Tre capolavori a confronto: gli arazzi ricamati dei Branciforti. Considerazioni tecnico-stilistiche.

di Elvira D’AMICO

La recente mostra sugli arazzi ricamati siciliani, a cura di Maurizio Vitella, promossa dalla Fondazione Sicilia e tenutasi a villa Zito a Palermo tra la fine del 2024 e gli inizi del 2025, ha reso noti, tra gli altri, alcuni capolavori finora sconosciuti dell’arte ricamatoria siciliana (1). Si tratta di due paramenti murari costituiti dall’assemblaggio di falde verticali ricamate, provenienti da palazzo Mazzarino, antica residenza della famiglia Branciforti, e recuperati sul mercato antiquario già negli anni ‘60 dagli attuali proprietari che solo ora hanno deciso di renderli fruibili a un vasto pubblico (Fig.1).

Fig.1- Ricamatore siciliano, parato ricamato, III decennio sec.XVII, Collez. privata, Palermo

A tale coppia di manufatti  si può ricongiungere ora l’altro parato dei Branciforti, proveniente dallo stesso palazzo Mazzarino, acquistato dall’ARS pure negli anni 1960 e già più volte reso noto(1) (Fig.2).

Fig.2-Andrea Bolognese?, parato ricamato, III decennio sec.XVII, Palazzo dei normanni,Palermo

Non par dubbio che le tre opere oggi idealmente riunite, nascano dal medesimo contesto culturale, sebbene le prime due siano da considerare quasi gemelle, avendo le medesime raffigurazioni simboliche e iconografiche, mentre la terza differisce negli elementi figurativi, ma non nella struttura compositiva e manifatturiera, attestando dunque un’unica matrice culturale e ideativa dei manufatti. Le tre opere infatti sembrano riferibili, pur con le debite discrepanze, a quelle citate nel  contratto di obbligazione (2), stipulato da donna Giovanna Flavia Branciforti col pittore e architetto palermitano Gerardo Astorino, in data 22 febbraio 1627, che si impegnava a dipingere sopra raso bianco

“Sessanta historiae quarantotto hercoli con soi tabelli dodici aquile con soi tabbelli ventiquattro Ninphe ventiquattro draghi  dodici fontane novantasei testi di animali et novantasei basilischi”

secondo il parere dell’erudito palermitano don Onofrio Paruta e consegnarle entro il mese di luglio seguente (2).

Le variazioni in corso d’opera peraltro  erano previste da una clausola del contratto alla quale gli artefici dovettero ricorrere sin da subito,che recitava:

“Item caso che detta illustre donna Giovanna non volesse depinte alcune cose  delle sopra nominate ma quelli li volesse fare di altro modo nel proprio ingasto in tal caso detto Gerardo  sia obligato sicome si obliga a detta…farli di quel modo conforme  a detto Gerardo li sarra ordinato di patto”.

Ora è come se le raffigurazioni iconografiche dettate dal Paruta siano state selezionate, modificate e come ‘spalmate’ sui tre manufatti arrivati fino a noi (finora conosciuti): nella coppia che per brevitĂ  chiameremo ‘mazzarino’, vi compaiono dal basso le “testi d’animali”, ossia l’elefante turrito –liotru– antico simbolo Regno di Sicilia,qui in versione eburnea, probabilmente ispirata alla coeva produzione indiana (Fig.3), le “ninfe”alate (Fig.4), sorreggenti un vaso di tulipani;

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quindi salendo ancora, affiancate da cerve, le “historie” tratte dalle “Metamorfosi” di Ovidio (Fig.5), ricavate pedissequamente da incisioni di Antonio Tempesta, rappresentanti esempi di virtĂš familiari e domestiche ed esaltazione di virtĂš matrimoniali, come ben analizzato in catalogo(4);

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ancora più in alto troviamo,invece dei “basilischi”o degli “herculi”, una coppia di centauri(Fig.6), figure mitologiche negative e malefiche,come dovevano essere i primi, ma forse di più facile fruizione rispetto a quelli, mostri ibridi con testa di gallo, corpo di drago e coda di serpente, introdotti peraltro da una tabella con una scimmia mangiatrice di frutti (Fig.7), animale considerato parimenti negativo e portatore di bassi istinti come i centauri (5), i quali affiancano un cerbiatto e sorreggono nella parte superiore una zolla di terra coltivata popolata di animaletti boschivi e la corolla di un albero;

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infine sulla sommità della falda, invece delle “aquile” del contratto, campeggia il pellicano (Fig.8), simbolo cristologico per eccellenza nell’iconografia cristiana.

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Sembra dunque che nelle fasi realizzative l’opera subisse un cambiamento iconografico ma non concettuale, virante verso la celebrazione  dei valori e virtù cristiani e morali che vincono sugli istinti animaleschi e malvagi  e persino quasi una volontà di  considerazione/affermazione della condizione femminile ante litteram, come è stato osservato(6).

Nell’altro arazzo che chiameremo per brevità ‘di palazzo dei normanni’(Fig.9), troviamo  poi altri elementi elencati nel contratto di allogazione iniziale:

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dal basso,di nuovo  le “testi d’animali”,questa volta i leoni affrontati con zampe mozze e vessillo con gigli, stemma araldico dei Branciforti (Fig.10),

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sovrastati da un mascherone dalla cui testa fuoriescono foglie lanceolate –un fauno, dio dei boschi?- (Fig.11),

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introdotto da ogive con pavoni ed oche, un vaso di garofani, le “fontane” coi leoni che vi zampillano l’acqua dalla bocca (Fig.12), i “draghi” entro una tabella ogivale (Fig.13),

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quindi sulla sommitĂ  un vaso baccellato con rose (Fig.14), tutti elementi dalla forte connotazione simbolica(7).

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In questo terzo arazzo però sembra che il significato delle figurazioni cambi essendo convogliato a rappresentare altri valori: la esaltazione e celebrazione del casato dei Branciforti, attraverso le virtÚ rappresentative della antica famiglia siciliana(8).

Pure un cambiamento stilistico è avvertibile negli arazzi: i primi due, eseguiti su tabi doro beige, di gusto prettamente pittorico con abbondanza di riempitivi naturalistici che aggrediscono tutta la superficie sottostante,ad opera sembrerebbe di un piacevole pittore addentro alla pittura di nature morte; il terzo arazzo, in raso bianco, dal vigoroso disegno plastico, ad opera di un artista avvezzo al disegno di sculture-architetture e probabilmente di marmi mischi. Ora per la coppia di arazzi mazzarino non vi è motivo per non tenere conto del nome del pittore citato nel documento di allogazione, Gerardo Astorino, autore di pale sacre, tra tardo manierismo e novellismo, che si contano letteralmente sulle dita di una mano(9), di cui qui scopriremmo per la prima volta le doti di fine ornamentista, doti che nella Palermo dell’epoca ritroviamo in un altro pittore, il termitano Vincenzo La Barbera, che proprio negli arazzi ricamati eseguiti per il duca di Caccamo oggi al Museo civico di Termini Imerese, rivela appieno le sue doti di fine pittore decorativo, in contrapposizione a quelle di mediocre figurista, traduttore di stilemi tardo manieristici toscani in modo un po’ pesante e provinciale(10). Potè essere questo pure il caso dell’Astorino che rivelerebbe anch’egli una discrepanza tra la pittura delle storiette, un po’ piatta e sommaria, che ricordano le figurine in secondo piano di alcuni dei suoi dipinti (Fig.15),la delineazione delle ninfe tozze e dei centauri traballanti e clawneschi, e il fine fondo boschivo popolato di animaletti selvatici, uccelli esotici, piante, fiori variopinti e frutti, di gusto fiammingheggiante?

Fig.15. Gerardo Astorino, Martirio di S.Eulalia, 1636, Museo diocesano, Palermo

Tale fondo naturalistico peraltro (Fig.16) sembra rivelare una buona conoscenza dell’arazzeria fiamminga  del ‘400 (Fig.17 Arazzo della serie la Dama e il liocorno, arazzeria fiamminga, fine sec.XV),

forse desunta da incisioni ma anche dai libretti di modelli ad uso dei ricamatori, diffusi a partire dalla fine del ‘500 (Fig.18), ciò che aprirebbe la via anche all’ipotesi di un intervento diretto del ricamatore nella loro realizzazione.

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Sappiamo del resto che nelle arazzerie fiamminghe all’arazziere era lasciata piena libertà di eseguire gli sfondi boscherecci che venivano ripetuti ad libitum anche per i manufatti successivi, indipendentemente dalle direttive dei cartonisti autori delle parti figurate(11). Allora una domanda è lecito porsi: è possibile che anche nel nostro caso, per una simile grande impresa, i magnifici fondi boschivi siano dovuti ai ricamatori presenti in Sicilia, tra i quali non mancavano gli stranieri, spagnoli e fiamminghi in primis?

Una stima dei manufatti avvenuta dopo un anno e otto mesi dall’allogazione, fotografa una situazione emblematica, attestandoci la effettiva esecuzione di alcuni dei manufatti, su almeno tre diversi tipi di supporto(12). E’ un vero e proprio stato di avanzamento dei lavori, relativo alla partita di arazzi con storiette mitologiche, realizzati dunque essendo viva ancora la committente donna Giovanna, anche se già malata, come si deduce dal fatto che tale stima sia promossa dal fratello Nicolò Placido e dal secondo marito di lei Francesco Ventimiglia, evidentemente parti avverse che si presentano con due diversi periti estimatori(13)(v.oltre).

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Di poco successivo a questi dovette essere l’arazzo ricamato di palazzo dei normanni, denominato di recente “l’arazzo d’oro dei Branciforti” in un corposo e fondamentale volume, a cura di Piera Maria Carbone, già esaurito (di cui si auspica quanto prima una opportuna ristampa)(14). In esso le figurazioni simboliche e naturalistiche sembrano desunte, invece che dall’arte fiamminga, dalla pittura o dall’arazzeria italiana del ‘500 e appaiono come imbrigliate entro un disegno incisivo ed essenziale (Fig.19), di una plasticità  ed eleganza formale ignota ai primi due, tanto da aver fatto supporre a Vincenzo Abbate una sua manifattura romana, presso una bottega altamente organizzata di ricamatori e una sua identificazione con quegli “octo pezzi grandi di panno di razza lavorati novi” acquistati da un altro membro della famiglia, il vescovo Ottavio Branciforti, nella capitale(12).

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Ma l’opera era stata giĂ  attenzionata da Giuseppe Cantelli nel 1999 come tipica siciliana, rappresentativa di quella decorazione naturalistica e floreale, comune pure ai marmi mischi isolani, che lo studioso metteva in relazione con la corte toscana del tempo(13). Ora il ritrovamento della coppia di arazzi mazzarino di cui sopra taglia la testa al toro riguardo alla fattura siciliana delle tre opere, tutte simili fra loro e come detto sopra, scaturenti da un’unica mente ideativa,anche se probabilmente non esecutiva.

Ma chi può essere allora l’autore di quest’ultimo “arazzo d’oro dei Branciforti”? Esso a mio avviso, morta Giovanna Flavia appena trentatreenne nel novembre del 1629, potè essere commissionato dal fratello e tutore dei suoi figli,il già menzionato Nicolò Branciforti, figura di spicco nella Palermo del tempo, pretore della città, fine intenditore d’arte, mecenate e promotore del programma di celebrazione della sua famiglia(14). Non è escluso che egli volesse continuare l’opera certosina iniziata dalla sorella, ma secondo la sua concezione e intendimento, con la precisa volontà di celebrare la grandezza del casato, a imperitura memoria, pur in una materia duttile e deperibile –ma non ‘femminina’ come sarebbe stata ritenuta in seguito- come quella del ricamo, che rispettasse però le originarie direttive del contratto.

Fig.20.Mariano Smiriglio, Madonna degli angeli (part.),1604, Chiesa madre di Salemi

Il suddetto pretore Branciforti si era da poco rivolto, tra gli altri artisti che ruotavano nella sua cerchia, a un rinomato pittore-architetto palermitano, Mariano Smiriglio, per la riedificazione della facciata del suo palazzo al Pilerj, che doveva recare i rilievi dei due leoni rampanti, distintivo araldico della famiglia, di cui esistono i provvidenziali disegni, rinvenuti anni fa da Vincenzo Abbate (15).

Lo Smiriglio, artista di passaggio tra il tardo manierismo e il primo barocco isolano, dotato di una essenzialità disegnativa mista a eleganza formale visibile sia nei suoi dipinti (Fig.20) che nelle sue opere scultoree, annovera nel suo repertorio proprio gli elementi iconografici richiesti nel contratto di allogazione degli arazzi quali, oltre ai leoni, le fontane (Fig.21) e i draghi, addirittura assemblati nella sua opera più nota, detta appunto la “fontana dei due draghi”(Fig.22), ancora esistente,

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caratterizzata da una notevole plasticità e chiaroscuro nelle figure degli animali mitologici che alimentano la vasca circolare con acqua zampillante dalle fauci(16). Pure la raffigurazione del mascherone schiacciato e bonario (Fig.23) si ritrova in un altro dei rari disegni dell’artista, reso noto anni fa dalla Ruggieri Tricoli(17), mentre i leoni affrontati perdono il naturalismo dei suoi disegni per assurgere a iconico  simbolo araldico (Fig.24).

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Tutti elementi dunque consueti al repertorio dell’artista – leoni, fontana, drago, mascherone- e ben visibili pure nell’ “arazzo d’oro dei Branciforti”, sapientemente collocati entro una struttura verticale di base di una plasticità martellante, a volute ricurve e ricci fogliacei, molto simili a quelli che si ritrovano in alcune lesene a marmi mischi disegnate dallo stesso architetto(18), poi riempite da raffinati elementi vegetali ed animali(Fig.25), probabilmente col preciso intento di uniformarsi allo stile dei primi manufatti e continuarne la serie.

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La coppia di manufatti mazzarino nel catalogo della mostra è ritenuta di Andrea Bolognese, rinomato ricamatore della prima metà del secolo XVII, che in verità nell’unico documento finora reso noto risulta solo il perito estimatore dei manufatti(19). Certo è che il Bolognese, intervenuto nella stima come perito di parte per conto di Nicolò Branciforti, appare di fatto -ciò che ci interessa rilevare in questa sede- il ricamatore di fiducia di costui ed è quindi plausibile che sia effettivamente lui l’artefice almeno dell’arazzo di palazzo dei normanni, che presenta un ricamo quasi tutto in oro a rilievo, con magnifici brani naturalistici in seta a pittoresco, talora simili a quelli degli altri due manufatti di palazzo Mazzarino, sui quali attendiamo con ansia ulteriori aggiunte e puntualizzazioni unitamente a nuovi illuminanti apporti documentari.

Elvira D’AMICO  Palermo 5 Ottobre 2025

NOTE
1.Cfr.il catalogo della mostra: Exempla moralia. “Arazzi” siciliani ricamati del XVII secolo, a cura di M.Vitella,Torri del Vento Edizioni, Palermo 2025
2.E.D’Amico, Appunti per una storia del ricamo palermitano in età barocca. La committenza nobiliare , in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di M.C. Di Natale, Charta Vicenza 2001, pp.204-221; P.M.Carbone, L’arazzo d’oro dei Branciforti.Una storia da attraversare un’arte da raccontare, una simbologia da interpretare, Carlo Saladino editore, Palermo 2022
3.Il documento, rinvenuto negli anni 1980 dallo studioso gesuita p.Francesco Salvo all’Archivio di Stato di Palermo, da me reso noto parzialmente già nel 1994,cfr. Contributi a Gerardo Astorino , in Bollettino d’Arte del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, n.88 (novembre-dicembre 1994), pp.113-118, e pubblicato integralmente nel catalogo della mostra,cfr. G.Guadagna, Dinamiche e contesti intorno all’esordio di Gerardo Astorino e Giovanna Branciforti: un pittore-architetto e una committente sotto l’ombra dei “giganti”, in Exempla moralia…cit.2025,pp.74-75
4 M.Vitella, Gli exempla moralia di Casa Branciforti,in Exempla moralia…cit.2025, pp.11-36
5 Ibidem
6 G.Guadagna, Dinamiche e contesti …cit.,pp.70.71
7 P.M.Carbone, L’arazzo d’oro…,cit. (passim)
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9 E.D’Amico, Contributi a Gerardo Astorino , cit.
10 E.D’Amico Gli arazzi ricamati del museo civico di Termini Imerese e l’attività di Vincenzo La Barbera come “cartonista” di ricami siciliani, in B.C.A.Sicilia, Bollettino d’informazione Beni Culturali Ambientali Regione Siciliana,Anno IV. N.1/4, 1983, pp.93-104
11 M.Viale Ferrero, Arazzi italiani del Cinquecento, Antonio Vallardi Editore,II ed.,Milano 1963
12.V.Abbate, Ottavio Branciforti,il vescovo, in I Branciforti in Sicilia nel Seicento. Collezionismo e ideologia, a cura di V.Abbate,  De Luca Editori, Roma 2024,pp.102-3
13 G.Cantelli,La cultura delle apparenze nella Sicilia centro-meridionale: il censimento dell’arte tessile in questo territorio e ragionamenti sopra ogni sorta di motivi decorativi,in Magnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meridionale . Ricami, sete e broccati delle Diocesi di Caltanissetta e Piazza Armerina, a cura di G.Cantelli con la collaborazione di  E.D’Amico e S.Rizzo, Assessorato dei Beni Culturali e Pubblica Istruzione,Soprintendenza dei Beni Culturali Ambientali di Caltanissetta, 1999,pp.19-22
14P.M.Carbone, L’arazzo d’oro…,cit
15V.Abbate,La stagione del grande collezionismo, in Porto di mare.Pittori e pittura a Palermo tra memoria e recupero.1570-1670, a cura di V.Abbate, Electa Napoli, 1999, pp.107-140
16 M.C.Ruggieri Tricoli, Le fontane di Palermo, Linee d’arte giada, Palermo 1984,fig.55
17 bidem,fig 44
18.C.D’Arpa,Architettura e arte religiosa a Palermo: il complesso degli oratoriani all’Olivella, ed.Caracol, Palermo 2012, p.78
19 G.Guadagna, Dinamiche e contesti …cit.,p.75