di Claudio LISTANTI
Per Il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto la stagione di quest’anno ha assunto una valenza particolare essendo la 75ma dalla sua istituzione.
Possiede una gloriosa storia tutta dedicata al teatro d’opera per il quale, nel corso degli anni, ha avuto una importanza capitale per la sua attività di ricerca e valorizzazione di giovani cantanti lirici, molti dei quali hanno raggiunto alti livelli nel campo di questa particolare forma di spettacolo. L’istituzione musicale umbra ha programmato, quindi, una stagione celebrativa le cui attività previste per il 2021 hanno ottenuto il prezioso riconoscimento da parte del presidente Sergio Mattarella che ha insignito il Teatro Lirico Sperimentale della prestigiosa Targa del Presidente della Repubblica.
Per aprire la stagione è stato proposto un avvenimento musicale di grande spessore, l’esecuzione di uno dei capolavori teatrali di Benjamin Britten, The Rape of Lucretia (Lo stupro di Lucrezia) lavoro significativo del teatro d’opera del compositore inglese, che qui in Italia, ma forse anche in altri parti del mondo, pur essendo molto apprezzato dalla critica, non possiede un felice riscontro nelle diverse stagioni liriche.
The Rape of Lucretia occupa un ruolo fondamentale nella produzione musicale operistica di Britten. Scritta in un periodo particolarmente proficuo per la sua arte, più esattamente negli anni che vanno dal 1945 nel quale ci fu il grande successo di Peter Grimes, il capolavoro forse più grande del compositore inglese, fino al 1954 anno di composizione di The Turn of the Screw (Il giro di vite). Rappresentata per la prima volta al Festival di Glyndebourne il 12 luglio 1946, già dal suo primo apparire ebbe un grande successo di pubblico e di critica che, in soli quattro mesi, fece raggiungere all’opera le ottanta rappresentazioni. Tutto ciò anche per i grandi interpreti che presero parte a quella prima assoluta, tra i quali il direttore d’orchestra Ernest Ansermet, il celebre contralto inglese Kathleen Ferrier nella parte di Lucretia e il tenore Peter Pears, compagno di vita e di arte di Britten, nella parte del Coro Maschile.
The Rape of Lucretia è importante anche per il fatto che con essa Britten entra nel campo della cosiddetta Opera da Camera, un genere teatrale-musicale che dimostrò che l’opera lirica poteva essere realizzata anche in piccoli spazi e con risorse limitate ma ottenendo sempre grandi risultati in termini di espressività, di teatralità e di coinvolgimento drammatico. Nello specifico la partitura di The Rape of Lucrezia è realizzata per tredici strumentisti ed un organico che oltre al quartetto d’archi prevede percussioni oboe, fagotto, flauti, clarinetti, arpa e pianoforte.
Per quanto riguarda la parte vocale c’è da dire che risulta del tutto funzionale alla simmetria del libretto. Strutturata in due atti, ognuno dei quali composto da due scene, ciascuna intercalata da un interludio con un totale di otto personaggi sulla scena quattro maschili (Collatinus, Junius, Tarquinius e Coro Maschile) e quattro femminili (Lucretia, Bianca, Lucia e Coro Femminile). Importante il contributo dei Cori, chiaramente derivati dalla tragedia greca, ai quali viene data la funzione di racconto del momento storico e di commento alle varie situazioni sceniche. Questa funzione è affidata a due soli cantanti, tenore e soprano, che genialmente si inseriscono nella struttura narrativa. Un’opera da camera in piena regola, un genere che in Britten ebbe anche un importante seguito di con l’opera comica Albert Herring nel 1947 e con il già citato The turn of the screw nel 1954.
Per quanto riguarda il linguaggio musicale adottato, come anche sottolineato da Salvatore Percacciolo direttore d’orchestra della rappresentazione spoletina, “… è di tipo tonale anche se spesso tende a sconfinare nell’atonalità” ma che consente allo spettatore un ascolto nell’insieme del tutto ‘tranquillo’.
Il libretto di The Rape of Lucretia è opera di Ronald Duncan che trasse spunto da una tragedia del 1935, Le viol de Lucrèce di André Obey che rinnova il mito di Lucrezia già presente in Tito Livio nella sua Ab Urbe Condita, nei Fasti di Ovidio fino a William Shakespeare con il poema narrativo anch’esso intitolato The Rape of Lucrece. Quello di Lucrezia può essere considerato uno dei miti collocati in uno snodo importante della storia di Roma che corrisponde alla fine del dominio dei re etruschi ed alla nascita della Repubblica Romana.
In Britten-Duncan la storia di Lucrezia si rinnova ma mantenendo ben salde le basi letterarie già citate. Il primo atto si apre con i Cori che descrivono lo stato di degrado in cui è caduta Roma sotto il dominio etrusco di Tarquinio il superbo. Collatinus, Junius e Tarquinius figlio del re, parlano in tono del tutto maschilista narrando che la notte precedente hanno fatto una visita improvvisa alle rispettive mogli per verificare la loro fedeltà. Solo Lucretia, la moglie di Collatinus, è risultata fedele. Tarquinius rimane eccitato dal racconto e decide di violare la castità della donna. Il Coro maschile ci fa sapere che si precipita a cavallo presso la casa di Lucretia. La donna è in compagnia della nutrice Bianca e dell’ancella Lucia, tutte intente a filare. Mentre espone la sua idea dell’amore il Coro femminile descrive la preparazione per la notte quando nel frattempo irrompe Tarquinius.
Nel secondo atto il Coro ci ricorda la sorte del popolo romano sotto il dominio etrusco; Lucretia è addormentata e Tarquinius ne approfitta per aggredirla e, dopo ogni tentativo di respingerlo, viene dallo stesso brutalmente violentata. Nuovo intervento del Coro che canta il dolore di Cristo di fronte alla virtù uccisa dal peccato proponendo la purezza della madre di Dio per la giusta consolazione. Ormai è giunta l’alba; entra in scena Lucretia chiedendo a Lucia di chiamare il marito. Collatinus arriva accompagnato da Junius e capisce subito quanto è accaduto a Lucretia. La donna riceve le attenzioni d’amore di Collatinus, ma il senso vergogna che prova è troppo grande e si uccide con un pugnale.
Il testo approntato da Duncan rispetta sicuramente il nocciolo del mito ma concede qualcosa alla morale protestante dell’Inghilterra di quei tempi, appena uscita dalla tragedia della seconda guerra mondiale, soprattutto a quel ‘purismo’ assoluto che ne caratterizza la morale religiosa per di più in seno a quella borghesia agiata che nel 1946 aveva la possibilità di frequentare il Festival di Glyndebourne. Un elemento, questo, che stride un po’ con la cultura del terzo millennio anche se, c’è da riconoscere che nell’opera appare con forza uno dei temi più importanti di oggi, i maltrattamenti verso la donna vittima costante della violenza e del maschilismo sempre imperante.
Per quanto riguarda l’esecuzione ascoltata, in lingua originale inglese con soprattitoli in italiano, presso il Teatro Caio Melisso, possiamo dire che è risultata valida sotto tutti i punti di vista. La realizzazione scenica è stata affidata a Giorgina Pi autrice di regia, scene e costumi per un allestimento del tutto semplice, pochi ma significativi oggetti in scena e l’utilizzo di proiezioni. Il tutto inserito in una cornice ambientale attualizzata a dimostrazione dell’universalità del mito rappresentato del quale ne ha rispettato i contenuti. Molto efficace la scena dello stupro che musicalmente e drammaturgicamente rappresenta il cosiddetto climax dell’opera così come curati erano tutti i movimenti scenici anche se ci ha convinto poco il finale nel quale Lucretia non si auto pugnala ma si impicca, giungendo poi ad una sorta di resurrezione del personaggio che toglie un po’ di ‘pathos’ a tutta la scena dominata, musicalmente, dalla coinvolgente marcia funebre finale.
La compagnia di canto è stata del tutto funzionale all’impostazione registica e convincente nell’esecuzione della parte vocale creata da Britten riuscendo ad abbinare alla parte meramente musicale una recitazione molto attenta allo svolgimento della trama. Complessivamente ci è sembrato che i cantanti abbiano tutti preparato bene le rispettive parti vocali dimostrando di non trovarsi a disagio con la caratteristica linea vocale impressa dal compositore inglese dove la cantabilità sembra essere in secondo piano a vantaggio del recitativo e del declamato, con momenti di puro parlato, ma che, nell’insieme, ci offre un canto felicemente omogeneo e del tutto espressivo rivolto alla rappresentazione del dramma e al coinvolgimento dell’ascoltatore/spettatore.
La compagnia, da noi ascoltata nella recita del 4 settembre, era composta per intero da cantanti giovani, molti dei quali vincitori del Concorso per Giovani Cantati Lirici di Spoleto di quest’anno e degli anni precedenti. I ruoli affidati ai vincitori del concorso 2021 erano quelli di Collatinus nel quale è emerso il timbro efficace del basso Giacomo Pieracci, quello di Junius affidato al del tutto convincente basso-baritono Matteo Lorenzo Pietrapiana e di Lucia affidata alla fresca e ben educata voce di Elena Salvatori. Il soprano Chiara Boccabella, vincitrice del concorso 2020, è stata una coinvolgente interprete della parte del Coro Femminile mentre il mezzosoprano Daniela Nineva, vincitrice del concorso 2017, una efficace Bianca. Per quanto riguarda gli altri cantanti c’era il tenore Nicola Di Filippo nella parte del Coro Maschile reso con buona efficacia, il baritono Luca Bruno un Tarquinius di feroce cattiveria per finire con la brava Candida Guida, un contralto dalla voce suadente e scura per una Lucretia che ha fornito una prestazione del tutto convincente, scenicamente e vocalmente.
La direzione d’orchestra di Salvatore Percacciolo è risultata senza dubbio curata ed energica, riuscendo a porre in evidenza tutti i punti nodali della rappresentazione con una conduzione molto attenta ai numerosi pezzi d’insieme contenuti nella partitura che oltre a pezzi solistici contiene duetti, terzetti e quartetti di straordinario fascino. Il suo compito è stato facilitato dai tredici musicisti dell’Ensemble strumentale del Teatro Lirico Sperimentale che hanno assecondato l’impostazione interpretativa del direttore.
Vogliamo concludere la nostra recensione parlando brevemente delle Manifestazioni Celebrative che hanno nobilitato questo 75mo Festival del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto per le quali, come prima accennato, all’istituzione è stata conferita la Targa del Presidente della Repubblica.
Innanzi tutto il convegno del 5 settembre al quale hanno partecipato Michelangelo Zurletti ed Enrico Girardi, rispettivamente direttore e condirettore artistico, e gli studiosi Giancarlo Landini e Guido Berbieri, dal titolo significativo di ‘Sperimentare lo Sperimentale’. Un convegno che si è rivelato molto interessante perché sono emersi importanti spunti dall’intervento di Landini che ha evidenziato il fatto che per questo concorso non si può parlare di un vero e proprio albo d’oro dei vincitori, come spesso si richiede da più parti, in quanto quello autentico è da individuare nella continuità della ricerca dei giovani cantanti e della conseguente attenzione alla preparazione professionale ed artistica e fornire ad essi i necessari strumenti per emergere nel proseguo della carriera. Barbieri, invece, ha orientato la lente di ingrandimento verso le attività che nel corso degli anni lo Sperimentale ha dedicato alla Musica Contemporanea, anzi alla Contemporaneità, come lo stesso Barbieri preferisce appellarla, un’attività che comunque, tra le molte difficoltà ha avuto sempre la necessaria evidenza nei programmi presentati; a proposito di ciò vogliamo ricordare la felice esperienza, nel 2019, del Re di Donne di John Palmer.
Il 9 settembre il Concerto Celebrativo al quale hanno partecipato i veri protagonisti di questo festival vale a dire molti dei cantanti che si sono messi in luce con il Concorso per Cantanti Lirici. Poi due interessanti mostre. La prima, L’Archivio del Teatro Lirico Sperimentale – Documenti, Testimonianze, Memorie curata da Raffaella Clerici e Gianluca Bocchino. Molto ben organizzata nei locali del Centro Studi Belli-Argiris con un percorso distribuito in cinque sale, contenente esposizioni di documenti, fotografie e ricordi di quella che è stata, e continua ad essere, una delle più proficue manifestazioni culturali del secondo dopoguerra italiano. Gli stessi curatori hanno allestito una mostra interamente fotografica, Diaframa Opera, ospitata presso l’Ex Monte di Pietà, dove sono esposti gli scatti del Riccardo Spinella, fotografo ufficiale degli spettacoli del festival. La mostra si articola in tre sale e contiene importanti testimonianze fotografiche delle stagioni comprese dal 2000 al 2020. Le due mostre sono ad ingresso libero e visitabili dal venerdì alla domenica la prima e dal martedì alla domenica la seconda. Saranno aperte fino al 18 settembre quando il festival si concluderà con l’attesa rappresentazione di Madama Butterfly di Puccini, l’opera di grande repertorio che quest’anno, come da tradizione, è inserita nel festival.
Claudio LISTANTI Roma 12 settembre 2021