di Nica FIORI
Il 13 dicembre del 1521 nasceva a Grottammare (Ascoli Piceno) Felice Peretti, che sarebbe diventato papa con il nome di Sisto V.
Se a Grottammare e nella vicina Montalto (borgo di origine della sua famiglia) è stato festeggiato con diverse iniziative il cinquecentenario della nascita, e ricordato anche in un filmato web dove Ivano Marescotti presta il volto al papa, Roma sembra per ora non aver dato grande rilevanza a questa ricorrenza, eppure si tratta di un pontefice che ha segnato come pochi altri l’architettura dell‘Urbe, tanto che si usa il termine di “Roma sistina” per indicare un’area della città caratterizzata da lunghi rettilinei e obelischi.
Frate francescano, teologo, predicatore, insegnante, inquisitore, vescovo, vicario generale del suo Ordine, cardinale: questa la carriera ecclesiastica che culminò con l’elezione a papa nel 1585 e a compiere in soli cinque anni di pontificato (1585-1590) una serie di riforme della Chiesa con una determinazione proverbiale, tanto che Giuseppe Gioachino Belli lo definì “Er papa tosto”, alludendo al suo carattere imperioso. Fissò a 70 il numero massimo dei cardinali (numero che rimase invariato fino a Giovanni XXIII), represse con la forza il crimine e il banditismo, portò ad attuazione i decreti emanati dal Concilio di Trento e fece revisionare la Vulgata (la Bibbia in latino). Fu grazie alla sua forza di carattere che Sisto V riuscì anche a cambiare radicalmente l’aspetto di Roma.
Appena eletto papa, Felice Peretti si trovò di fronte un villaggio caotico e affollato con vicoli fangosi e estremamente tortuosi. Non era certo questa l’immagine che egli voleva per la caput mundi: decise pertanto di intraprendere una vera e propria riforma urbanistica. Per far ciò, si avvalse del suo architetto preferito, Domenico Fontana (1543-1607), che aveva già eretto la villa Peretti (non più esistente) nell’area dell’attuale piazza dei Cinquecento.
L’architetto cancellò l’impostazione di stampo medioevale per creare grandi assi viari (tra cui la via Felice, poi Sistina), che puntano verso fondali di facciate, cupole, obelischi, aprendo idealmente la strada ai piani urbanistici delle capitali europee dell’età barocca, dalla Parigi di Luigi XIV a Londra o Berlino.
È stato sostenuto più volte che la Roma sistina sarebbe la prima città moderna d’Europa, anche se non tutti gli storici sembrano d’accordo sull’organicità di un “piano regolatore”, ambizioso ma realizzato soltanto in parte. I rettifili, gli snodi viari a stella e a tridente, le cupole, le colonne e gli obelischi diventano comunque i segni distintivi di quella che Giulio Carlo Argan ha definito “l’Europa delle capitali”.
Il Fontana, ex stuccatore, era originario di Melide, sul lago di Lugano. La sua fama di creatore della “nuova” Roma iniziò con un’impresa memorabile, l’innalzamento dell’obelisco in piazza San Pietro nel 1586. Il lavoro era stato giudicato impossibile da Michelangelo, ma Domenico Fontana, servendosi di 800 uomini, 140 cavalli e 40 argani, mise in evidenza le sue indubbie capacità tecniche.
L’obelisco si trovava nel circo di Nerone e proveniva da Eliopoli. Nel Medioevo si riteneva che segnasse il luogo dove San Pietro era stato crocifisso e veniva chiamato “Acus Sancti Petri”. Ma l’ago di San Pietro era anche legato al ricordo di Giulio Cesare: si diceva, infatti, che il globo di bronzo sulla cima contenesse le sue ceneri.
Questo simbolo solare egizio assumeva per il pontefice il valore di sostegno della croce di Cristo, secondo il consueto sincretismo pagano-cristiano del Rinascimento. Con questo tipo di operazione, inoltre, Sisto V voleva esaltare il trionfo del papato sulla romanità, recuperando allo stesso tempo la sua grandiosa architettura. Era però necessario esorcizzare il monolito con delle cerimonie e delle formule appropriate, come quella che si legge dal lato che guarda verso la basilica e che tradotta dal latino suona così: “Cristo vince. Cristo regna. Cristo impera. Difenda Cristo il suo popolo da ogni male”.
All’erezione dell’obelisco vaticano seguì quella di altri tre monoliti egizi. Il più alto è quello di piazza del Laterano (ben 32 metri), di granito rosso, proveniente dal circo Massimo e portato a Roma dall’imperatore Costanzo. Una volta si ergeva nel tempio di Amon a Tebe. Quello di fronte a Santa Maria Maggiore proviene dal Mausoleo di Augusto, mentre la guglia di piazza del Popolo, dell’epoca di Ramsete II, fu portata a Roma da Augusto e posta nel circo Massimo.
Sempre seguendo il dettato papale di esorcizzare il paganesimo sottomettendo i suoi monumenti alla Croce, Domenico Fontana innalzò le statue di San Pietro e San Paolo sulle gigantesche colonne onorarie di Traiano e di Marco Aurelio, aiutato dal fratello Giovanni e dal nipote Carlo Maderno. Il suo nome è legato anche alla costruzione di importanti palazzi papali, come il Lateranense e il Quirinale, all’esecuzione della cupola di San Pietro insieme a Giacomo della Porta, e al restauro dell’Acquedotto Felice. Per commemorare quest’evento, che riforniva i romani di abbondante acqua potabile, progettò una fontana monumentale a parete, detta dell’Acqua Felice. Nella nicchia centrale è collocata una grande statua di Mosè, mentre sul davanti dei leoni egizi (ora sostituiti da copie) sembrano alludere all’araldica del pontefice.
Tra gli edifici sistini, merita un approfondimento quello della Scala Santa, perché vi è conservata una presunta memoria della passione di Cristo, alla quale molti pellegrini del Giubileo si accostano con devozione. Un tempo si riteneva che la scala fosse quella del pretorio di Pilato, per la quale passò Cristo tre volte; sarebbe stata portata da Gerusalemme a Roma da quella straordinaria ricercatrice di reliquie che è stata Sant’Elena, cui viene pure attribuito il leggendario ritrovamento della Santa Croce. Ricerche storiche hanno però stabilito che si tratta di una scala secondaria del Patriarchio (l’antico palazzo Lateranense residenza dei pontefici fino all’esilio avignonese), usata nel Medioevo per riti penitenziali ed elargizioni caritatevoli dei pontefici.
Quando Sisto V prese la decisione di distruggere l’antico edificio lateranense per dare un nuovo assetto alla zona, la cappella più importante del Patriarchio, detta “Sancta Sanctorum” per le importanti reliquie che vi sono custodite, venne inglobata dal Fontana nel nuovo edificio (1589). La Scala Santa, che porta ad essa, si trova al centro di altre scale. I suoi 28 gradini di marmo sono rivestiti di legno e ancora oggi vengono simbolicamente saliti in ginocchio, in una sorta di faticosa ascensione spirituale verso Dio.
Per creare una città moderna, Sisto V non si arrestò davanti a niente e più volte il suo piccone distrusse importanti memorie. Forse intuiva di avere poco tempo a disposizione, così andava avanti senza dubbi e ripensamenti, “violento nel distruggere quanto ardente nel costruire”, come scrisse Leopold von Ranke nella sua “Storia dei Papi”.
Dalla sua smania demolitrice non si salvò neppure il celebre Settizonio (un portico a più piani sulle pendici del Palatino), che accoglieva un tempo i visitatori che giungevano dalla via Appia, ma in compenso offrì ai pellegrini della sua epoca una città scenografica e attraente, con monumenti maestosi purificati e rinnovati nel nome di Dio e, ovviamente, del pontefice.
La sua tomba si trova nella basilica di Santa Maria Maggiore, nella grandiosa Cappella Sistina, che egli aveva fatto costruire per la sua famiglia, sempre su progetto di Domenico Fontana.
La cappella è particolarmente interessante perché comprende il primitivo Oratorio del Presepe di Arnolfo di Cambio, sopra il quale si erge lo spettacolare Tabernacolo del SS. Sacramento (datato 1590), forse il più bello tra tutti i tabernacoli romani.
La sua forma richiama la maestosa cappella con alta cupola, sorretta da quattro angeli di bronzo dorato.
Si tratta di un’opera edificata seguendo le norme impartite dal Concilio di Trento, esposte in un testo di San Carlo Borromeo, che prevedevano per i tabernacoli una forma architettonica e l’utilizzo di materiale prezioso e pietre dure. Ricordiamo che questo tempietto è stato realizzato da Ludovico del Duca, allievo di Michelangelo, mentre i quattro angeli sono di Sebastiano Torrigiani.
Sisto V, per quanto duro di carattere, nel suo monumento funebre (opera di Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo) si è fatto raffigurare umilmente in ginocchio, con lo sguardo abbassato verso il SS. Sacramento e il sottostante Oratorio del Presepe, dove erano le reliquie della Grotta di Betlemme. Le reliquie sono state poi fatte spostare da Pio IX (1846-1878) sotto l’altare maggiore della basilica.
Nica FIORI Roma 13 dicembre 2021