Un inno a Veroli e non solo: eRETIca di Massimo Terzini alla Galleria Crystal di Veroli.

di Rita RANDOLFI

Si  è inaugurata lo scorso 22 ottobre presso la galleria Crystal di via Casalunga 2 a Veroli la mostra eRETIca di Massimo Terzini,  che ancora una volta stupisce ed incanta il pubblico di visitatori con le sue creazioni artistiche realizzate in rete metallica, come la suggestiva santa Sàlome conservata nell’omonima chiesa verolana[1].

Le severe architetture medievali della cittadina ciociara, con le sue caratteristiche chiese  sono le  protagoniste assolute di questa esposizione. Il campanile di Sant’Erasmo è evocato attraverso un doppio sistema di rappresentazione: la struttura vera e propria, sospesa nell’aria, con la parte superiore realizzata in modo particolareggiato e la base fluttuante come un fantasma,  è contenuta all’interno di un involucro metallico, creando quasi l’effetto di una oleografia, che instaura un dialogo silenzioso con l’osservatore, fornendogli l’impressione di compiere un magico tuffo nel passato.

Ma anche i “plastici” o i quadri con gli scorci tipici contribuiscono a fare un salto all’indietro nel tempo, un tempo che pare di poter rivivere passeggiando tra i vicoli della cittadina.

Il vernissage ha anche rappresentato l’occasione per intervistare l’autore delle opere, che nasce come architetto, ma che si è dedicato con successo anche a  molte altre tecniche come  l’acquarello, il  pastello ad olio e acrilico su collage di grande formato, su base di legno,  ed infine alla rete metallica.

Il titolo di questa mostra eRetica evoca sicuramente il mezzo con cui realizzi le tue opere, ma ha anche a che fare con i soggetti da te rappresentati?

R: l titolo della mostra non ha niente a che fare con l’eresia nella sua accezione più propria, se non per la piccola quota di eversione cui si sottintende rispetto ai miei consueti linguaggi espressivi che sono il pastello ad olio, la matita, l’acquerello. Mi piaceva tuttavia che il titolo, oltre a contenere la parola RETI, che allude esplicitamente alla tecnica ed al materiale usato, provocasse in maniera ironica la curiosità del pubblico.

-Quando hai capito che la rete metallica poteva essere un mezzo di espressione artistica?

R: La tecnica usata non è così originale come si potrebbe pensare: nel mondo ci sono centinaia di artisti che usano questo mezzo espressivo per realizzare opere di varia natura, dagli animali alle architetture, dai componenti di arredo alle istallazioni all’aperto. Se devo far risalire il mio personale interesse ad un momento preciso, lo devo riferire ad una circostanza non meglio definita di qualche estate fa, quando, avendo tra le mani un rotolo di rete metallica a maglia molto stretta, che poi è diventata quella che con la quale preferisco esprimermi, ho constatato quanto fosse duttile e capace di assumere le forme più varie.

Il primo soggetto sul quale mi è venuto voglia di sperimentare le potenzialità di questa mia “scoperta” è stata la pala d’altare del Cavalier d’Arpino raffigurante Santa Sàlome collocata in fondo alla navata centrale della Basilica, qui a Veroli. Provare a dare corpo a quel dipinto mi è sembrato un esercizio utile per verificare tutte le possibilità di questa tecnica ed allo stesso tempo le mie capacità di avvalermene.

 -In che modo lavori la rete?

R: Come per ogni tecnica, i lavori realizzati con questo materiale così particolare, hanno a disposizione una serie di attrezzi ed utensili che vanno dalle pinzette alle cesoie, dalle morse alle piegatrici. All’inizio avevo provato a proteggere le dita utilizzando, durante il lavoro, guanti da giardiniere, che sono i più sottili, per evitare che le sfrangiature della rete metallica producessero graffi o piccole ferite, ma presto ho preferito manipolare i fogli a mani nude per non perdere la sensibilità che solo un contatto diretto col materiale può garantire.

-Nelle tue opere torna sempre Veroli, che cosa rappresenta per te questa cittadina?  Quali sono gli scorci che ami di più? Sei più legato all’architettura medievale o alla Veroli dei marchesi del 1800?

R: Veroli torna costantemente nei lavori che faccio, anzi, potrei dire che considero la mia città il “luogo” privilegiato della mia ispirazione. Che si tratti di acquerelli o di sculture in rete metallica, la passione con la quale mi avvicino ad essa resta inalterato. Questo è motivato dal fatto che il mio amore per questa città non deriva dalla presenza di particolari eccellenze architettoniche, benché ve ne siano di notevoli (una fra tutte la Basilica di Sant’Erasmo, che personalmente considero una tra le chiese più belle della Regione), ma da una qualità diffusa dell’ambiente urbano nella sua totalità. Per questo non ritengo di poter stilare classifiche tra le epoche storiche che a Veroli hanno lasciato testimonianza dell’operosità, della capacità costruttiva, della sensibilità di coloro che ce l’hanno “apparecchiata” così come la vediamo oggi. Veroli, come quasi tutte le belle città italiane, è una summa di stratificazioni successive che abbracciano l’arco temporale di quasi 3000 anni. Le mura megalitiche o una chiesa del ‘700 per me hanno lo stesso potere seduttivo; l’unico sforzo che io mi diverto a compiere è quello di provare ad interpretarle ogni volta in maniera diversa.

-Oltre agli scorci di Veroli, hai eseguito un cane, le gambe di una ballerina, cosa ti ispira, come scegli i tuoi soggetti?

R: La tecnica della rete metallica è molto versatile e di per sé non pone vincoli per quanto riguarda i soggetti da riprodurre. Così come quando dipingo un quadro non mi creo pregiudizi circa il tema da interpretare, così avviene per la rete metallica. Che poi la mia passione per l’architettura orienti la scelta verso ambiti più attinenti al mondo degli edifici, piuttosto che a quelli del mondo animale o naturale, diventa quasi fatale. Le forme organiche del corpo umano contengono tuttavia anch’esse un fascino innato, che talvolta può addirittura essere esaltato dall’utilizzo della rete. In conclusione ritengo di poter affermare che, sia che si tratti di riprodurre forme della natura, sia che si tratti di parti di città, la principale suggestione derivante da questo particolare “medium espressivo” è la leggerezza e la trasparenza che l’opera comunica, pur riuscendo a conservare la corposità e la consistenza visiva di un oggetto tridimensionale.

Ci sono opere tridimensionali, sculture a tutto tondo, ma mi colpiscono quelle realizzate dentro la cornice di un quadro; quanto impieghi per realizzare un “dipinto” di questo genere?

R: Le opere racchiuse dentro una cornice sono assimilabili a bassorilievi, più che a sculture vere e proprie. La difficoltà, in questo tipo di oggetto, sta nel dover riuscire a rendere la profondità e dunque la tridimensionalità del soggetto, restando all’interno di uno spessore assai contenuto. Per questo tipo di opere gran parte della difficoltà sta nello scegliere fin dall’inizio l’inquadratura giusta, quella che ti permette di raccontare la scena dando l’illusione di poterci girare intorno. Un problema che, al di là della maggiore complessità della lavorazione, un’opera a tutto tondo non dà.

In media ed in riferimento alla dimensione delle opere esposte in questa mostra, il tempo di realizzazione varia dai cinque ai 10 giorni. Il fatto che tu li definisca “dipinti” non è del tutto improprio, perché la fase finale di ciascuna opera consiste nel passare qualche mano di pittura spray (prevalentemente bianca), nelle zone che ritengo debbano assumere un particolare accento: la sommità di un campanile, la parte centrale di un soggetto… cosicché, al tono neutro della maglia di metallo, si aggiunge un tono di contrasto che ne esalta il volume.

Che sensazione ti trasmettono le persone che vengono alle tue esposizioni?

R: Preparare una mostra è un po’ come preparare un pezzo teatrale (non è un caso che in inglese esposizione si dica “exhibition”). Non ho mai condiviso il concetto un po’ snobistico di chi dice di produrre arte per se stesso. L’arte è innanzi tutto una forma di comunicazione e la comunicazione ha necessariamente bisogno di interlocutori, di qualcuno che ascolti quello che hai da dire. Un pubblico al quale raccontare con parole possibilmente originali, un aspetto della realtà vista da un altro punto di vista; un punto di vista tuo personale, eccentrico, non banale.

Mi piace molto verificare il grado di efficacia della mia comunicazione attraverso la reazione delle persone che vengono a vedere le cose che faccio. Le considero il mio pubblico, la platea davanti alla quale mi esibisco, gli interlocutori con i quali dialogare. Assistere alle loro reazioni mi aiuta a capire meglio quello che sto facendo, ad arrivare più in profondità rispetto al livello al quale mi sono fermato io. Le opere in sé non avrebbero valore se addosso ad esse non si imbastissero parole, opinioni, discussioni. In un certo senso le parole che si dicono attorno ad un’opera sono più importanti dell’opera stessa.

La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 6 novembre, ma le opere di Terzini sono visibili all’interno della casa/studio dell’artista in Corso della Repubblica, n° 26, a Veroli.

Rita RANDOLFI  Roma  6 Novembre 2022

NOTE

[1] R. Randolfi, Una imponente installazione di Massimo Terzini nella chiesa di s. Maria Sàlome a Veroli rilancia il rapporto religione e arte contemporanea, https://www.aboutartonline.com/una-imponente-installazione-di-massimo-terzini-nella-chiesa-di-s-maria-salome-a-veroli-rilancia-il-rapporto-religione-e-arte-contemporanea/  Roma 10 ottobre 2021.