Sybille Ebert-Schifferer a 360° su Caravaggio: ”La diagnostica? Non è una ‘corrente’ della Storia dell’Arte. Il primo Caravaggio a Roma? Importanti i nuovi documenti, ma non ancora decisivi”

P d L

Abbiamo incontrato Sybille Ebert-Schifferer a latere del convegno di studi Caravaggio e i Letterati, svoltosi all’Hertziana  il 20 e il 21 aprile con grande partecipazione di studiosi e pubblico, in particolare giovani, da lei curato insieme con Laura Teza. Ne è nata una conversazione su Caravggio a tutto campo, ricca di importanti considerazioni e non priva di spunti polemici, come nel carattere cristallino di questa grande studiosa. Sybille ha studiato musicologia, storia del teatro, filosofia e storia dell’arte a Monaco di Baviera ed alla Technische Universität di Berlino. Dal 2001 al 2018 è stata membro scientifico e direttrice della Bibliotheca Hertziana che ebbe a frequentare già nel 1976/1977, durante gli studi universitari, grazie ad una borsa di studio della Studienstiftung des deutschen Volkes. Nel 1982/1983 è tornata a Roma per portare a termine la sua tesi di dottorato sugli affreschi di Ripanda ed il contesto politico del programma iconografico nel Palazzo dei Conservatori. Ha insegnato presso l’università di Francoforte s. M., di Bonn (semestre estivo 1996) ed infine, dal 1999, come professore onorario presso la Technische Universität di Dresda. E’ stata responsabile delle mostre  e direttrice di prestigiosi musei a Francoforte s. M., a Darmstadt e a Dresda. Nel 1988 ha organizzato la mostra Guido Reni und Europa, la prima a carattere monografico dedicata in Germania ad un pittore del barocco italiano. Come Direttrice della Bibliotheca Hertziana ha gestito e diretto l’ambito di ricerca ‘Pittura e arte visiva della prima età moderna’, particolarmente sulla pittura bolognese e romana della fine del 16. e della prima metà del 17. secolo ma anche la storia del genere pittorico della Natura morta in Europa. E’ stata insignita di varie onorificenze, tra cui quella di Cavaliere dell´Ordine al Merito della Repubblica Italiana e da ultimo nel gennaio 2018 ha conseguito l’ onorificenza del Governo tedesco quale riconoscimento per la sua prestigiosa carriera scientifica nella storia dell´arte.

La prima cosa che vorrei mi chiarissi, se è possibile, riguarda il progetto di database che dovrebbe raccogliere tutto quanto concerne le opere di Caravaggio, sicure o meno, di cui però non sappiamo bene a che punto sia.

R: In realtà questo progetto è in corso da anni, precisamente dal 2002, ed è partito come una vera e propria indagine sulla pittura a Roma dal 1580 al 1630; l’idea era, ed è, quella di rendere possibile trovare risposte, o almeno una serie di materiali in grado di poter chiarire i numerosi aspetti del caravaggismo ancora piuttosto oscuri, ma anche i motivi della sua clamorosa affermazione prima e del repentino tramonto poi, quali strati sociali e come riuscirono a trasmettere ad un intero contesto ambientale il loro apprezzamento per questa pittura rivoluzionaria, e ancora quali furono e se ci furono i modelli cui s’ispirò il genio lombardo come pure gli artisti a lui contemporanei e per finire quali elementi salienti possono essere catalogati tra quelli che verranno ripresi dalle generazioni successive.

-Quindi un progetto di database a largo spettro, per così dire, non solo concernente Caravaggio ?

R: Si e non a caso gli abbiamo dato il nome di ArsRoma, proprio perché nasce con l‘idea di raccogliere e fare luce non solo sulle opere ma anche sui committenti, sugli altri artisti di quel contesto, sulle relazioni sociali che intercorrevano tra loro (chi era imparentato a chi?, chi aveva sposato chi? e così via), sulle loro frequentazioni laiche o religiose, sulle funzioni alle quali adempivano, ovviamente anche su tutti i documenti che li riguardano. Certo, poi è evidente che la massa documentaria più ampia riguarda soprattutto Caravaggio tanto che dal 2015 abbiamo fatto convergere nel progetto ArsRoma un database sul materiale diagnostico che lo riguarda ed abbiamo concluso la fase di sperimentazione con 110 opere di Caravaggio e di caravaggeschi.

Significa che questo materiale è già a disposizione?

Ottavio Leoni, Ritratto di Caravaggio, Firenze, Biblioteca Marucelliana

R: In effetti sarà disponibile per gli studiosi spero già nel corso di questo anno 2018 ma solo via intranet, quindi eminentemente come occasione di studio, senza poter riprodurre o scaricare immagini; dobbiamo ancora raccogliere da ogni proprietario il consenso alla riproduzione delle opere, normalmente ci viene concesso.

Vuoi dire che in quel centinaio e passa di opere cui ti riferivi rientrano anche dipinti di privati?

R: Beh, effettivamente se si vuol studiare bene la tecnica di Caravaggio occorre prendere in esame anche le copie o i dipinti di contemporanei, altrimenti non si capisce bene quale termine di paragone e di confronto si deve istruire e con cosa; bisogna avere materiale statistico valido se no non si capirà mai cosa possa avere avuto di tanto speciale la tecnica del Merisi. Naturalmente in primo luogo ci concentriamo sui dipinti in cui il materiale diagnostico è a disposizione e quindi ci può consentire di fare una cernita. Dopo di che, è ovvio che c’è anche qualche proprietario di quadro che ti dice “se non lo mettete come autentico di Caravaggio non vi concedo il materiale”, ma se si arriva a questo noi diciamo senz’altro di No, non si può fare. Voglio poi anche dire che ci sono musei, come Capodimonte, per fare un esempio, che hanno sottoscritto delle convenzioni con noi perché interessati al materiale anche per eventuali campagne future e con queste istituzioni si possono aprire delle collaborazioni importanti.

Quindi devo credere che tu personalmente credi molto o comunque affidi molta affidabilità alla indagine diagnostica?

R: No, dico solamente che a mio parere è qualcosa di utile a verificare alcune cose particolari, e poi devo ammettere che per noi storici dell’arte l’interesse verso questa metodica nasce anche dal fatto che siamo sempre interessati a sapere tutto quanto si muove nel nostro settore di studi, al di là delle istanze attributive o anche commerciali; ricordi il titolo di una famosa esposizione curata anni fa da Mina Gregori? Era ‘come dipingeva Caravaggio’; ecco a noi studiosi affascina conoscere sempre meglio il suo metodo, sapere cosa avesse di speciale rispetto agli altri. Se è vero che egli nasce con una impronta di carattere veneto-lombarda ci interessa però poi verificare cosa può esserci stato di nuovo ed è questo che attira il nostro interesse, e non soltanto il nostro, di studiosi.

Ecco, ad esempio magari qualcosa di nuovo, come dici tu, potrebbe essere uscita dalla recente mostra milanese Dentro Caravaggio, curata da Rossella Vodret, per quanto concerne i disegni, soprattutto, visto che la grande messe di indagini effettuata su varie opere ritenute sicure del maestro, lo avrebbe alla fine certificato.

R: Ma questo già si sapeva prima, lo avevo scritto anch’io nella mia monografia, in uno dei capitoli dedicato alle analisi; ovviamente occorre intendersi, Caravaggio disegnava alla veneta, non alla fiorentina, se posso semplificare il discorso, vale a dire sulla tela, sulla imprimitura, con il pennello; è un modo di disegnare questo, o no?

E’ vero, però anche se, come dici tu, Caravaggio disegnasse alla veneta, questo contrasta con quanto tramandano le fonti, tutte concordi nel negare questa modalità esecutiva.

R: Si, ma attento, perché tutte le fonti sono di parte e contrastano intenzionalmente il Merisi; non mi dire che a bottega del Peterzano non s’imparasse a disegnare! Per non parlare dei vari documenti del tempo che fanno cenno ai suoi ‘sbozzi’.

Visto allora che stiamo parlando delle fonti e dei documenti del tempo, vorrei sapere il tuo pensiero circa i ritrovamenti documentari di questi ultimi tempi, che spingerebbero l’arrivo dell’artista a Roma oltre il 1595, perché mi pare che tu sia tra quegli studiosi –pochi in verità- che esprimono dubbi in proposito.

R: Cominciamo col dire che se ti riferisci alla partecipazione di Caravaggio alla cerimonia delle 40 ore documentata in quel periodo di tempo, la cosa è veramente curiosa; possibile che uno arriva a Roma e senza neppure prendere possesso di un alloggio, di una sistemazione, si rechi per prima cosa alla cerimonia delle 40 ore? Si può credere che appena arrivato ci si avvii immediatamente ? ma avrebbe pur dovuto crearsi un contesto, frequentare e contattare qualcuno, insomma inserirsi nel nuovo ambiente, e questo quando lo avrebbe fatto se non prima di questa data? Ma soprattutto il documento più significativo su cui si basa lo spostamento di date è la denuncia di un garzone di barbiere che afferma più o meno “è venuto qua un anno”, ma a me pare evidente che intendesse riferirsi con quel ‘qua’ alla strada di via della Scrofa da dove probabilmente quel garzone non si allontanava mai, chi lo sa? come si può immaginare che si riferisse generalmente alla città e non alla via ? Caravaggio può benissimo aver vissuto prima di quelle date a Borgo, perché no? E quello che oggi si pensa di estrapolare da quanto riferisce nella sua testimonianza il garzone rientra nel campo delle ipotesi che non possono fare definitivamente testo. Noi poi non siamo abituati a considerare quale fosse la mobilità degli artisti in quel periodo, come si spostassero per studiare l’arte precedente o contemporanea nelle altre città, come si muovessero a questo scopo; quindi non si può neppure escludere che Caravaggio si fosse mosso da Roma anche varie volte. Infine non va trascurata la circostanza della morte del pontefice Gregorio XIV, al secolo Niccolò Sfrondato (1535 – 1591), che si poté tradurre in una restrizione di committenze per gli artisti ticinesi e lombardi alcuni dei quali potrebbero essere stati costretti a ritornare in patria, e magari tra costoro anche il Merisi; insomma, sono numerose le circostanze che, per rispondere alla tua domanda, mi spingono alla cautela.

In ogni caso, come che sia andata, la svolta se si può dire per Caravaggio a Roma è rappresentata  dall’incontro con Prospero Orsi; come giudichi il ruolo giocato da Orsi? Secondo te può essere stato lui a suggerire a Caravaggio certi temi da trattare pittoricamente magari perché andavano di modo nella cultura figurativa del tempo?

R: Il ruolo di Prosperino è stato sicuramente determinante, ma non credo potesse suggerire lui a Caravaggio le tematiche su cui misurarsi, mentre è certo che grazie alle sue conoscenze e ai suoi rapporti, probabilmente ereditati dal fratello Aurelio, intimo dei Farnese e dei Barberini e molto addentro alla Roma che contava in quei periodi, il Merisi ebbe l’opportunità di emergere; credo anche che Orsi possa aver avuto un ruolo decisivo in certi acquisti di opere caravaggesche da parte di personalità importanti ma non propriamente conosciute come collezionisti, come nel caso dei Vittrice che comprarono la Buona Ventura pagandola ben poco.

Gli ultimi ritrovamenti documentari fanno cenno ad un Suonatore di Leuto dipinto da Caravaggio in casa del cardinal Del Monte, dipinto poi passato ai Barberini, e che si credeva fosse quello esposto fino a qualche tempo fa al Metropolitan di New York, già Wildenstein; in effetti, il quadro venne presentato a suo tempo con gran clamore da sir Denis Mahon e Keith Christiansen e pubblicato sul Burlington Magazine come l’originale di Caravaggio ex Barberini, ora però non compare più nel museo statunitense, forse perché non è di Caravaggio? Tu che idea ti sei fatta?

Il Suonatore di Liuto (Ermitage sx ; ex Wildenstein, dx)

R: Che dire? L’idea che ho è che questo mi pare un ottimo caso per il quale le analisi diagnostiche sarebbero utili, e sarebbe estremamente interessante sottoporre il dipinto a determinate verifiche; ma se proprio vuoi il mio parere ti dico che non escludo possa trattarsi di una replica di mano di Prospero Orsi, o con l’aiuto di Prospero Orsi, anche perché sono del parere – e mi rifaccio agli inventari pubblicati da Luigi Spezzaferro– che fosse Prospero Orsi l’unico autorizzato da Caravaggio a fare delle riproduzioni.

E non pensi invece che possa essere esistita una sorta di convenzione –chiamiamola così- tra gli amici più stretti del Merisi, oltre ad Orsi mi riferisco a Mario Minniti o all’ancora ignoto Filippo Trisegni, per riprodurre –con Caravaggio vivente e consenziente a questo punto- i lavori del genio milanese già molto richiesti dal mercato?

R: Può anche essere, specie ora che sappiamo con certezza che Mario Minniti era a Roma ancora agli inizi del Seicento, ma è anche vero che Minniti o chi per lui avrebbe dovuto avere accesso alle opere di Caravaggio per riprodurle, mentre invece sappiamo che del Monte, ad esempio, non lo consentiva a nessuno; com’è noto, lo stesso Mancini dovette ricorrere al sotterfugio per poter fare una copia; insomma non era così facile riprodurre le opere di Caravaggio; certo, i Mattei invece lo consentivano, ma non è un dato assoluto.

Visto che parli dei Mattei, collezionisti di Caravaggio, e del fatto che consentivano di copiarne i lavori vorrei sapere cosa ne pensi delle due versioni della Cattura di Cristo che se ne contendono l’autografia –(o, per alcuni studiosi, solamente la primogenitura).

R: La versione romana quando ho potuto osservarla non mi ha convinto del tutto,

Cattura di Cristo, Roma (da Vincenzo Pacelli, Gianluca Forgione (a cura di), CARAVAGGIO. Tra Arte e Scienza, Paparo Editori, Napoli 2013)

ma ad essere sincera anche con quella di Dublino qualche problema ce l’ho, anche se la provenienza è stata documentata e quindi dovrebbe essere l’originale (magari compromesso da un restauro);

Cattura di Cristo, Dublino, National Gallery of Ireland

sarebbe necessario per sciogliere ogni dilemma che il quadro fosse sottoposto ad indagini diagnostiche con i moderni mezzi tecnologici oggi a disposizione che a suo tempo ancora non erano fruibili, ma torno a dire che in casi come questo dovremmo avere a disposizione più dati scientifici e raccogliere tutti i materiali disponibili: documenti, pareri degli esperti, provenienze, pubblicazioni e così via, insomma un vero database.

Allora sei d’accordo con Anna Coliva che proprio a questo riguardo sta operando alla Galleria Borghese?

R: Certo che sono d’accordo; fammi dire però che nonostante quanto la Direttrice della Borghese ha dichiarato nella tua intervista circa la collaborazione con l’Hertziana, in realtà è ormai più di un anno e mezzo che non riusciamo a stabilire con lei un qualche colloquio e che cerchiamo vanamente di contattarla. Inoltre loro mi pare che alla Borghese si vogliono muovere solo su Caravaggio e non sul contesto e sui caravaggeschi cosa che, come ti dicevo, non ha secondo me molto senso.

Però la precedente domanda sui Mattei in realtà portava conseguentemente il discorso su un tema, quello delle repliche, delle copie, dei doppi, che da tempo attraversa l’universo degli studi caravaggeschi, risultando peraltro molto divisivo tra chi è propenso a crederci e chi ribadisce, sulla scia di Roberto Longhi, che non fosse possibile che Caravaggio potesse riproporre le sue invenzioni una seconda volta. Quale è la tua posizione al riguardo?

R: No, personalmente sono del parere che Caravaggio non fosse capace di replicarsi, di riprodurre alla lettera due versioni di un’opera senza operare cambiamenti, pensa alle due versioni della Buona Ventura; d’altra parte rifletto su me stessa: non sono una pittrice, ma non riuscirei a ripetere una relazione senza cambiare qualcosa.

E allora però come giudichi questa storia dei ‘doppi’ di Caravaggio? Pensiamo al Ragazzo morso dal ramarro, o ai due San Francesco in meditazione sulla morte, sui quali il parere degli studiosi, nonostante anni di ricerche e di analisi, ancora è estremamente contrastato.

R: Come la giudico mi chiedi? La giudico come una possibilità, non come una certezza.

-Anche di fronte alle incisioni, ai pentimenti, alle dimostrazioni diagnostiche …?

R: Intanto cominciamo col dire che anche i copisti potevano fare i pentimenti, inoltre le immagini diagnostiche vanno interpretate e non è detto che tutti siano in grado di farlo, ad esempio noi storici dell’arte ne siamo davvero capaci? Forse magari adesso Rossella Vodret … Ma per parlare dei quadri che hai citato, del San Francesco che si trova nel museo della chiesa di Santa Maria della Concezione e che a suo tempo venne creduto essere originale, ho sempre pensato che fosse troppo ‘bello’, al punto che potesse essere opera di un artista veramente grande.

Chi, ad esempio? Da parte di alcuni si è ritenuto opera di Bartolomeo Manfredi.

R: Secondo me potrebbe quasi essere di Orazio Gentileschi, e credo che, soprattutto dopo le indagini diagnostiche condotte dalla Vodret, l’originale sia quello ora a Palazzo Barberini. Mi dici che in un volume appena pubblicato (Originali Repliche Copie. Uno sguardo diverso sui grandi maestri) per i tipi della Ugo Bozzi editore Giacomo Berra ne ha classificati ben nove di importanza e qualità differenti? Vedremo, se ci sono novità ne prenderemo atto.

Come credi possano convivere, diciamo così, nell’analisi di un dipinto, l’importanza della visione dal vivo, la ricerca d’archivio, lo studio delle fonti, con la tecnologia sempre più in grado di penetrare nei segreti dei quadri?

R: Occorre avere ben presente che l’indagine diagnostica non è una nuova ‘corrente’ della storia dell’arte, ma che resta uno strumento a sua disposizione; sono i tecnici a mio avviso che devono avere –e in buona parte già ce l’hanno- una solida preparazione storico artistica, il che consente loro di capire perfettamente quali sono i limiti dell’indagine scientifica; io sono letteralmente affascinata dal modo di lavorare di Caravaggio ed ogni sviluppo in tal senso non può che interessarmi, mi piace vedere le novità che emergono su come realizzava i suoi lavori, capire cosa s’intende per disegno nella composizione di un suo quadro in senso diverso, come dicevamo prima, rispetto al modello tradizionale, accademico; penso che il  modello davanti gli serviva semmai in una fase di studio …

Ecco, a questo riguardo cosa ne pensi delle tesi sostenute in particolare da Clovis Whitfield e Roberta Lapucci (cfr About Art ….) sull’uso di strumenti ottici, camera oscura, specchi parabolici, nella realizzazione delle sue opere?

R: No, non sono d’accordo neanche un po’. Ma come si fa a credere che un artista professionale come Caravaggio potesse servirsi di macchinari così ingombranti e scomodi, che peraltro producono risultati incerti? Se un artista come Caravaggio ha un’idea formata in testa la realizza e non si affida certo al sussidio delle varie apparecchiature. D’altra parte, dopo aver studiato un modello, come si faceva nell’Accademia dei Carracci, o dal Peterzano, si sa bene come riprodurlo: insomma, si sa che una testa è tonda, non c’è mica bisogno di una proiezione da una scatola!

Tra le ultime notizie che riguardano Caravaggio uscite dagli archivi, c’è questa -raccolta nelle Vite di Gaspare Celio riemerse grazie a Riccardo Gandolfi- che, riportata dal Mancini in modo peraltro piuttosto oscuro ed incompleto, confermerebbe l’omicidio commesso dal Merisi a Milano, cosa che lo avrebbe spinto a venire a Roma.

R: Beh questo è quello che sostiene Gandolfi perché lo scrive Celio ed è in effetti quanto scrisse il Mancini in un appunto in margine; ma c’è una grossa differenza tra Celio, nemico di Caravaggio, e Mancini, che è un medico, uno scienziato, e non se ne serve, come invece sembra fare l’altro magari per mettere in cattiva luce un rivale ormai scomparso. Ovvio che la voce messa in giro a bella posta poteva anche avere una certa credibilità considerando che Caravaggio un uomo, il Tomassoni, lo aveva ucciso davvero; ma occorre considerare a questo proposito che si tratta di una morte seguita ad una rissa sanguinosa, nel corso della quale poteva lasciarci la pelle lo stesso Caravaggio, quindi non è da  ritenersi intenzionale a mio parere.

In effetti, è lo stesso discorso che avanza don Sandro Corradini che, alla luce dei suoi ritrovamenti archivistici, sostiene che Caravaggio fu oggetto di un aggressione organizzata dai Tomassoni, e non per una scommessa al gioco o per un punto conteso alla pallacorda.

R: Anch’io ne sono convinta e credo che Corradini abbia ragione.

Per avviarci alla conclusione di questa conversazione, ti chiedo come giudichi dal tuo punto di vista di studiosa del Caravaggio, cui hai dedicato molte ricerche e pubblicazioni, il fatto che sembrano essere sempre più numerosi i collezionisti che reclamano il possesso di un suo dipinto, potendo valersi del fatto che su alcuni grava ancora qualche incertezza.

R: Cosa ti devo dire? Certo che pensare di poter avere a disposizione qualche cosa che vale 100 milioni di euro è quanto meno stimolante. Personalmente ricevo spesso immagini da parte di collezionisti che non so dire se credono o sperano di avere tra le mani l’originale di quel certo dipinto di Caravaggio ancora inedito, o di quell’altro discusso dalla critica, ma non mi faccio tanti problemi: quasi sempre si tratta di copie senza importanza e non ho neppure bisogno di vedere il quadro dal vivo perrendersene conto; io sono sempre stata ben lontana da ogni coinvolgimento col mercato e quindi smonto subito qualsiasi falsa aspettativa; sono stati rarissimi finora i casi in cui ho pensato di poter approfondire il discorso, ma senza mai credere di poter fare la clamorosa scoperta. Tra l’altro non bisogna dimenticare che allora i copisti erano molti e in qualche caso anche bravi, alcuni di talento, basta pensare a Caroselli che univa talento e versatilità, capaci di misurarsi con una varietà di modelli e quindi in possesso di notevole capacità mimetica, tanto che ancor oggi è difficile identificare.

Un’ultima domanda la faccio sul tuo prossimo futuro ora che non devi pensare più alla conduzione dell’Hertziana.

R: Sto preparando una grande mostra sull’origine della natura morta europea che si terrà negli Stati Uniti, precisamente alla National Gallery di Washington, nel 2020. Si tratta di un grosso impegno, perché ho intenzione di mettere a confronto, per la prima volta, nelle stesse sale, le prime opere di natura morta elaborate in Italia, Spagna, Francia, Fiandre ecc, per capire cosa possa aver rappresentato la mobilità degli artisti in quegli anni e delle loro opere, come e perché possano essersi determinate influenze e le suggestioni reciproche.

Allora ne approfitto per sapere, in tema di natura morta, che ne pensi del cosiddetto Maestro di Hartford, chi può celarsi dietro questo nick name?

R: Credo che il gruppo di quadri dati al Maestro di Hartford non siano di  un solo maestro; penso a Prospero Orsi per il quadro di Hartford ma non per gli altri quadri; anche per uno di quelli della Borghese penso ad Orsi, ma non per quello con gli uccelli ad esempio che, secondo me, potrebbe anche essere di mano nordica.

-Non credi che in questo caso ci sia la mano anche del giovane Caravaggio come sostenuto da Zeri, Marini ed altri?

R: No, secondo me non è dello stesso maestro e neppure ci vedo in qualche passaggio la mano di un Caravaggio sia pure in versione giovanile.

P d L     Roma aprile 2018