Il “Sipario” di Picasso ? Lo voleva Palma Bucarelli ! Gelosie intrighi e beghe ‘politiche’ nel mancato arrivo alla Gnam del capolavoro di Picasso esposto a Palazzo Barberini

di Mario URSINO

Qualche nota su Parade di Picasso del 1917, e la mancata acquisizione del grande Sipario per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1954*

Nella primavera del 1917 Picasso era in Italia con Diaghilev e con Cocteau a preparare scene e costumi per Parade, che è completamente cubista. Parade ebbe grande successo, fu rappresentata e fu accettata; naturale, a partire dal momento che fu messa in scena, naturalmente fu accettata ”.

Così ha scritto assertivamente e tautologicamente, secondo il suo stile, Gertrude Stein nel suo famoso Picasso, del 1938. In realtà non fu così: la prima rappresentazione di Parade a Parigi, il 18 maggio 1917, al Théâtre du Châtelet, sia pure messa in scena a scopo benefico a favore del Fondo per la Guerra, suscitò negli spettatori scandalo ed indignazione, poiché si era in uno dei momenti più drammatici del primo conflitto mondiale, e quindi, “il pubblico non era propenso alla spensieratezza e alla frivolezza della prima rappresentazione teatrale cubista, in chiave tutta farsesca, come del resto nello spirito del testo di Jean Cocteau”. Ciò è confermato dal recente ritrovamento nel 2016 al Metropolitan Museum di New York di “una serie di documenti legati allo sviluppo concettuale di Parade e alla partecipazione di Picasso al suo concepimento”, scrive Anunciata von Liechtenstein, la curatrice, insieme a Olivier Berggruen, della bella mostra alle Scuderie del Quirinale, Picasso. Tra Cubismo e Classicismo 1915-1925, fino al 21 gennaio 2018.

Parade, nell’accezione comune del termine, vuol dire “scena caricaturale recitata davanti al padiglione per attirare gli spettatori all’interno”. Ma la singolarità di questo spettacolo di avanguardia era il riflesso di quell’idea singolare di Sergej Diaghilev (1872-1929), fondatore della famosa Compagnia dei Balletti Russi, di coniugare la danza, la musica, la scenografia e la coreografia. A Roma Sergej Diaghilev arrivò nell’autunno del 1916, come ricorda lo scrittore svizzero Gilbert Clavel (1883-1927) in una pagina del suo diario tenuto tra il 1909 e il 1916: diario, che insieme ad un gruppo di lettere, Clavel aveva indirizzato al fratello Renè in Svizzera tra il 1909 e il 1927 da Roma, da Capri e da Positano.

fig 1 copertina con ritratto di Clavel 1918 di F. Depero

Di questa documentazione si è avvalso il raffinato studioso Carlo Knight per il suo interessante “romanzo”, La Torre di Clavel del 1999, pubblicato a Capri per le eleganti edizioni de La Cochiglia [fig. 1]. Ecco cosa scrive Clavel il 9 ottobre del 1916 ad Anacapri: “Semenov m’ha raccontato che Diaghilev è arrivato a Roma una decina di giorni fa. Vuole mettere a punto, lontano da occhi indiscreti, il balletto Parade, uno spettacolo con musiche di Eric Satie, regia di Jean Cocteau, scenario e costumi di Picasso”. Clavel a Roma, nel dicembre di quell’anno, scende all’Hôtel de Russie insieme al coreografo-ballerino Léonide Massine (1896-1979). Alla data del 22 febbraio 1917, Clavel scrive dall’ Hôtel de Russie: “Quattro giorni fa sono arrivati nel nostro albergo anche Cocteau e Picasso. Lavoreranno con Diaghilev alle prove di Parade […]. Affidando a Picasso l’incarico di dipingere gli scenari e i costumi, Diaghilev vuole fondere la pittura con la danza e la musica. Un’idea geniale”. Clavel dunque è un testimone diretto delle origini di Parade. Gli studi successivi degli storici dell’arte, da Donald Cooper (1967) a Giovanni Carandente (1981 e 1998) a Valentina Moncada di Paternò (2007), confermano l’originalità della nascita di Parade a Roma nel 1917.

fig 2 Caffè Faraglia Roma Piazza Venezia

Clavel continua a riferire il suo interesse per i Balletti Russi di Diaghilev in quel febbraio  del 1917 a Roma, “freddo e piovoso”, dice: “Trascorro intere giornate sotto terra nel Ridotto Taglioni di Piazza Venezia, un salone da ballo annesso al Caffè Faraglia [fig. 2]. Me ne sto lì sprofondato in una poltrona, ad assistere alle prove dei Balletti Russi […]. In Parade ciascuna coreografia, pur possedendo una propria completezza, serve da introduzione a una scena successiva. Gli apparenti contrasti tra una coreografia e l’altra, creati intenzionalmente per accentuare particolari valori, sono il segno di una vera grande arte”. (Clavel qui anticipa, nel 1917, il parere positivo su Parade di Gertrude Stein nel 1938, come detto più sopra. L’interesse di Clavel per Parade e Picasso lo si legge anche in un suo articolo apparso sulla rivista italiana “Valori Plastici”, I, novembre 1918, dal titolo Picasso e il Cubismo). Lo scrittore svizzero arriva addirittura a chiedersi: “Cosa dirà il pubblico di uno spettacolo così fuori del comune? Come reagiranno i parigini alla «prima»? Applaudiranno? Rimarranno in silenzio? Scateneranno un putiferio?”. Ebbene tutto questo puntualmente si verificò, come si è detto all’inizio di questa nota. L’importanza di questi precoci positivi giudizi su Parade, la prima opera cubista per il teatro di Picasso, la si può riscontrare davvero nell’impeccabile mostra alle Scuderie del Quirinale, di cui hanno già detto bene su questo magazine Giorgia Terrinoni, Eleonora Persichetti e Fabiano Forti Bernini.

Ma restano ancora incertezze sulle origini della lavorazione del Sipario [fig. 3] per Parade, monumentale opera di Picasso, oggi visibile, non alle Scuderie del Quirinale, perché non sufficientemente capienti per esporre il grandioso telero, ma nello splendido Salone di Palazzo Barberini affrescato da Pietro da Cortona [fig. 4].

Sicuramente il bozzetto per il Sipario di Parade, acquerello, cm. 27,3×39,5, Parigi, Museo Picasso [fig. 5], con le altre scene e i costumi, fu elaborato a Roma nello studio che Picasso aveva preso in affitto in Via Margutta, 53b, dal marchese Giuseppe Patrizi (1872-1946), nei famosi “Studi Patrizi”, come recita la targa ivi affissa [fig. 7]) mentre il grande sipario (m. 10,60×17,25) fu verosimilmente realizzato a Parigi

fig 7 Targa degli Studi Patrizi

dall’artista spagnolo coadiuvato dal pittore italiano Carlo Socrate (1889-1967) che già precedentemente aveva lavorato per le scenografie dei balletti di Diaghilev, di cui poco o punto notizie si danno nel catalogo della mostra.

Nel suo testo Picasso a Roma, Milano 2007, la storica dell’arte Valentina Moncada di Paternò, ci informa che “l’opera (il grande Sipario, ndA) fu realizzata a Parigi in poco più di due settimane, su bozzetti realizzati però a Roma”; ciò è confermato già nel precedente studio di Carandente del 1981, Il viaggio in Italia. 17 febbraio 1917, (in Picasso. Opere dal 1875 al 1971 dalla collezione di Marina Picasso per la mostra a Venezia, Palazzo Grassi; cfr. cat. nota 15, p. 56). Sull’iconografia del sipario la Moncada ha scritto: “Picasso dovette ritrovare in alcune riproduzioni delle incisioni della serie Scene popolari di Napoli del pittore della Scuola di Posillipo Achille Vianelli (inizi dell’Ottocento), che ha conservato tra le sue cose: in particolare ce ne è una dal titolo La Taverna che sembrerebbe il riferimento iconografico diretto per la scena del sipario” (cfr. Picasso a Roma, cit. pp.19-20). Al centro della scena si vede un gruppo di attori, che dovrebbero stare invece dietro le quinte, in un momento di pausa prima dell’inizio dello spettacolo. Picasso, nello spirito parodistico dell’opera, li colloca al centro del palco, cosicché disorienta il pubblico che vede agire i giganteschi personaggi del balletto rivestiti di cartapesta, tutti assolutamente cubisti, come il Cavallo, il manager francese e quello americano [fig. 8],

fig 8 Il cavallo il manager francese e il manager americano

creando un notevole contrasto con la classicità del Sipario. Effettivamente i personaggi della Commedia dell’Arte raffigurati da Picasso (con evidente richiamo ai suoi dipinti di soggetti circensi nel “periodo rosa”) sono disposti intorno ad una tavola, similmente alle figure del Vianelli ne La Taverna, tempera su stoffa, Napoli, Museo Nazionale di San Martino [fig. 6], in atteggiamento di riposo; in questo modo appaiono

fig. 6 Taverna di Vianelli

Pierrot, Arlecchino, un Toreador chitarrista, un marinaio francese; si vede inoltre un’apertura sul paesaggio marino tra i due teloni del sipario, dove si profila il Vesuvio fumante. Ci sono poi, a mio avviso, aspetti simbolici di altre figure presenti nel Sipario, come il cavallo alato Pegaso che lecca il puledrino (amor filiale); la ballerina con le ali che qualcuno afferma alludi a Olga Khokhlova (1891-1955) [figg. 9-10] di cui Picasso si era fortemente innamorato in quei giorni, e che poi sposerà a Parigi nel 1918 [fig. 11, n. 3 cat. mostra] nella Cattedrale Ortodossa, poiché lei era di origine russa (testimoni gli amici Jean Cocteau e Max Jacob); nel Sipario vediamo inoltre la scimmia sulla scala: “…Picasso la colloca in cima alla scala, più in alto persino degli angeli […] Il pittore è la scimmia della natura, […]. Ars simia naturae” (Jean Claire, 1998); l’arco e la colonna, simboli dell’antichità classica; il cane (la fedeltà), la palla (la sfera celeste), il moro con il turbante indiano (uno dei tanti personaggi circensi cari a Picasso).

Mi sono domandato, a questo punto, se il Pierrot non raffiguri lo stesso Picasso che abbraccia una giovanetta, e l’Arlecchino non sia Lèonide Massine col quale Picasso andò in gita a Napoli e a Pompei [figg. 12-13];

fig. 12 Picasso Massine e Diaghilev a Napoli nel 1917
fig 13 Picasso e Massine a Pompei

del resto è noto che l’Arlecchino, dipinto dall’artista spagnolo nel 1917, è il ritratto di Massine, oggi a Barcellona nel Museo Picasso (si veda il n. 4 del cat. mostra alle Scuderie); e il torero chitarrista non sia il suo amico aiutante, il pittore italiano Carlo Socrate [fig. 14], più sopra menzionato, che seguì poi Picasso a Barcellona e a Madrid, e il marinaio baffuto non sia addirittura Diaghilev [fig. 15], l’inventore dei Balletti Russi. Esiste poi una foto di Picasso seduto sul Sipario durante la lavorazione a Parigi, e accanto c’è Carlo Socrate, insieme ai due assistenti, e un altro ignoto personaggio sullo sfondo [fig. 16]. Questa foto fu pubblicata da Valentine Hugo nel catalogo della mostra Jean Cocteau et son temps, Parigi, Musèe Jaquemart-Andrè, 1965, con la didascalia Rome 1917; resta quindi ancora il dubbio se il sipario sia stato dipinto in parte a Roma e poi ultimato a Parigi.

Anche se nell’accurato catalogo non tutto è stato svelato, ciò non diminuisce certo la validità dell’importante mostra articolata nel suo giusto taglio cronologico, che mette in luce quanto grande sia stata l’esperienza del viaggio in Italia di Picasso nel 1917, e il successivo immediato sviluppo classicistico della sua opera negli Anni Venti, che il Sipario per Parade anticipa con quelle figure al naturale della Commedia dell’arte e i simboli dell’antichità che gli si erano subito impressi nei mesi trascorsi a Roma, a Napoli e a Pompei; e qui Gertrude Stein ebbe ancora ragione quando scrisse nel suo Picasso del 1938:

Dopo l’Italia e Parade egli ebbe il suo secondo periodo naturalista, di una bellezza accessibile a chiunque; la sua tecnica era ormai così perfetta da consentirgli di creare tale bellezza con minore fatica, tale bellezza esisteva di per sé.”

 

Il mancato acquisto del Sipario di Parade da parte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna

Nel 1954, un anno dopo l’importante mostra antologica che Palma Bucarelli aveva dedicato a Picasso, e di quella immediatamente successiva, ancorché ampliata e modificata, a Milano nel Palazzo Reale, il noto gallerista e mecenate Carlo Cardazzo (1908-1963) si fece intermediario per offrire in vendita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna il grande telero dell’artista spagnolo, visto il tema così italiano. L’offerta fu fatta formalmente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal Cardazzo con lettera 14 aprile 1954, su carta intestata della Galleria d’Arte del Naviglio (da lui fondata nel 1946 ): ”…prima di offrirlo a qualche teatro o museo straniero”, scrive il gallerista. La Bucarelli, nel ringraziare della comunicazione, rispose altrettanto formalmente con lettera datata 5 maggio 1954: “Avrei bisogno di conoscere il prezzo che si richiede per l’opera, al fine di interessarne il Ministero…”. La soprintendente dunque seguì la corretta prassi ministeriale. Il prezzo difatti non era stato dichiarato nella nota di Cardazzo. Purtroppo il carteggio si ferma qui per quanto concerne l’Archivio Generale della Galleria Nazionale. Da recentissime ricerche da me effettuate per quello che è attualmente consultabile dell’Archivio Cardazzo, conservato alla Fondazione Cini a Venezia, nulla è emerso sul seguito della scarna corrispondenza tra il gallerista e la soprintendente sull’oggetto di questo carteggio. La sopra citata documentazione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna appare conclusa con un’annotazione a matita (probabilmente vergata dall’archivista del tempo): sulla copertina della cartella contenente le suddette note si legge: “Ormai comprato del (sic.) Musée d’Art Moderne”.

Il perché di tale inspiegabile lacuna o, se vogliamo, della mancata conclusione di questa corrispondenza tra Cardazzo e la Bucarelli, potrebbe essere ravvisabile nei rapporti, o meglio, negli aperti contrasti che si erano verificati durante i preparativi delle mostre romana e milanese del 1953 dedicata a Picasso, tra il Presidente del Comitato Esecutivo della mostra, il famoso professor Lionello Venturi (1885-1961), e il senatore ex comunista Eugenio Reale (1905-1986), anche lui facente parte del Comitato Esecutivo, poiché egli si riteneva l’assoluto promotore e finanziatore (con i soldi del Partito) delle due mostre tenute in quell’anno, prima a Roma alla Galleria Nazionale, e subito dopo a Milano a Palazzo Reale.

Tali contrasti sono ampiamente documentati da Bruno Mantura, curatore della mostra tenutasi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Picasso 1937-1953. Gli anni dell’apogeo in Italia, dal 12 dicembre 1998 al 15 marzo 1999, alla quale rimando per il suo testo in catalogo, con particolare attenzione al documento riportato nella nota 3, p.24. In sintesi però mi corre l’obbligo di segnalare, al di là delle differenze di vedute tra li senatore Reale e i protagonisti della mostra romana del 1953, la vera e propria ostinata volontà di impedire qualsiasi acquisizione di un’opera di Picasso per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, come era invece nel desiderio di Palma Bucarelli, anche come prova di riconoscenza per il lavoro che per il maestro spagnolo era stato svolto con passione da tutto il personale del suo museo. Ella così scrive al corrispondente della “Stampa” a Nizza, Alfredo Quaglino, amico di Picasso: “Noi gli abbiamo fatto una così memorabile mostra, con molta spesa di tempo e di fatica da parte del personale di questa Soprintendenza”. La Bucarelli, infatti, si era adoperata per far sondare anche dal Console Generale Italiano a Nizza di quell’anno, Pio Lo Savio, sulla possibilità di ottenere la donazione di un’opera dell’artista, esprimendo in tale circostanza persino la sua preferenza per il dipinto, Natura morta con la testa di toro nera. (cfr. Claudio Bianchi, Carta Canta, nel volume Storie dell’Arte, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 2012, pp. 174-175). Il dipinto desiderato era quello corrispondente al n. 38 del catalogo della mostra romana del 1953, come recita la didascalia completa della foto dell’opera: Natura morta con testa di Toro Nera, Libro, Tavolozza e Candela, 1938, un olio su tela, cm. 97×130, [fig. 17] all’epoca di proprietà di Picasso. Il giornalista della “Stampa”, Quaglino, pur avendo assicurato il suo interessamento, non sortisce l’effetto desiderato, e la corrispondenza con la Galleria non ha alcun seguito.

fig 17 Picasso Natura morta con testa di toro nera.._

Come considerare questo esito negativo di ottenere un donativo da Picasso per il nostro museo d’arte moderna? Ci soccorrono le lettere pubblicate da Mantura nel catalogo della mostra del 1998-99; come in particolare nella nota 3 del suo testo a pag.24, laddove si legge: “Reale scrive (a Picasso, ndA.) nella lettera del 29 marzo 1954: «Je sais que le consul d’Italie de Nice va te demander, pour Palma Bucarelli et sa Galerie, un tableau en cadeau. Nous te voudrions te prier de ne pas le donner, ces gens-là ne méritent rien. Mais nous parlerons de vive voix de ça aussi… ». E infine nella missiva del 28 aprile 1954: «Cher Pablo le professer Venturi est en route pour Nice il viendra te faire visite. Je sais qu’il te demandera un tableau pour la Galleria d’Arte Moderna (in italiano nella lettera) dont M.lle Bucarelli est le conservateur. Naturellement ne pensons pas d’influencer ta décision, tu feras ce que tu voudras. Mais nous devons te dire que ni le professeur  Venturi, ni Mlle Bucarelli n’ont rien fait pour l’organisation de l’exposition, au contraire ils nous ont créé des difficultés et ils nous ont donné beaucoup d’ennuis. En plus de ça le professeur Venturi a gagné beaucoup d’argent avec le catalogue. A notre avis, faire un cadeau à la galerie signifie faire de la publicité à M. Venturi et à M.lle Bucarelli et à leur crée des mérites et des bénémérences [sic] dont ils ne sont pas dignes. Si tu voudras faire un cadeau à l’Italie et à son peuple que tu aime et qui t’aime, nous te dirons comment faire… ». Più chiaro di così. Un vero e proprio accanimento contro i due protagonisti della mostra romana, e la furbesca conclusione pro domo sua. Picasso dunque dovette convincersi a non donare nulla, anche per la sua indifferenza per le due mostre italiane, alle quali peraltro non presenziò, sebbene invitato dallo stesso Reale.

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A questo punto una domanda è, ancorché banale: la maligna intenzione del senatore Reale di impedire la donazione e l’acquisizione a qualsiasi costo, come abbiamo visto nelle insistenti parole indirizzate a Picasso nelle lettere di cui sopra, si sarà esercitata anche quando avrà saputo della proposta di vendita di Cardazzo alla Galleria Nazionale d’arte Moderna? Allo stato attuale della documentazione non sono emerse prove in tal senso. Sappiamo però che il Sipario per Parade era certamente nella disponibilità di Cardazzo a Milano tra il 1953-1954, secondo la testimonianza della sua compagna, la nota scrittrice Milena Milani (1917-2013) che vediamo nelle foto seduta sul Sipario disteso nel cortile di via Manzoni, 45, sede della Galleria del Naviglio, a Milano; una volta lei da sola, e in un’altra foto insieme allo stesso Cardazzo [figg. 18-19-20]. Secondo quanto riportato nella nota 11 del testo “Una Centrale creativa” Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo 1946-1963, nel catalogo Carlo Cardazzo. Una nuova visione dell’arte (2008), a cura di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola, si dice che il Sipario a quella data: “è stato conservato (verosimilmente anche in relazione alla grande retrospettiva dedicata a Roma e a Milano nel 1953) presso il teatro della Scala… Secondo la testimonianza della Milani (nel 2008 ancora vivente, ndA.), sarebbe stato proprio Cardazzo l’intermediario che cercò invano di vendere il Sipario di Parade al Teatro della Scala” (p.183). Anche qui nessuna notizia sull’offerta in vendita di Cardazzo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

Come poi il Sipario sia finito a Parigi è narrato dallo studioso Luca Pietro Nicoletti nella sua notevole biografia, Gualtieri di San Lazzaro. Scritti e incontri di un editore d’arte a Parigi, Macerata, Quodlibet Studio, 2014 (cfr. pp. 160-163). L’autore scrive che Gualtieri di San Lazzaro (1904-1974), nella seconda edizione (1966) del suo famoso testo Parigi era viva, afferma che Cardazzo […] aveva trovato a Milano, il sipario di Parade, dodici metri di altezza per sei o sette di larghezza (sic, sbagliando, ndA.), di cui il proprietario, un argentino, si proponeva di ritagliare e di conservare solo il pannello centrale, non avendo nessuna intenzione di costruire un palazzo per poterlo esporre intero”. Un’idea giustamente folle secondo Gualtieri che si attiva a Parigi per evitare la distruzione del Sipario. Convince Pierre Courthion (1902-1988), noto giornalista, scrittore, poeta e critico d’arte, “pregandolo di esporre la situazione al conservatore [del museo del Louvre, ndA.] Jean Cassou”. Di conseguenza Cardazzo fece esporre la grande tela alla Scala per mostrarla a Bernard Dorival, il giovane conservatore del Museo Nazionale di Parigi. L’opera venne successivamente inviata a Parigi per essere sottoposta alla Commissione del Louvre, per poi essere definitivamente acquistata, ma non sappiamo a che prezzo. Secondo lo studioso Nicoletti, il prezzo dovette essere alto (comunicazione orale), in considerazione della provvigione che per San Lazzaro sarebbe stata, secondo Cardazzo, di 1.200.000 lire, ma che poteva essere diminuita: “in caso della riduzione della percentuale di Cardazzo da parte del proprietario dell’opera, a San Lazzaro sarebbe spettato solo un milione” (p. 163). Ma allo stato attuale delle ricerche mancano documenti al riguardo che indichino sia i compensi a Cardazzo e a San Lazzaro, sia la somma effettivamente pagata dai musei francesi per il Sipario. Personalmente sarei propenso a credere che il prezzo pagato non sia stato poi particolarmente oneroso, come si evince dalle stesse parole del Gualtieri nel testo sopra menzionato: “L’argentino, intanto, al quale Cardazzo aveva scritto, aveva fato sapere di essere disposto a venderlo per una somma che pur non essendo eccessiva, era tuttavia troppo alta per i poveri musei francesi” (p.161). Fatto sta che poi l’hanno acquistato. In questa breve sintesi che ho fatto della sin qui un po’misteriosa vicenda, a noi rimane il rammarico di non possedere quell’opera che sarebbe stata così significativa per le collezioni statali italiane.

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“Sipario” per Parade

Il Sipario per Parade, acquistato dalla Direzione dei Musée de France, fu riesumato per la prima volta, dopo la stagione dei Ballets Russes, nella mostra alla Tate Gallery di Londra nel 1960 (v. Cat. con intr. di R. Penrose, n. 264, ill. 56a). Fu quindi esposto a Tolosa, nel 1965 alla mostra Picasso e le théâtre, al Musée des Augustins, dove poi è rimasto in deposito”. (Carandente, op. cit., p. 56). Tali indicazioni bibliografiche non sono riportate nella scheda redatta per l’esposizione di Parade a Palazzo Barberini, che cita solo le più recenti esposizioni: “Parade, conservata al Centro Pompidou di Parigi, è stata esposta solo in rare occasioni, a causa delle sue monumentali dimensioni: al Brooklin Museum (New York 1984); al Palazzo della Gran Guardia (Verona 1990); a Palazzo Grassi (Venezia 1988); al Centre Pompidou di Metz (2012-2013): e al Museo di Capodimonte (Napoli 2017

Mario URSINO     Roma Ottobre 2017                                 

*  Ringrazio il dottor Claudio Bianchi, Direttore Archivio e Gestione flussi documentali, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, per le cortesi notizie fornitemi relative al carteggio Cardazzo-Bucarelli. Ringrazio inoltre della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la direttrice della Biblioteca Giulia Talamo e in particolare i suoi collaboratori Walter D’Ario e Nunzia Fatone; la direttrice dell’Archivio Bio-iconografico, dottoressa Claudia Palma e la sua collaboratrice Stefania Navarra.
Ringrazio la dottoressa Chiara Mari, Referente dell’Archivio della Galleria e delle Edizioni del Cavallino, per le cortesi notizie fornitemi relative al carteggio Cardazzo-Bucarelli
Ringrazio il dottor Luca Pietro Nicoletti, storico dell’arte, autore tra l’altro della biografia Gualtieri di San Lazzaro. Scritti e incontri di un editore d’arte a Parigi, Macerata, Quodlibet Studio, 2014. Lo ringrazio anche per avermi inviato il suo volume e per le scambievoli conversazioni sulla vendita del Sipario di Parade.

M.U.