Un capolavoro di Jacopo Bassano finisce all’estero: quando non viene garantita la tutela dei beni culturali

di Lorenzo BARBATO

Lorenzo Barbato (Pontedera, 1974) è uno storico dell’arte indipendente che vive e lavora in Toscana. Ha frequentato il Dams di Bologna, dove è stato allievo di Renato Barilli, Mauro Lucco, Marinella Pigozzi e Massimo Ferretti. Ha studiato a lungo pittura e storia dell’arte in particolare del Cinque e  Seicento, divenendo tra l’altro esperto di storia del collezionismo. In questo articolo, con cui inzia la sua collaborazione con About Art, tocca un tasto molto delicato che concerne l’esportazione di opere d’arte e il ruolo delle soprintendenze nella tutela di beni ritenuti di particolare rilievo artistico, com’è il caso del dipinto di Jacopo Bassano oggi a Malibù; come sempre About Art, pubblicando questo importante contributo, è aperta ad accogliere altri eventuali interventi.

La recente acquisizione da parte del Getty Museum di Malibù di un fondamentale capolavoro di Jacopo Bassano ( Bassano del Grappa, 1515 – 1592)  un dipinto rappresentate il raro tema de Il miracolo delle quaglie (fig. 1) ha attratto la mia attenzione sul fatto che l’opera risultava conservata in una raccolta fiorentina fino a tempi recenti.

Fig. 1. Jacopo Bassano, Il miracolo delle quaglie, 1554, olio su tela 150 x 235 , Malibù, Paul Getty Museum

La pubblicazione della scheda del museo con riportata la relativa provenienza confermava questo passaggio, destandomi non poco sconcerto. Com’è stato possibile che gli enti predisposti alla tutela del patrimonio artistico non siano intervenuti a impedire l’esportazione di un’opera di tale rilievo?

Per entrare nei dettagli della vicenda è necessaria una premessa che introduca alle procedure legislative in fatto di esportazione dei beni culturali. In Italia il possesso di beni culturali immobili e mobili può essere passibile di restrizioni o vincoli: nel caso specifico di un dipinto, esso può essere sottoposto al vincolo conosciuto come “notifica”, un atto che viene emanato in caso di “beni di particolare o eccezionale interesse culturale e storico” e che prevede, fra le altre cose, l’impossibilità di fuoriuscire dai confini nazionali se non per brevi periodi definiti e accordati (come in occasione di una esposizione).

La tela di Jacopo Bassano aveva numerosi elementi per essere definita “di eccezionale interesse“. Da quando venne pubblicata da Roberto Longhi nel 1948, l’opera ha sempre raccolto giudizi encomiastici da parte della critica specializzata. William R. Rearick, autore di un fondamentale saggio sul pittore nel catalogo della mostra tenutasi nel 1992 a Bassano del Grappa e Fort Worth, la segnalava come un punto di svolta nel percorso dell’artista veneto per via dell’utilizzo della pennellata fluida, per lo sperimentalismo dei passaggi chiaroscurali e la straordinaria gamma cromatica caratterizzata da “una fresca armonia di rosa floreale, verde pallido, bruno cioccolata e bianco lucente”.

Tramite il Libro dei conti della famiglia Bassano, ritrovato negli ultimi decenni, è possibile risalire al committente dell’opera, il nobile veneziano Domenico Priuli, e alla data d’esecuzione, il 1554.
Si tratta di un testo pittorico di capitale importanza sia sul piano artistico che storico; la sua relativa fortuna presso un pubblico più vasto è dovuta alle sue vicende esterne. Del dipinto infatti conosciamo i passaggi di proprietà solo a partire dal secolo scorso, da quando esso si trovava presso la collezione del conte Luigi Mappelli Mozzi di Bergamo, il quale nel 1948 lo vendette all’antiquario-collezionista Vittorio Frascione per poi passare dopo la sua morte, nel 2006, ai suoi eredi. Questi, dopo avere richiesto ed ottenuto la licenza di esportazione, hanno affidato l’opera nel 2021 alla OMP Fine Arts di New-York, una società privata che ha mediato la vendita con il Getty Museum per interessamento di Davide Gasparotto, curatore del dipartimento di pittura del museo statunitense. Il fatto che l’opera sia stata per decenni invisibile a pubblico e studiosi, non sia mai stata esposta e fosse conosciuta solo tramite fotografie ne ha limitato la notorietà.

Che il dipinto e la sua importanza fossero noti ai funzionari della soprintendenza fiorentina è facile da dimostrare: quando gli eredi dell’antiquario Stefano Bardini resero disponibile allo Stato italiano una cifra particolarmente consistente, nel 1996, fu radunato un team di esperti affinché venissero esaminate e selezionate opere di eccezionale importanza entro una rosa di proposte. Fu allora presentato anche il dipinto di Bassano e seppure la scelta non cadde su di esso (furono acquistate due tavole di Antonello da Messina e Palazzo Martelli con le sue raccolte), gli esperti decretarono:

“Anche il maestoso Miracolo delle quaglie […] venne considerato con vivo interesse per la qualità rimarchevole della composizione e della stesura pittorica”.

Come spiegare allora che per un’opera d’arte che ha sempre goduto di alta considerazione da parte della critica specialistica, valutata “con vivo interesse” anche da funzionari del ministero che operavano nella stessa città ove era conservata, non sia stata avanzata alcuna forma di vincolo? E ancora, perché lo Stato pur essendo a conoscenza della disponibilità mercantile del dipinto in quasi trent’anni non ha mai operato per formalizzare un acquisto?

Per valutare appieno il danno inflitto al nostro patrimonio da questa perdita occorre considerare la distribuzione della produzione pittorica di Jacopo Bassano e mettere in luce che a Venezia si conserva un numero assai esiguo di opere dell’artista e nessuna di questo livello. Il quadro sarebbe stato un acquisto fondamentale per completare il percorso della pittura veneta offerto dalle Gallerie dell’Accademia. Non solo. La tela spicca per essere la più importante fra quelle di proprietà privata in Italia, collezioni patrizie comprese, e una fra le maggiori in assoluto del pittore veneto. E quale sia la considerazione del mercato dell’artista, volendo porre la questione alla luce di una valutazione puramente venale, lo prova il fatto che un’Adorazione dei pastori (fig. 2) databile al 1563, di splendida fattura ma di minore importanza nella carriera dell’artista rispetto al dipinto ora al Getty,  ha realizzato da Christie’s nel 2014 ben 9 milioni di dollari.

Jacopo Bassano, Adorazione dei pastori, 1562 – 63, olio su tela, cm 72 x 112, collezione privata (courtesy Christie’s)

Sono queste le ragioni che rendono inspiegabile e inaccettabile la decisione della commissione che ha valutato questo dipinto.

Definiamo ancora dei punti importanti.

Nessuno è contrario alla pratica del mercato antiquario o vuole attaccare il diritto della proprietà privata: gli eredi Frascione avevano piena facoltà di vendere il loro bene e cercare le migliori condizioni possibili, secondo le norme vigenti. Viceversa, il compito delle autorità in merito alla tutela dei beni culturali sarebbe stato quello di riconoscere l’eccezionale valore storico-artistico dell’oggetto e quindi di negarne la licenza di esportazione.

Tenendo atto quindi della piena consapevolezza del valore dell’opera da parte dei funzionari della soprintendenza e dei mezzi messi a loro disposizione dall’apparato normativo, la vicenda assume maggiormente i toni di uno scandalo, prima ancora che di grave negligenza. Un episodio di una simile gravità non si verificava forse da quando fu concessa l’esportazione della Danae di Orazio Gentileschi, circa 40 anni fa: un dipinto capitale della pittura barocca europea che lasciò Genova per New-York, per approdare anch’esso al Getty Museum, che l’acquistò all’iperbolica cifra di 30 milioni di dollari.

Orazio Gentileschi, Danae, 1623, olio su tela, cm. 161,3 x 236, 7, Getty Museum

Sarebbe quindi auspicabile che il Ministero dei Beni Culturali prenda le decisione di aprire un’inchiesta interna: senza purtroppo potersi adoperare in alcun modo per il recupero del bene, com’è accaduto altre volte in passato in concomitanza di simili “sviste” da parte dell’Ufficio Esportazione, in quanto è già scattata la prescrizione per decorso dei termini (il certificato è stato rilasciato quattro anni fa). E sarebbe forse opportuno optare per una maggiore trasparenza di queste operazioni: personalmente, la notizia del rilascio della licenza di esportazione mi è arrivata in via informale, in quanto un privato cittadino non può accedere agli atti in tempo reale, sebbene prodotti da un pubblico ufficio. Aprire quindi un’inchiesta e ponderare le ragioni di una simile scelta, che continuano ad apparire gravi, incomprensibili ed impossibili da giustificare. E, qualora sia previsto, anche applicare provvedimenti ed eventuali sanzioni.

Si tratta infatti di un vero e proprio fallimento del sistema di tutela dei beni culturali e a rendere ancora più grottesca la vicenda è stata l’istituzione nel 2016 del cosiddetto Servizio IV-circolazione, un ente che dovrebbe supervisionare gli Uffici Esportazione sparsi sul territorio nazionale “finalizzato a preservare l’integrità del patrimonio culturale nazionale in tutte le sue componenti“, come recita la pagina ufficiale del Ministero. In pratica una rete di controlli incrociati, in modo da sbarrare la strada alla discrezionalità decisionale di una singola soprintendenza e sulla carta evitare quello che invece è accaduto.

Sono troppi gli aspetti di questa vicenda che appaiono fumosi: un capolavoro assoluto di portata museale, fra i pochi di questo genere rimasti in mani private nel nostro Paese, fuoriesce in sordina con l’avallo di una delle maggiori soprintendenze dello Stato ed eludendo i cento occhi dell’Argo del Servizio VI, approda in uno dei maggiori musei del mondo. Si tratta di un episodio che fa venir meno la fiducia nelle istituzioni e ancor più nei suoi rappresentanti.

Si sottopone la questione all’attenzione dell’opinione pubblica, nella speranza che il Ministro e il Ministero rispondano di questo sconcertante depauperamento del nostro patrimonio condotto sotto l’egida di chi invece dovrebbe garantirne la tutela.

Lorenzo BARBATO  Roma  21 novembre 2021