Una lettura dei vangeli: è Giotto l’autentico interprete in pittura dell’evento della Nascita di Gesù

di Rita RANDOLFI

Giotto, angelo del Natale

Giotto natività di gesù 1303-05

Cercando immagini artistiche da stampare per confezionare qualche biglietto d’auguri non dico originale, ma almeno bello e significativo, mi sono resa conto che i dipinti mi sembravano quasi tutti noiosi e ripetitivi. E mi sono chiesta come mai, come mai neanche la Natività palermitana dell’amato Caravaggio mi emozionava più di tanto? Ho cercato di darmi una risposta e l’ho trovata.

Innanzitutto sono partita dalla fonte: il vangelo che racconta della nascita di Gesù.

A parte Giovanni, l’evangelista filosofo, che usa un linguaggio difficilmente traducibile in immagine, e Marco che salta la nascita e inizia il suo testo con il battesimo di Cristo, Matteo (1, 18.23; 2, 1) e Luca (2, 14-20) raccontano l’episodio dell’incarnazione in modo molto differente.

Matteo si sofferma soprattutto sul dramma di Giuseppe, che ama Maria di un amore così vero e così puro, che pur non riuscendo ad accettare il mistero della sua gravidanza, non vuole ripudiarla in pubblico, perché conosce la tradizione ebraica e sa a quale umiliazione avrebbe sottoposto la sua promessa sposa. Giuseppe, tradito nel suo orgoglio, non smette di amare Maria,  e con una delicatezza che profuma d’amore  vero pensa di rompere il fidanzamento in segreto. Un sogno gli rivela l’intervento del Signore, e lui, innamorato,  si fida, si lascia guidare dalla Parola di Dio, e così quando si sveglia, prende in casa sua la fidanzata e «Senza che avessero avuto rapporti matrimoniali. Maria partorì il bambino e Giuseppe gli mise nome Gesù. Gesù nacque a Betlemme, città di Giuda». Finito il racconto.

Matteo è caustico, e ci restituisce la grandezza di due personaggi apparentemente normali, i cui piani ordinari, sposarsi, avere dei figli, vengono letteralmente sconvolti da un qualcosa, anzi da Qualcuno, che ha un disegno più grandioso, più importante. Solo nei versetti successivi l’autore si concentra su Gesù, adorato da sapienti che vengono dal lontano oriente.

Come poteva un pittore rendere tutti i sentimenti, le emozioni, le paure di Giuseppe e Maria come vengono ricostruite da Matteo? Più facile per uno scrittore riuscire a soffermarsi su tutte le sfumature di cui è capace l’animo umano, e infatti, anche se non ho letto nulla a riguardo, questo brano del vangelo mi riporta ai Promessi Sposi, al tumulto di Lucia, che il giorno stesso delle nozze non sa come rivelare a Renzo che conosce il motivo della mancata celebrazione e quel motivo si chiama Don Rodrigo, uno dei primi casi di stalking della letteratura. E anche lei, come Giuseppe, fa di tutto per portare Renzo in disparte. In un’epoca, come la nostra, dove tutto viene spiattellato sui social, e dove si finge di mettere in pratica la legge sulla privacy, Lucia e Giuseppe mi commuovono. Esiste una sfera intima  che va  preservata, e la dolcezza di questi personaggi parla davvero di delicatezza e di rispetto.

Ma torniamo alla nascita. Luca è molto più descrittivo. Innanzitutto colloca l’evento in un momento della storia: imperatore è Cesare Augusto,  ed ordina un censimento, e al governatore della Siria, Quirino, occa farlo rispettare. Nella macrostoria si inserisce la microstoria di Giuseppe, che deve ottemperare ad un obbligo di legge  e quindi, con Maria si mette in viaggio verso Betlemme, sua città d’origine. E qui si scatenano gli imprevisti:  Maria partorisce il suo primo figlio, e la coppia non trova un posto dove alloggiare. Dove si ritrova tutta quest’ansia nei quadri che rappresentano la Natività, dove sta la paura per la salute della madre e del bambino, e la precarietà di non sapere dove poter riposare? I dipinti rappresentano tutti Maria e Giuseppe compiti, con le mani giunte che adorano un bambino, che, poveretto, è lasciato mezzo nudo, di notte su un pagliericcio di fortuna. Possibile che i pittori non abbiano rispettato neanche questa parte del racconto dove si dice che il bambino, avvolto in fasce, viene deposto nella mangiatoia? Da Gentile da Fabriano, a Mantegna, a Botticelli, a Correggio, a Rubens, a Caravaggio, a Gherardo delle Notti, per citare i più famosi, sembrano tutti concentrati sulla luce che viene dal Bambino, luce di grazia divina, sulle espressioni dei pastori, sulla bellezza dei costumi dei Magi, e non discuto sulla scelta di ambientare la scena in una capanna, o dentro la caverna, quello che manca è la resa del dramma di quei due poveri genitori, che oltre tutto vengono anche fatti passare per sconsiderati, quale genitore infatti avrebbe lasciato il proprio figlio nudo e appena nato  morire di freddo?

Ecco cosa mi stonava nei dipinti, la mancanza di realismo. Solo Giotto nell’affresco dedicato a questo tema nella  cappella degli Scrovegni a Padova pare voler raccontare almeno un po’ di quella verità, ispirandosi al vangelo di Luca. In un paesaggio aspro di montagna, sotto una tettoia  di una capanna stilizzata, Maria, esausta dopo il parto, restando sdraiata per la fatica, cerca di sistemare Gesù nella mangiatoia, dopo averlo avvolto in fasce, con l’aiuto di una donna, forse una levatrice, citata unicamente  nel protovangelo di Giacomo. Giuseppe è sopraffatto dalla stanchezza e si addormenta, stremato, ai piedi della mangiatoia.

L’evento che sembra coinvolgere soltanto quei due genitori disperati e distrutti da una serie di contrattempi che avrebbero messo a dura prova la pazienza di chiunque, si interseca con un’altra micro-storia raccontata da Luca, quella dei pastori, costretti a trascorrere la notte all’addiaccio  per tenere sotto controllo il gregge, ed evitare così  spiacevoli sorprese. E il loro dormi-veglia viene interrotto dagli angeli, che glorificano Dio in cielo, e annunciano  pace per gli uomini di tutta la terra.

Pace, questa forse è la parola chiave per comprendere la quiete che i pittori hanno voluto riproporre nei loro quadri. Anche nell’affresco di Giotto si respira quest’atmosfera di pace, ma l’artista fornisce anche gli elementi essenziali per capire questa pace, e nuovamente questi particolari sono gli stessi che si rintracciano nel vangelo di Luca. In fondo i pittori ed anche noi, con il presepio,  non facciamo altro che ricordare un fatto già accaduto.

Ma perché questa nascita è così speciale?

Perché quel bambino continua a nascere per noi e continua a donare una vita che non muore mai. Luca usa delle parole strane o quanto meno non attinenti alla sfera semantica della nascita, come ‘deporre’; un bambino si adagia nella culla, non si depone, come si fa  con una salma. Avvolgere in fasce era un’usanza che gli ebrei utilizzavano per i defunti. Giotto “impacchetta” quel bambino come se fosse una mummia egiziana, piuttosto che un  “esserino” bisognoso di muoversi liberamente nello spazio. E infine dove viene messo il piccolo Gesù?  In una mangiatoia, nel luogo cioè dove gli animali mangiano. Nella Nascita ci sono dunque i segni della morte, le bende, la deposizione, ma c’è di più, c’è un cibo buono, che non deperisce: quel bambino nasce per risorgere, sconfiggere la morte e continuare ad essere mangiato. Quel bambino sceglierà di diventare pane, un alimento per tutti, e  attraverso l’Eucarestia, nutre tutti, sfama chiunque, dona la vita eterna. Ecco il messaggio del Natale e di Giotto. La nostra notte, come quella dei pastori, può essere squarciata da quella nascita. Come fare? Come quei due genitori, che invece di innervosirsi, insultarsi, come forse avrebbe fatto una qualsiasi coppia di oggi, si sostengono a vicenda e si fidano di Dio, come i pastori che corrono verso la vita, perché credono in quella Parola annunciata. E dunque Giotto, con un linguaggio semplice, ma efficace, non nasconde la verità, non nasconde le prove, il buio dell’esistenza umana, ma afferma con altrettanta chiarezza che quel Dio che si è fatto carne, che è diventato un neonato bisognoso di tutto, si fida degli uomini, si consegna agli uomini imperfetti e attraverso la Parola e l’Eucarestia continua donare vita e significato alla vita. E continua a dire che ciascuno di noi può essere un angelo per un qualcun altro. E tutto questo reca come conseguenza inevitabile la pace, quella pace interiore di cui parlava anche Sant’Agostino quando scriveva nelle confessioni «Il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te».

Giotto rende tutto questo con un’immediatezza ed una purezza di linguaggio disarmante.

Gli altri artisti, seppur bravissimi, si concentrano sulla pace, ma danno l’idea di una scenetta idilliaca, come quella dei presepi nelle nostre case, dove i personaggi sembrano recitare una parte loro assegnata da tempo, svuotando di significato il Natale e costruendo una composizione che sa più di un’esercitazione di stile. In Giotto si respira, come si diceva all’inizio, quel profumo d’amore che Luca racconta con la stessa essenzialità, una semplicità che parla di verità, parla di Dio.  Buon Natale.

Rita RANDOLFI    25 dicembre 2018