di Francesco PETRUCCI
Tra le numerose testimonianze artistiche e storico-documentarie custodite nel palazzo ducale di Ariccia che rammentano i fasti della famiglia Chigi, una piccola sezione riguarda l’alta carica di Maresciallo perpetuo di Santa Romana Chiesa e Custode del Conclave, la più prestigiosa e vetusta dignità laica dello Stato Pontificio.[1]
Singolarmente lo stesso immobile era stato in precedenza proprietà della famiglia Savelli, Marescialli prima dei Chigi, che ne avevano avviato l’ampliamento nella seconda metà del ‘500, tanto che la dimora potrebbe essere definita il “Palazzo dei Marescialli del Conclave”.[2]
I Chigi ottennero il privilegio del maresciallato da Clemente XI (1700-1721) nel 1712, conservandolo ereditariamente, attraverso periodiche conferme, sino alla soppressione di tale istituto decretata da Paolo VI il 14 settembre 1970.[3]
Sebbene la figura del Domini pape marescallus compaia già in documenti del XII secolo con funzioni di carattere militare e diplomatico, cui si aggiunsero poi prerogative giudiziarie, soltanto dalla metà del ‘400 risulta essere connessa alla sede vacante e al relativo conclave.[4]
Il primo Maresciallo documentato fu Giacomo Conti (dal 1198), comandante delle milizie papali investito da Innocenzo III (1198-1216), ma l’ambita carica passò poi a membri di casate illustri come gli Orsini, i Colonna e i Caracciolo.
Il titolo fu appannaggio esclusivo dei Savelli a partire dal 1430, quando venne conferito a Battista Savelli da Martino V (1417-1431), sebbene la casata romana ne rivendicasse il privilegio anteriore in base ad un bolla apocrifa del 1352 riferibile alla cattività avignonese. I Savelli venivano così a detenere in virtù del maresciallato anche il prestigio e il cospicuo privilegio economico della “Corte o Curia Savella”, con giurisdizione sui delitti minori.
Dopo la morte di Niccolò V (1447-1455), per la prima volta è citato come “marescallo de la chiesa” Pandolfo Savelli, cui è affidata la custodia del conclave con sei vescovi e sei laici, come ricorda una lettera a Francesco Sforza del 4 aprile 1455. Tuttavia i documenti successivi tacciono e soltanto nel 1585 è nuovamente tirato in causa il Maresciallo nella figura di Bernardino Savelli, in un conto che riguarda le truppe da lui arruolate “in tutelam et securitatem Conclavis”.
Dopo tale data la custodia del conclave rimase prerogativa esclusiva del Maresciallo di Santa Romana Chiesa e dal 1652 con Innocenzo X (1644-1655) la sua unica, per la soppressione di tutti gli altri privilegi precedenti, compresa la controversa Corte Savella.[5]
Sebbene Giulio Savelli (1626-1712) dopo la morte prematura del figlio Bernardino nel 1672 avesse chiesto al papa di poter
“nominare per successore immediato nelle dette cariche di Maresciallo perpetuo di S. Chiesa e Custode del conclave l’herede che dal supplicante si sceglierà dentro il quarto grado de’ suoi congiunti”,
a seguito della sua morte e dell’estinzione della casata (5 marzo 1712), papa Clemente XI accolse la supplica di Agusto Chigi (1662-1744) nominandolo a vita Maresciallo di Santa Romana Chiesa e Custode del Conclave con breve del 23 marzo 1712.[6]


Tutti i papi successivi con specifiche brevi di nomina hanno confermato al primogenito di casa Chigi la prestigiosa dignità, anche dopo la destituzione di Sigismondo Chigi, condannato nel 1791 all’esilio per presunto tentato veneficio nei confronti del cardinal Filippo Carandini, prefetto della Congregazione del Buon Governo.
Ricordiamo che il Chigi, intellettuale illuminista con posizioni vicine agli enciclopedisti francesi, introdusse l’Arciduca d’Austria in Conclave e scrisse un libello satirico sugli intrighi politici che portarono all’elezione di Pio VI Braschi (1775), destando enorme scandalo per il suo ruolo.[7]
Il figlio Agostino III, rintegrato nelle cariche e nel possesso dei beni pecedentemente confiscati al padre, si vide nella necessità di svolgere il suo ufficio a Venezia, nel conclave che il 1° dicembre 1799 portò alla elezione di Pio VII (1800-1823).

Unico principe di casa Chigi a non esercitare mai la sua funzione fu Sigismondo II (1798-1877), essendo premorto a Pio IX (1846-1878) che pur gli aveva confermato la dignità del maresciallato.
Augusto Chigi esercitò la carica nel 1721, 1724, 1730, 1740, Agostino II (1710-1769) nel 1758, 1769, Sigismondo (1736-1793) nel 1774, Agostino III (1768-1855) nel 1799, 1823, 1829, 1830, 1846, Mario Chigi (1832-1914) nel 1878, 1903, 1914, Ludovico (1866-1951) nel 1922, 1939, Sigismondo (1894-1982) nel 1958 ed infine nel 1963.
Bisogna specificare che Mario II Chigi per il conclave del 1914 fu costretto dalle precarie condizioni di salute a servirsi dell’aiuto del figlio Ludovico, come testimonia una lettera-lascia passare nei suoi confronti, conservata nell’archivio del Palazzo di Ariccia.

Varie relazioni ufficiali dei marescialli a partire dal 1644 sono conservate nell’archivio Chigi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, utili per comprendere lo svolgimento delle sue effettive funzioni (Codd. Chigiani, R II, 67, 3-4.).

Tuttavia soltanto con la costituzione Vacantis Apostolicae Sedis di Pio XII dell’8 dicembre 1945 abbiamo un riferimento giuridico al ruolo di Maresciallo del Conclave, tirato in causa per il giuramento e la chiusura delle porte di accesso al Conclave (Acta Apostolicae Sedis, 38, 1946, pp. 65-99).
Il complesso cerimoniale che seguiva la morte del pontefice investiva la figura del Maresciallo in vari momenti, secondo un rigoroso protocollo: posizionarie la guardia armata all’ingresso del Palazzo Apostolico per tutta la durata del Conclave; nominare i quattro “Capitani delle rote”; arruolare la milizia per la custodia del recinto del conclave; disporre il conio di medaglie in argento, bronzo e piombo che fungevano da lasciapassare; prendere possesso come sua residenza di un appartamento in Vaticano a fianco della Sala Regia ove innalzava la propria bandiera; inviare un gentiluomo presso i vari ambasciatori esteri mettendosi a disposizione per ogni necessità; prestare giuramento nella Cappella Sistina dinanzi al Cardinale Decano; andare a porgere il proprio saluto ai cardinali prima del Conclave.

Dopo la consegna delle tre chiavi da parte del Cardinale Camerlengo, il Maresciallo chiudeva la Cappella Sistina generalmente a notte fonda. Quando era imminente l’elezione del pontefice informava il Vicecastellano di Castel Sant’Angelo di prepararsi a sparare i colpi di cannone per avvertire la popolazione; appena ricevuta la notizia faceva smurare l’accesso alla scala che portava alla Loggia ove sarebbe avvenuto il pubblico annuncio dell’Habenus Papam. Rendeva quindi omaggio al nuovo pontefice, cessando così il proprio compito.

Le truppe del Maresciallo erano composte di circa cinquecento uomini divisi in quattro compagnie; Augusto Chigi decise di abbigliare la compagnia di leva con una propria divisa turchina con manopole e fodera gialla, mentre le altre erano prive di uniforme.


Il principe Savelli aveva adoperato una propria milizia, arrivando a stanziare nel 1655 “Mille. 200 soldati del Duca Savello p. guardia del Conclave”, come recita la didascalia di una vecchia incisione. Tuttavia dal 1730 Clemente XII Corsini mise a disposizione del Maresciallo le truppe pontificie.
A riguardo, alla esauriente trattazione di Del Re possiamo aggiungere alcune interessanti notizie fornite dallo storico ariccino Emmanuele Lucidi nel 1796:
“Siccome i principi Savelli ebbero per molto tempo la luminosa carica di maresciallo perpetuto di S. Chiesa, e custode del conclave, per cui in tempo di Sede vacante obbligati erano ad arrolare molti soldati; servivansi perciò della milizia dell’Ariccia, a cui avevano data a quest’effetto la medesima divisa di quella del maresciallo, e custode del conclave: ond’è, che in questa milizia, secondo la testimonianza del P. Coronelli, si vide un grande sfarzo, allochè stava in funzione.
Essendosi estinta la famiglia Savelli nell’anno 1704 per morte dell’ultimo principe Gulio, il Sommo Pontefice Clemente XI giusto estimatore del merito conferì la carica di maresciallo e custode del conclave al principe D. Agostino Chigi, il quale ne’ primi due susseguenti conclavi si servì parimente della milizia Aricina: ma avendo dopo l’anno 1730 ottenuto dalla R. Camera Apostolica la facoltà di potersi servire della soldatesca pontificia, rimase priva la milizia Aricina della divisa: ed in seguito andò in tale decadenza, che ora, eccettuati gli officiali maggiori, ogni soldato veste a suo piacimento: un solo capitano la comanda: la compagnia a cavallo è ridotta a piccol numero: e le armi, quali ogni individuo deve da sé stesso provvedersi, sono tutte disuguali, quandochè a’ tempi antichi gli alabardieri aveano le armi ugali, e uguali erano gli schioppi, che ancora si conservano nell’armeria dell’Ariccia, de’ quali però non si fa uso per essere fabbricati all’uso antico dandovisi fuoco col miccio […] Hanno continuato però i principi Chigi in occasione de’ conclavi a scegliere tra i 4 capitani, che assistono alle ruote del conclave, il capitano della milizia Aricina, come’è accaduto negli ultimi due conclavi”.[8]
Attraverso i ritratti è possibile seguire l’evoluzione dell’abito di Maresciallo del Conclave, costituita nel ‘700 da una armatura da generale, come dimostrano i ritratti di Augusto Chigi e del figlio Agostino II.


Viene così ad essere rivendicato il ruolo tradizionale legato alla funzione del Maresciallo, quello militare di condottiero. Il volto di Giulio Savelli è forse riconoscibile in un ritratto eseguito da Jacob Ferdinand Voet, che lo mostra sempre in armatura e jabot, con il collare del Toson d’Oro (collezione privata).[9]
Sigismondo Chigi, di cui è noto l’atteggiamento filo-illuminista e anticlericale che gli valse l’esilio a Padova, è tuttavia sempre raffigurato nei suoi ritratti in abito civile.[10]
Tuttavia dall’800 la veste era quella di “principe romano”, costituita da casacca di velluto nero, camicia di pizzo bianco, jabot, panciotto e calzoni in raso nero, gonnellino, calze in seta nera, scarpe nere con fibbia, cappello a feluca con coccarda pontificia, spada con elsa d’argento.


Una stampa pubblicata sotto il pontificato di Gregorio XV mostra tale veste, visibile anche nelle fotografie tra fine ‘800 e ‘900 raffiguranti i principi Mario e Ludovico Chigi in occasione di alcuni conclavi.
La veste di Maresciallo e una bandiera di Sede Vacante sono state donata da Francesca Chigi al Museo Storico Vaticano del Palazzo Lateranense, ma oggi si trovano nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.[11]


Nell’avita dimora di Ariccia si conservano vari mazzi di chiavi di accesso alla Cappella Sistina e agli ambienti limitrofi al Conclave; sacchette di velluto rosso per tenerle; coni per le medaglie del Maresciallo e numerose medaglie in bronzo fuse in occasione degli ultimi conclavi; stendardi di tela dipinta con lo stemma Chigi della Rovere da applicare sulle bandiere bianche del Maresciallo esposte in Vaticano (XVIII sec., ove i simboli araldici delle consorti, posizionati sulla destra, venivano di volta in volta aggiornati); la bandiera vaticana collocata durante la sede vacante sul balcone del Palazzo Chigi di piazza Colonna; fotografie relative a Conclavi della prima metà del Novecento (laboratorio fotografico Felici), documenti e memorie varie.

Alcune panche in legno dipinto rosso databili attorno al 1630 circa sono relative alla fase Savelli e si riferiscono proprio al Maresciallo Bernardino Savelli (1604 – 1658) come riporta l’iscrizione su una di esse: “BERNARDINVS SABELLVS ALBANI PRINCEPS S.R.E. MARESCALLVS”.

Tra le tante curiosità lo stringato telegramma di Ludovico Chigi in data 3 novembre 1914 alla ultracentenaria nonna materna Leonilla Bariatinsky Principessa Sayn-Wittgenstein, ove comunica in anteprima l’avvenuta elezione papale: “BENEDETTO XV”.[12]
Lo stretto legame tra i Chigi e i pontefici, documentato nelle raccolte del Palazzo di Ariccia da ricordi, piccoli cimeli, foto con dedica, è emblematicamente espresso da una toccante lettera scritta di suo pugno il 2 novembre 1914 da Benedetto XV al principe Mario Chigi Albani della Rovere, a soli due mesi dalla sua elezione e due giorni prima della scomparsa del vecchio gentiluomo:
“Carissimo Principe,
Abbiamo saputo con molto dispiacere che in questi giorni si sono aggravate le sue sofferenze. Perciò non indugiamo a dirle che più ardenti sono i voti che facciamo per la sua guarigione. Confidiamo assai nella robustezza della sua fibra; nondimeno La raccomandiamo caldamente al Medico di tutti i medici, e da Lui invochiamo per Lei quegli aiuti e quelle grazie delle quali vogliamo sia pegno la benedizione apostolica che Le impartiamo sinora mentre Ci professiamo
Suo aff.mo
Benedictus PP. XV
Dal Vaticano 2 novembre 1914”.[13]
Particolarmente toccante la proclamazione ufficiale di Pio XI, registrata dal principe Ludovico Chigi Albani della Rovere nel suo diario, soprattutto perché per la prima volta dopo 52 anni un papa tornava ad affacciarsi verso piazza San Pietro, l’ultimo era stato Pio IX nel 1870.
Dopo la sua morte nel 1878, i papi successivi avevano rifiutato di rivolgersi verso Roma in segno di protesta nei confronti del nuovo Stato Italiano, considerato usurpatore del millenario Stato Pontificio, affacciandosi dalla loggia interna della Basilica Vaticana.

Il principe riporta:
“L’affluenza del pubblico sulla piazza di S. Pietro per assistere alla sfumata, fu immensa. E così nell’ultima mattinata malgrado il cielo grigio e piovigginoso. Erano ben suonate le undici e non appariva il solito fumo.
La folla fremeva e si accalcava nei pressi della Basilica, quando si vide spalancare il finestrone centrale della facciata di S. Pietro e apparire il Cardinale Primo Diacono, preceduto dalla Croce, scoppiò in un applauso formidabile. Fattosi finalmente silenzio, si udirono distintamente le prime parole del Cardinale. Ma appena egli ebbe pronunciato il nome dell’Eletto: Achille, l’uragano delle acclamazioni coprì la sua voce. Dovette passare qualche minuto prima che fosse possibile sentire proclamare il nome, che il nuovo Papa, Pio XI°, aveva scelto.

Fra l’agitazione, i clamori e lo squillo dei campanelli, io fui chiamato alla ruota del Segretario del Conclave, Monsignore Sincero, il quale mi annunciò che il nuovo Papa avrebbe benedetto il popolo dalla loggia esterna della Basilica, e che quindi provvedessi a far sgombrare e chiudere la Chiesa per evitare urti e trambusti fra la folla, che vi si precipitava, nella persuasione che il Papa avrebbe seguito l’esempio dei suoi predecessori, Leone XIII°, Pio X°, e Benedetto XV°, dando la Benedizione nell’interno della Chiesa.
Mi sentii soffocare dall’emozione e senza indugio impartii gli ordini ai gendarmi e a tutto il personale. Al primo momento, nessuno voleva credermi, tanto era la gioja dei più, lo sbigottimento di altri.
Si sentiva che un’era novella si apriva, ed io provai una delle più grandi e dolci emozioni della mia vita.
Ci volle del tempo perché si ristabilisse la calma e perché il popolo, che ondeggiava fra la piazza e la Chiesa, si persuadesse di quanto stava per verificarsi. Il drappo che pendeva dalla loggia dal momento della proclamazione, non era stato ritirato, come era accaduto nelle elezioni precedenti; e ciò persuase gli ultimi increduli, che il Papa avrebbe dato la Benedizione sulla piazza.
Un effetto nuovo, insolito, fece l’apparizione delle Guardie Nobili in uniforme e lo schieramento della Guardia Palatina sulla terrazza sopra il colonnato. Ma che dire del momento in cui Pio XI° apparve sulla loggia?! Ebbi l’impressione che il mondo intero fosse scosso da una corrente elettrica potentissima dall’uno all’altro polo. Tutti caddero in ginocchio, e chi singhiozzando, chi agitando braccia, chi il cappello e fazzoletto, chi gridando a perdifiato, esprimeva la sua gioja. Alla fanfara delle truppe italiane schierate avanti alla gradinata della Basilica, rispose l’inno pontificio suonato dalla banda dei Palatini.
Credo non aver mai assistito a spettacolo più imponente e commovente, e in cuor mio compativo coloro, a cui era dato di assistervi. Mi veniva spontaneo al labbro il cantico Nunc Dimittis del vecchio Simeone.
Qualunque dovesse essere lo svolgersi degli avvenimenti nel seguito, s’intuiva che il nuovo Papa era risoluto, coraggioso e conciliante. Da solo, senza esitazione, senza chieder consiglio, aveva rotto gli indugi, che avevano oppresso e paralizzato tre suoi predecessori. Erano 52 anni che i Romani non vedevano più il Papa in pubblico, coram populo”.[14]


22 Laboratorio Felici, Conclave del 1939: il principe Ludovico Chigi Maresciallo del Conclave con il suo seguito, nel cortile del Pappagallo. Ariccia, Palazzo Chigi, archivio fotografico: 23 Laboratorio Felici, Conclave del 1939: Cappella Sistina allestita per l’elezione papale. Ariccia, Palazzo Chigi, archivio fotografico
22 Laboratorio Felici, Conclave del 1939: Cappella Sistina allestita per l’elezione papale. Ariccia, Palazzo Chigi, archivio fotografico; 23 Laboratorio Felici, Messa nella Basilica Vaticana con l’incoronazione di Pio XII (12 marzo 1939). Ariccia, Palazzo Chigi, archivio fotografico

Francesco PETRUCCI Roma 8 Maggio 2025
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Nella immagine guida Laboratorio Felici,Sigismondo Chigi Maresciallo del Conclave mentre firma documenti sulla chiusura delle votazioni del Conclave del 1963. Ariccia, Palazzo Chigi, archivio fotografico
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