di Nica FIORI
“Nessuno ti amerà mai quanto ti ho voluto io. La notte sei l’ultimo volto che vedo, la mattina sorgi nella mia testa come l’alba”.
Come si intuisce da questa ipotetica dichiarazione d’amore che Cecilia fa al grande pittore Tiziano, suo sposo, la loro unione è contrassegnata da un forte sentimento, del quale Tiziano non si rende conto, però, prima della morte di lei, preso com’è dal suo lavoro.
Il loro è stato un amore che va oltre la morte e Luca Nannipieri, noto storico e critico d’arte, lo ha voluto raccontare nel suo romanzo “Il destino di un amore. Tiziano Vecellio e Cecilia”, edito da Skira. Proprio traendo spunto da questa storia, Nannipieri terrà a Milano una conferenza-spettacolo, in contemporanea con la mostra internazionale su Tiziano e le donne attesa per febbraio 2022 a Palazzo Reale a Milano, prodotta da Skira con il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Un’anteprima di questo spettacolo è stata fatta a Roma nel Teatro Flavio lo scorso 4 dicembre 2021. In questa presentazione Nannipieri, partendo da un tema allegorico molto dibattuto in campo artistico, ovvero le tre età dell’uomo, ha illustrato una serie di dipinti, da quello di Giorgione, a quello di Hans Baldung (un allievo di Dürer), da quello di Munch a quello di Klimt, evidenziando come questi quadri sono tutti caratterizzati dalla solitudine dei soggetti raffigurati, mentre nelle Tre età di Tiziano questa solitudine non c’è, perché lui esalta nella sua opera l’amore, l’incontro amoroso tra un uomo e una donna.
È da questo incontro di una coppia di innamorati che scaturisce la vita, che deve essere vissuta fino in fondo, pur con la consapevolezza della caducità della stessa.
La solitudine può essere, invece, una caratteristica della vecchiaia, quando il corpo decade e ci si può anche vergognare a mostrarlo, come fa la vecchia nel dipinto di Klimt Le tre età della donna, conservato alla GNAM di Roma.
Altri dipinti presi in esame sono alcuni nudi femminili e in particolare la Venere raffigurata da Botticelli nella Nascita di Venere e la Venere di Dresda di Giorgione, entrambe di una bellezza talmente perfetta da apparire lontane, olimpiche.
Nella Venere di Giorgione, in particolare, la dea è addormentata e quindi l’osservatore ha l’impressione di osservarla di nascosto. Manca, quindi, l’esibizione volontaria della propria nudità che nella Venere di Urbino di Tiziano è evidente, anche se la posizione delle mani sul pube riprende il motivo della Venere pudica della statuaria classica.
Tiziano (1490 ca. – 1576), noto come pochi altri artisti con il solo nome di battesimo, seppe portare a vertici d’insuperata bellezza il tradizionale amore della pittura veneziana per il colore sontuoso, raggiungendo in vita un successo incontrastato, tanto da divenire pittore della prima corte imperiale presso Carlo V e Filippo II di Spagna. Si tratta di un vero “mostro sacro” della storia dell’arte, il cui codice espressivo è alla base della pittura moderna, da Velasquez a Rubens agli impressionisti, e che, secondo il contemporaneo Ludovico Dolce, era in grado di accordare
“la grandezza e terribilità di Michel Agnolo, la piacevolezza e venustà di Raffaello, et il colorito proprio della natura”.
Ma a Nannipieri non interessa tutto questo, bensì evidenziare un momento cruciale nella vita dell’artista, un momento che indubbiamente ha segnato un cambiamento nella sua anima. Le biografie di Tiziano riportano la notizia che, quando nel 1530 la moglie Cecilia Soldani, che gli aveva già dato i figli Pomponio e Orazio, morì nel dare alla luce la figlia Lavinia, il pittore ne fu sconvolto e, affranto dal dolore, smise di lavorare per un certo periodo. Non si risposò mai più e si dedicò in seguito all’avvenire dei figli.
Nel romanzo di Nannipieri si ipotizza che, quando Cecilia rimase incinta, lei percepì che quella gravidanza avrebbe potuto costarle cara e, piuttosto che rinunciare al suo amore, alla sua vita con Tiziano, avrebbe voluto disfarsi di quell’esserino che cresceva in lei provocando dolori e continue perdite di sangue (il medico, del resto, le aveva detto che bisognava scegliere tra la vita del bambino e quella della madre). Tiziano, al contrario, voleva che nascesse il figlio/figlia e così lei portò avanti la gravidanza e morì di parto dando alla luce Lavinia. Se soltanto lui le fosse stato vicino, forse le cose sarebbero andate diversamente; scrive Nannipieri:
“Le carezze. Le mancavano soprattutto quelle. Ne sarebbe bastata una leggerissima, sulla guancia. Anche se non guarisce, una carezza è spesso la migliore medicina al male. Una carezza vuol dire: non preoccuparti, io ci sono. Non sei sola”,
Ma Tiziano era tutto preso dai suoi impegni di lavoro, perché “la sua professione era soprattutto tessere una rete di relazioni, incontri, cortesie, presenze irrinunciabili”, per cui anche quando Cecilia, molto sofferente, era ormai vicina al parto, partì per Ferrara:
“La fama lo stava di nuovo chiamando e lui le stava rispondendo andandole incontro: costasse quel che costasse”.
Nel libro viene fuori tutto il dramma vissuto dalla donna e la complessa figura di Tiziano, la sua ansia di successo, il vuoto che Cecilia ha lasciato dopo la sua morte.
Allo stesso tempo la loro storia si intreccia con alcuni avvenimenti e personaggi dell’epoca, che ci proiettano nel Cinquecento veneziano, uno dei secoli d’oro per l’arte della città lagunare.
Luca Nannipieri ha cercato di far parlare il cuore e l’anima e per questo ha scelto di non scrivere un saggio, ma un romanzo. “Mi sono avvicinato a Tiziano quasi carezzandolo” ha dichiarato, perché voleva mettere a nudo la sua vita, confrontandosi con quella di Tiziano: “Quando ho cominciato a scrivere non sapevo come si sarebbe sviluppata la mia storia, ma certo volevo aprimi al mistero della vita”.
L’operazione dello scrittore è ammirevole perché, al di là dello stile che qualcuno potrebbe giudicare forse un po’ sintetico (il libro è di 120 pagine), egli si è posto davanti a un celebre quadro di Tiziano, conservato agli Uffizi di Firenze, e ha cercato di farlo parlare. Del resto, come diceva Borges, “Una sola parola presuppone l’universo”. Ognuno di noi, pur non avendo vissuto nel passato, può essere un testimone inconsapevole di una storia lontana.
Nannipieri è riuscito a riscrivere la storia della Venere di Urbino a modo suo, interpretandola e cogliendo quei messaggi nascosti che suggerisce al lettore. Ed ecco come fa parlare Tiziano:
“Vedranno seduzione, e non capiranno che la seduzione è solo il rovescio. Vedranno occhi belli e penseranno che siano lì ad ammiccare, ad ammaliare. Ma chi guarderà con più attenzione, con gli occhi pugnalati dal dolore che ho io, lo vedrà bene. … Un dolore senza conforto”.
Nella Venere di Urbino gli occhi esprimono un dolore silenzioso. La sua Venere bellissima non è solo emblema di fascino sensuale, ma molto, molto di più. È la vita che non ha più avuto Tiziano, l’amore della moglie morta che rinasce in questa figura.
Come è diversa questa Venere da tutte quelle Veneri, davanti alle quali ci si sente inadeguati, tanto sono lontane da noi nella loro perfezione, impassibili come solo le dee possono essere!
La Venere di Tiziano, pur rispettando i limiti della committenza (è stata realizzata nel 1538 per Guidobaldo della Rovere, futuro duca d’Urbino), è una giovane donna nuda inserita in un contesto domestico, con due cameriere sullo sfondo (una bambina e un’adulta che prendono da un cassettone le vesti che la fanciulla dovrà indossare) e un cagnolino sul letto. Ma quelle che sembrano due cameriere potrebbero essere, in realtà, la moglie Cecilia e la figlia Lavinia, che lei avrebbe potuto allevare se fosse sopravvissuta al parto. È quindi la vita che ha perso che Tiziano inserisce in questo quadro.
Quanto al cagnolino, simbolo di fedeltà coniugale, richiama alcuni monumenti funebri di giovani spose, come quello di Ilaria del Carretto, capolavoro di Jacopo della Quercia nella cattedrale di Lucca.
La Venere di Urbino trattiene le sue lacrime, proprio come la precedente Maddalena penitente (1533 ca.), che è simile a Venere nella bellezza dei capelli e nella nudità della carne, seminascosta dagli stessi capelli. Anche in questo dipinto, pure eseguito nel ricordo della moglie, c’è tutto il dolore, la segreta mancanza di vita di un essere umano, o meglio di un’anima che urge di venir fuori, e di essere accarezzata, come Nannipieri ci suggerisce in maniera avvincente.
Nica FIORI Roma 12 dicembre 2021
“Il destino di un amore. Tiziano Vecellio e Cecilia”, di Luca Nannipieri
Skira editore 2021, € 15