Una” piccola cappella sistina” nel cuore del Chianti, ed altro ancora negli affreschi del Poccetti

di Mario URSINO

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A pochi chilometri da Siena (Comune di Castelnuovo Berardengo), nel complesso monumentale dell’antica Certosa di Pontignano, è racchiusa la Chiesa di San Pietro, decorata da un operoso pittore fiorentino, il tardo manierista Bernardino Poccetti [fig. 1], alias Bernardo Barbatelli (1548-1612), uscito dalla scuola di Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (1503-1577).

Il Poccetti (soprannome derivato dal verbo “pocciare”, usato in Toscana come sinonimo di  beone) era detto anche “Bernardino delle Grottesche”, e “Bernardino delle Facciate”, per indicare i suoi iniziali lavori come decoratore dei palazzi fiorentini, di cui poche sono le testimonianze superstiti: la migliore e ben conservata è senza dubbio la facciata del palazzo di Bianca Cappello, 1580 [fig. 2].

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Viceversa moltissime sono le sue pitture ad affresco, disseminate in tutta Firenze, in Palazzo Pitti, con episodi storici di Ferdinando I del 1608-1609, Le storie di S.Antonino, 1602, nel Convento di San Marco, la Scena della Genesi,1601-1602  [fig. 3],

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nel chiostro della sagrestia di Santa Maria degli Angeli, fino alle ultime opere come la Strage degli Innocenti, 1610-1612 [fig. 4],

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dipinto  per l’Ospedale degli Innocenti, in cambio dell’accoglienza nei suoi ultimi due anni di vita, tanto per citare solo qualche esempio dei suoi numerosissimi lavori nella città fiorentina.

Eppure, come ci ricorda il biografo Luigi Lanzi, nella sua Storia pittorica della Italia del 1795-1796:

“…trasandato dal Vasari nella scuola di Michele, perché allor pittor di grottesche e coloritor di facciate, del qual esercizio ancor togliea il soprannome, non si era per anco formato quel grande artefice che in Roma  divenne, studiando spassionatamente RaffaelloPochissimo in tavola o in tela, molto di lui rimane in fresco pressoché in ogni angolo di Firenze…”.

E nonostante queste antiche e significative parole del Lanzi, ancora oggi il Poccetti rimane un “trasandato” agli studi recenti, per cui non esiste uno testo monografico complessivo su questo alacre e virtuoso pittore fiorentino, ancorché studiato da A.Venturi (1934), C. Brandi (1934), G. Briganti (1961). Tuttavia un esauriente profilo biografico è stato redatto da Laura Marcucci, ad vocem, in Dizionario Treccani (1964); mentre nel vasto repertorio di Sandro Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del 600 e del 700, Firenze 2009, pp.228-229, si elencano tutte le opere del pittore a Firenze e altre città della Toscana, dove il Poccetti ha lavorato tantissimo nel compendiare magistralmente il classicismo raffaellesco e il manierismo di derivazione vasariana, da cui dovette apprendere non poco per i lavori eseguiti dal maestro aretino e dalla sua bottega, tra il 1565 e 1570 in Palazzo Vecchio. È sempre il Lanzi a dire sulla sfortuna del Poccetti:

Pietro da Cortona solea maravigliarsi, che fosse stimato ai suoi tempi men che non meritava; e Mengs mai non venne a Firenze, che non tornasse a studiarlo, ricercandone ogni fresco anche più obbliato”.

Quale sarà stata la ragione per cui solo pochi degli specialisti stimavano il bizzarro e capace pittore ai suoi tempi, come negli studi attuali? Secondo le precedenti notizie biografiche (Marcucci, 1964), il pittore era solito frequentare gente umile, popolani compagni di bevute all’osteria, autore di burle ai danni di qualche altro pittore e noti artigiani del suo tempo. Non coltivava l’amicizia dei suoi nobili committenti, preferendo la stravagante compagnia del volgo. Nondimeno, ha lavorato assiduamente fino a tarda età. E difatti il ciclo pittorico di affreschi nella Chiesa di San Pietro in territorio senese, il Poccetti lo ha eseguito nello scorcio degli ultimi anni novanta del secolo XVI, e rappresentano le Storie della Vergine, Storie della Passione, Storie di San Giovanni Battista, e Storie di San Brunone. Nella Certosa del Galluzzo, il Poccetti aveva già rappresentato  San Bruno nella Cappella Maggiore, nel grandioso Gesù accoglie l’anima di San Bruno, 1592-93 [fig. 5],

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citato  nel 1773, nell’ Elogio di Bernardino Poccetti  (pp. 195-203) del volume Serie degli uomini più illustri nella pittura, scultura e architettura, laddove si afferma: “Ma le cose più migliori de’ suoi pennelli furono quelle che condusse nella Certosa poco distante da Firenze…” (p. 201, fig. 6).

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L’antica Chiesa di San Pietro [fig. 7]

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era stata saccheggiata a seguito della guerra tra Siena e Firenze (1554-1555), insieme al Complesso monastico certosino, che fu ripristinato con restauri rinascimentali, e la decorazione fu affidata al Poccetti ed aiuti, e completata nel 1607 e consacrata, nel 1609, come si legge nel cartiglio dedicatorio dipinto nella controfacciata [fig. 8] di questo scrigno pittorico; al lato figurano rispettivamente i santi Pietro e Paolo.

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La Chiesa, costruita a una sola navata, è suddivisa in tre campate coperte con volte a vela: quella destinata al presbiterio, con sull’altare la grande tela del Poccetti raffigurante San Bruno con santi certosini, 1596 [fig. 9],

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fondatore nel 1084 dell’ordine monastico certosino: Ordo cartusiensis [fig. 10]; su una delle pareti vediamo San Pietro che porge la regola a San Bruno [fig. 11]; la parte centrale più vasta della Chiesa è quella riservata al coro dei monaci, con gli splendidi stalli finemente intagliati dal fiorentino Domenico Atticciati nel 1590; la terza, più piccola con una parete divisoria dipinta con finte prospettive architettoniche, era lo spazio, subito dopo l’ingresso, assegnato ai conversi, che potevano seguire le funzioni religiose attraverso una piccola porta a due battenti in legno, con la metà superiore divisa da sportelli traforati elegantemente, permettendo la visione dello svolgimento della liturgia.

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Tutta la chiesa è decorata, oltre che dal Poccetti, che aveva un ruolo preminente nella progettazione, anche da altri pittori tardo manieristi quali il certosino lucchese Stefano Cassini, Orazio Porta, già allievo del Vasari e Domenico Briglieri (come si legge nella targa marmorea del 1838 nella controfacciata fig. 12), con affreschi su tutte le pareti raffiguranti le storie sacre.

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Esistono ancora tracce dell’assetto originario della Certosa fondata nel 1343 per volere di Bindo Falcone Petroni, signore senese che acquistò i terreni di Pontignano nel 1341 per donarli ad un certosino di Aquitania, tale frate Amerigo, per fondare un monastero da intitolare a San Pietro. Il committente poi: “Con testamento del 1351 e codicillo del 1353, lo stesso Bindo Petroni istituì eredi universali i certosini di Pontignano, nella cui chiesa volle essere tumulato” (in: “Dizionario geografico fisico storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato”, Firenze 1833, p. 674). Difatti il sepolcro di Bindo da Falcone si trova all’ingresso della Chiesa di San Pietro; la lapide tombale è ancora oggi visibile al centro del pavimento dello spazio riservato dei conversi [fig. 13].

Il modulo costruttivo del monastero è quello tradizionale dell’architettura dei certosini, suddiviso in tre parti: l’area destinata ai monaci con le celle disposte attorno al Grande Chiostro [fig. 14], un’altra parte adibita agli alloggi dei conversi; poi lo spazio riservato appunto alla chiesa, al capitolo e al refettorio sito intorno al Chiostro Piccolo, vero e proprio cuore del complesso.

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Nel Refettorio si conserva sulla parete di fondo l’Ultima cena, 1596 [fig. 15], firmata e datata dal Poccetti;

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la celebre scena è impostata con qualche vago riferimento allo scorcio architettonico del Cenacolo  leonardesco; ai due lati dell’affresco, gruppi di monaci certosini assistono quali testimoni in servizio, per evocare il religioso episodio neotestamentario. Nella medesima sala sono sistemati alcuni affreschi superstiti del Poccetti, staccati dal Chiostro Grande e collocati sulle pareti laterali, che raffigurano Storie della Passione di Cristo [fig. 16]. Un altro simile, imponente affresco dell’Ultima cena, Poccetti dipinse per il Refettorio della Certosa di Calci (Pisa) nel 1597c. [fig. 17],

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e, anche qui si vedono ai lati del Cenacolo, due monaci nell’atto di servire la celebre mensa. Ancora va ricordato, per qualità e invenzione, l’affresco Nozze di Cana, 1601 [fig. 18]

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per il Refettorio del convento di Badia a Ripoli a Firenze: a sinistra in basso il Poccetti si raffigura seduto con accanto un gatto [fig. 19], e sigla la sua opera BP. Da notare che anche nel suo autoritratto agli Uffizi, il pittore si rappresenta con un cagnolino in braccio. L’amore per gli animali dell’artista lo si evince ancora dall’affresco della Genesi, più sopra citato. E un cane e un gatto figurano anche nelle sunnominata Ultime cena nel Refettorio di Pontignano.

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La Certosa di Pontignano fra cultura e ospitalità  

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Verso la fine del Settecento i certosini lasciarono il complesso monastico ai frati camaldolesi, che poco tempo dopo furono costretti ad abbandonarlo a seguito delle soppressioni napoleoniche. Successivamente la Certosa passò in mani private, con diversi passaggi di proprietà. Per tutta la storia del grandioso monastero, si rimanda ad un accuratissimo studio di due eruditi, l’avvocato Otello Mancini e Antonio Vanini, professore di Lettere e Preside di Liceo, autori del volume Cartusiae prope Senas, Le certose in terra di Siena* [fig. 20], arricchito da uno splendido apparato fotografico, Betti Editrice 2013; purtroppo il prezioso libro è assolutamente introvabile, persino nelle biblioteche nazionali e in quelle più note di storia della arte, in Palazzo Venezia e alla famosa biblioteca Hertheziana a Roma, dove inutilmente l’ho cercato, al fine di riferire con maggiore precisione le vicende storiche della Certosa di Pontignano in questa nota. Posso comunque ricordare l’importante recupero novecentesco e l’attuale impeccabile funzione che la Certosa di Pontignano [fig. 21] svolge ai nostri giorni.

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Come accennavo più sopra dopo alcuni passaggi di proprietà tra acquirenti privati, nel 1939 la Certosa si costituì in società “Certosa di Pontignano”,  della quale era azionista il professore Mario Bracci (1900- 1959), che provvide al restauro del piccolo chiostro e della porzione destinata a residenza privata, detta appunto Villa Bracci, con lo splendido Giardino all’Italiana [fig. 22]. L’esimio personaggio, giurista, è stato Rettore dell’Università di Siena dal 1944 al 1955; nel 1959 il complesso monumentale fu acquistato dall’Università di Siena che da allora lo ha destinato a residenza universitaria (notizie tratte da: Cartusia Pontiniani, a cura dell’ateneo senese). A sua volta, l’Università senese lo ha affidato dagli ultimi cinque anni in gestione alla famiglia Galardi (Federico Galardi), rendendolo sede di convegni di studio nell’ex Refettorio (oggi Sala Bracci), e luogo per cerimonie di rappresentanza negli altri spazi del convento,  con  particolare cura e riservatezza, non esclusi i soggiorni individuali e famigliari per l’ampia e variegata scelta di ospitalità, di cui  anche il sottoscritto e la sua consorte hanno potuto usufruire con la garbata attenzione e cortesia di tutto il personale addetto all’accoglienza e al servizio**. 

Nota

Con vera sorpresa ho trovato nella Villa Bracci alcuni interessanti affreschi firmati T. Duna, 1941, si veda in particolare  il suggestivo gruppo di monaci certosini in preghiera nella campagna circostante, con  la Certosa di Pontignano sullo sfondo del paesaggio [fig. 23].

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Gli affreschi furono commissionati da Mario Bracci al noto pittore senese Piero Sadun (1919-1974) [fig. 24], di cui quest’anno cade il Centenario della nascita, che Siena celebra con una mostra (11 luglio-8 settembre 2019) nel Palazzo Comunale. Mi è stato riferito dal signor Simone Campanella che l’artista è stato ospite nella Villa Bracci durante gli anni della guerra, insieme ad altri ospiti, lì rifugiati, per sfuggire alle leggi razziali. Il pittore Sadun aveva adottato dal 1940 lo pseudonimo T. Duna, sopra citato, per firmare le sue opere e difendere la sua identità. 

*Desidero ringraziare il signor Giancarlo Stefanini, custode e conservatore della Chiesa di San Pietro e della contigua Parrocchiale, per le cortesi notizie storiche-artistiche relative a questi antichi luoghi di culto, e per avermi consentito di compulsare l’introvabile volume Cartusiae prope Senas, testo indispensabile per avere un’adeguata conoscenza della storia delle antiche certose in terra di Siena.
**Esprimo i miei sentiti ringraziamenti al signor Simone Campanella, addetto alle pubbliche relazioni (Università-Certosa), per la gentile assistenza, le utili informazioni storiche, e pratiche per il soggiorno, e per averci guidato sapientemente attraverso il Complesso Monumentale della Certosa di Pontignano. Segnalo anche il signor Nicola Di Lorenzo, impeccabile Chef del Ristorante “La Certosa” sito ed attivo all’interno degli stessi confortevoli spazi dello storico luogo.