessori tra l’altro molto attentamente.
Prima di Caravaggio non risultano Annunciazioni della Vergine in cui l’arcangelo è così riottoso nel farsi vedere, eppure, al novero dei precedenti per un angelo simile da cui il maestro può aver tratto ispirazione va aggiunto un dipinto di un artista che lui conosceva bene.
Caravaggio è passato per l’Emilia nel suo scendere a Roma ? Allo stato attuale degli studi non è dato sapere con certezza, eppure il maestro sembra aver visto le opere di Correggio in quel di Parma e dei Carracci a Bologna, poi riemergenti anni dopo nelle sue opere romane e post romane. Quel che è certo è che conosceva – e apprezzava – le opere dei Carracci, cioè i fratelli Agostino e Annibale e il loro cugino Ludovico; quei Carracci precursori, pur preceduti da Leonardo, di quel naturalismo che Caravaggio avrebbe portato alle estreme conseguenze in seguito.
Ed ecco comparire, nel San Girolamo traduce la Bibbia di Ludovico (1592 ca., Bologna, San Martino Maggiore – Fig. 12), un angelo di tergo, la cui testa è eclissata dietro la scapola, braccio teso, gluteo e coscia avvolti dal panneggio esaltati dalla luce, ginocchio piegato, atterraggio in direzione dell’eletto.
Ribaltando l’immagine (Fig. 13), l’angelo carraccesco risulta piuttosto simile al successivo Gabriele caravaggesco:
una sagoma che il maestro può aver apprezzato e rielaborato anni dopo quando si è trovato a dover dipingere l’Annunciazione; nulla di più facile che, quando vide la fonte, Caravaggio ne abbia tratto un disegno – conservato poi tra le sue carte, in quello che può essere definito un album di repertorio – riadattato in seguito quando gli è tornato utile.
L’influenza con Ludovico pare essere stata tuttavia reciproca dato che il Carracci dipinse la sua Vocazione di Matteo (1607 ca., Bologna, Pinacoteca Nazionale) dopo avere visto la Chiamata di Matteo di Caravaggio (1599-1600, Roma, San Luigi dei Francesi) a Roma, mutuandone senza dubbio il dettaglio del Matteo barbuto e ben vestito che si auto-indica e il personaggio con cappello nero e occhialini, che rimanda all’assistente occhialuto caravaggesco lì presente, ecc.
Quel che distingue l’Annunciazione di Caravaggio dalle altre è comunque il carattere intimo dell’evento, il renderlo il più possibile vicino a come si deve essere svolto in realtà (come caldeggiava il cardinale Gabriele Paleotti nel suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane, 1582); la sua “essenzialità” troverà eco in una successiva – forse la più bella in assoluto – Annunciazione, quella di Dante Gabriel Rossetti (1849-50, Londra, Tate Gallery).
©Claudia RENZI, Roma, 3 Novembre 2024
Note
[1] Riassumono la questione Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, pp. 557-8 (scheda); Arnauld Brejon de Lavergnée, Annunciazione (scheda), in: Nicola Spinosa (a cura di), Caravaggio, l’ultimo tempo 1606-1610, Napoli, 2004, pp. 134-136; John Gash, Il contesto dell’Annunciazione di Nancy, in: Luigi Spezzaferro (a cura di), Caravaggio e l’Europa. L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, Milano, 2009, pp. 214-223; Keith Sciberras, Caravaggio Ispirato. Il ruolo dei Lorena e l’Annunciazione di Nancy nella Malta del 1608: un capolavoro tra politica e religione, in: Pietro di Loreto (a cura di), L’arte di vivere l’arte. Scritti in onore di Claudio Strinati, Roma, 2018, pp. 419-424.
[2] François-George Pariset, George de la Tour, Parigi, 1948.
[3] Roberto Longhi, Un’opera estrema del Caravaggio, in: «Paragone», X, 121, 1959, pp. 21-32, p. 29.
[4] Maurizio Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino, 1990, pp. 375-6.
[5] Roberto Longhi, Caravaggio, Roma, 1968, p. 43.
[6] Mina Gregori, A New Painting and Some Observations on Caravaggio’s Journey to Malta, in: «The Burlington Magazine», CXVI, 10974, pp. 594-603.
[7] Mia Cinotti, Gian Alberto Dell’Acqua, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Tutte le opere, in: I Pittori bergamaschi. Il Seicento, I, Bergamo, 1983, pp. 203-641, p. 466-468.
[8] Stefania Macioce, Caravaggio e i suoi referenti: notizie d’archivio, in: «Storia dell’Arte», 81, 1994, pp. 207-228, pp. 209-10.
[9] Vincenzo Pacelli, L’ultimo Caravaggio 1606-1610. Il giallo della morte: un assassinio di stato?, Todi, 2002, pp. 80-81.
[10] K. Sciberras, op. cit., p. 423.
[11] K. Sciberras, op. cit., p. 424.
[12] M. Marini, op. cit., p. 557.
[13] J. Gash, op. cit., pp. 216-217.
[14] Salvo poi ripensamento nel 2010, proponendo un collegamento tra l’Annunciazione di Nancy e un documento di 400 scudi emesso nel luglio 1608 dalla famiglia Gonzaga per un non meglio identificato dipinto di Caravaggio (Margherita Gonzaga, sorella del cardinale Ferdinando, aveva sposato nel 1605 Enrico II di Lorena e un altro Gonzaga, il duca Vincenzo I, è colui che comprò, dietro consiglio di Rubens, la Morte della Vergine). Cfr J. Gash, Le Caravage et la Lorraine, in: Claire Stoullig, Laurent Henart, André Rossinot (a cura di), L’annonciation du Caravage: la restauration d’un chef d’oeuvre du Musée des Beaux Arts de Nancy, Parigi, 2010, p. 17.
[15] Claudia Renzi, Caravaggio e il ritratto femminile: Fillide Melandroni. Una storia di modelle e di riconoscimenti, https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-il-ritratto-femminile-fillide-melandroni-una-storia-di-modelle-e-di-riconoscimenti/ su «About Art online» del 06.08.2023
[16] A questo tipo di soluzione il pittore ricorrerà almeno altre due volte, nel perduto San Matteo e l’angelo (1599-1600, già Berlino) e nella Deposizione (1603, Città del Vaticano, Pinacoteca), dove ha idealizzato i volti di due modelli in carne e ossa per “ritrarre” rispettivamente Socrate e Michelangelo Buonarroti.
[17] Non condivido invece l’ipotesi di una somiglianza con la modella che impersona una delle sorelle di Lazzaro nella Resurrezione di Lazzaro (1609, Messina, Museo Regionale) e sant’Orsola nel Martirio di sant’Orsola (1610, Napoli, Gallerie d’Italia, Palazzo Piacentini) essendo quest’ultima, evidentemente per via della pronunciata mascella, un’altra persona che ha perciò autonomamente posato per i dipinti siciliani (è infatti anche la Madonna nella perduta Natività, 1609, già Palermo).
[18] Arnauld Brejon de Lavergnée, Annunciazione (scheda), in: Nicola Spinosa (a cura di), Caravaggio, l’ultimo tempo 1606-1610, Napoli, 2004, pp. 134-136, p. 136.
[19] Caratterizzato, questo, dalla presenza di un gattino spaventato, personaggio già comparso nella precedente Annunciazione di Lorenzo Lotto del 1526 ora a Jesi.
Bibliografia
- Arnauld Brejon de Lavergnée, Annunciazione (scheda), in: Nicola Spinosa (a cura di), Caravaggio, l’ultimo tempo 1606-1610, Napoli, 2004, pp. 134-136
- Claudia Renzi, Caravaggio e il ritratto femminile: Fillide Melandroni. Una storia di modelle e di riconoscimenti, https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-il-ritratto-femminile-fillide-melandroni-una-storia-di-modelle-e-di-riconoscimenti/ su «About Art online» del 06.08.2023
- Francesca Cappelletti, Annunciazione (scheda), in: Claudio Strinati (a cura di), Caravaggio, Milano, 2010, pp. 209-13
- François-George Pariset, George de la Tour, Parigi, 1948
- John Gash, Il contesto dell’Annunciazione di Nancy, in: Luigi Spezzaferro (a cura di), Caravaggio e l’Europa. L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, Milano, 2009, pp. 214-223
- John Gash, Le Caravage et la Lorraine, in: Claire Stoullig, Laurent Henart, André Rossinot (a cura di), L’annonciation du Caravage: la restauration d’un chef d’oeuvre du Musée des Beaux Arts de Nancy, Parigi, 2010
- Keith Sciberras, Caravaggio Ispirato. Il ruolo dei Lorena e l’Annunciazione di Nancy nella Malta del 1608: un capolavoro tra politica e religione, in: Pietro di Loreto (a cura di), L’arte di vivere l’arte. Scritti in onore di Claudio Strinati, Roma, 2018, pp. 419-424
- Luigi Spezzaferro (a cura di), Caravaggio e l’Europa. L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, Milano, 2009
- Maurizio Calvesi, Le realtà del Caravaggio,Torino, 1990
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