Strati di memoria: arte e suolo alla FAO, tra celebrazione e consapevolezza, con la performance dell’artista Silvio Coiante

di Giusy EMILIANO

Nell’ambito della tredicesima Assemblea Plenaria del Global Soil Partnership, tenutasi dal 3 al 5 giugno presso il quartier generale della FAO a Roma, si è celebrato l’80º anniversario dell’Organizzazione con un’esposizione allestita nell’Atrio, intitolata A Legacy of Land and Soil Action for a Food Secure and Resilient Tomorrow.

L’evento, che ha riunito esperti, rappresentanti istituzionali e studiosi da tutto il mondo, ha posto al centro del dibattito la tutela del suolo come fondamento della sicurezza alimentare e della resilienza climatica.

La mostra è stata concepita come un’esperienza immersiva e multisensoriale: un globo di due metri e mezzo di diametro, avvolto in un tessuto trasparente, simboleggiava la fragilità e la preziosità dello strato di suolo. Cinque strutture cilindriche disposte intorno al globo illustravano, decade dopo decade, le principali tappe della storia della FAO nella gestione sostenibile del suolo e dei territori agricoli. In una sezione laterale, un’installazione a forma di clessidra mostrava su due schermi comunicanti la lenta caduta del suolo, accompagnata dalla scritta animata: “80 years to form 1 millimeter of soil”.

Al centro della mostra, a rappresentarne l’approccio artistico e poetico, l’intervento dell’artista Silvio Coiante, che a cura di Giuy Emiliano, il 3 giugno ha trasformato l’evento tecnico-scientifico in un’occasione di riflessione estetica, politica e filosofica. Con una performance dal vivo realizzata accanto al globo centrale, Coiante ha dato vita a un’opera site-specific come testimonianza dell’incontro tra arte e scienza, gesto e pensiero.

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Durante la performance, l’artista ha progressivamente rimosso a mano sette strati di carta colorata applicati uno sull’altro.

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Il gesto, delicato e controllato, ha generato degli scarti simili a trucioli di legno, che – cadendo sul pavimento di marmo – hanno creato una doppia cornice naturale e cromatica. L’immagine, come sedimentazione, si rivelava lentamente, restituendo al pubblico una figura femminile arcaica, inginocchiata su un globo agricolo verde. Lo sguardo della donna appariva assorto con tra le mani una spiga di grano evocando l’archetipo della Dea dell’Agricoltura, simbolo ancestrale di fertilità, cura e rinnovamento.


Il gesto artistico, lento ed essenziale, ha catalizzato lo sguardo del pubblico internazionale, generando una sospensione emotiva che ha reso visibile e tangibile il passaggio tra materia e memoria. L’opera si è manifestata strato dopo strato, come un terreno che restituisce a un archeologo una sezione geologica di un tempo passato, ma ancora presente.

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L’opera di Coiante non è solo un atto estetico, ma un’azione di recupero di senso attraverso lo scarto. Le carte strappate, incollate e sovrapposte – secondo la tecnica del papier collé – diventano residui di un processo umano, tracce di una storia che si rifiuta di scomparire. Come scrive Guido Viale in Un mondo usa e getta

“i rifiuti costituiscono un vero e proprio mondo, simmetrico a quello delle merci”.

In questo mondo parallelo, che vive ai margini della visibilità, si annidano le verità scomode della nostra civiltà: il ritmo insostenibile del consumo, la rimozione sistematica di ciò che non serve più, l’espulsione del non conforme.

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In quest’ottica, l’atto dell’artista che raccoglie, conserva e rielabora lo scarto diventa rito contemporaneo: un gesto che sottrae alla distruzione, opponendo lentezza all’immediatezza, riflessione al consumo. Il rifiuto si fa materia poetica, frammento da cui partire per immaginare nuove prospettive.

Questo gesto ha un valore non solo individuale, ma profondamente sociale: è il risultato di un contratto implicito tra gli uomini, una narrazione condivisa che contribuisce a definire la nostra identità collettiva. La performance diventa così atto simbolico e contro-narrativo, portatrice di un’opera che incorpora quel tessuto invisibile, ma determinante, che è la storia — trascinando l’emozione da astratta a concreta.
In un tempo in cui l’immagine è inflazionata e la narrazione visiva spesso priva di profondità, Coiante recupera un linguaggio archetipico e stratificato, dove il gesto è scrittura e il colore è pensiero.

Come scrive Maurice Merleau-Ponty: “Ogni forma è la traccia di un gesto”: e qui il gesto artistico diventa un modo per dare corpo a ciò che è effimero, per rendere tangibile l’emozione, trasformandola da intuizione teorica a forma visibile, condivisibile, reale. Cristallizzare un concetto attraverso un’immagine o una combinazione di colori non è solo un’operazione estetica: è un atto di comprensione profonda, in cui l’astratto si fa umano, e il pensiero incontra la pelle del mondo.

Nel contesto dell’80º anniversario della FAO, questa performance non è stata una semplice celebrazione, ma un’occasione per ridefinire il rapporto tra memoria, futuro e responsabilità collettiva. Il suolo, come la carta, è fragile. Ma in quella fragilità si annida anche la forza della rigenerazione, della narrazione, della cura.

L’opera di Coiante, come la mostra che l’ha ospitata, non solo racconta ottant’anni di impegno per la terra: ci invita a immaginare i prossimi ottanta — con la consapevolezza che, per prendersi cura del mondo, dobbiamo prima imparare a leggerne gli strati.

Giusy EMILIANO  Roma 8 Giugno 2025