“Sic transit Gloria Mundi”: una importante “Allegoria della Vanità” di Giovanni Andrea Podestà acquistato dal Cardinale B. Spada.

di Maria Lucrezia VICINI

Vanità delle vanità, tutto è vanità…”

A questo noto passo biblico che si legge nel I° Libro del Qoèlet (1,2),  si ispira nei suoi caratteri generali un interessante ma poco considerato dipinto che campeggia nella IV Sala della Galleria Spada, eseguito da Giovanni Andrea Podestà, pittore e incisore ligure vissuto all’ombra di Nicolas Poussin ( 1594-1665)  nella cerchia di Cassiano del Pozzo.

Si  tratta dell’opera intitolata “L’allegoria della Vanitàcome lasciano intendere la scritta Sic transit Gloria Mundi, riportata sul cartiglio appoggiato al tronco d’albero a sinistra indicato dal puttino alato e le azioni compiute sia dal puttino che soffia bolle di sapone, sia da altri puttini  diversamente atteggiati, che ribadiscono il carattere effimero e la vacuità delle cose terrene.

Il concetto che assimila l’uomo ad una bolla di sapone, ha origini antiche, da quando l’ormai anziano poeta latino Marco Terenzio Varrone(116 a.C.-27 a.C.) enunciò nel proemio del I° libro  del De Rustica (1,1-7) il detto ”... quod, ut dicitur, si est homo bulle, eo magis senex’ (perché, come si dice, se l’uomo è una bolla di sapone, tanto più lo è chi è vecchio).

Con esso il poeta volle accostare in senso moralistico, la vita umana alle bolle di sapone, elementi fragili ed effimeri allusivi alla dissoluzione del corpo e quindi alla morte.

Il precetto morale fu ripreso  nel Rinascimento  da Erasmo da Rotterdam (1466-1536) che riportò nel testo Adagia, una  sua raccolta di proverbi greci e latini,  dando cosi luogo in Europa, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, alla iconografia dell’Homo bulla per ribadire il concetto della transitorietà della vita e la vanitas dei godimenti terreni.

Il monito trovò  a Roma terreno fertile nel colto ambiente di Cassiano del Pozzo, e pertanto anche da parte del Podestà.  A darne il massimo esempio fu proprio il Poussin con il dipinto raffigurante “Il Ballo della vita umana al suono del tempo” (olio su tela, cm.82,5 x 104) della Wallace Collection di Londra del 1638 ca., commissionato dal cardinale Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX, dove in basso a sinistra è adagiato un putto che si diverte a fare bolle di sapone.

Nel nostro dipinto, in un contesto roccioso, è adagiato al centro un amorino dormiente, allusivo proprio alla caducità dei piaceri terreni e al Sonno.

Accanto, più in primo piano, un putto alato siede su un globo, simbolo del mondo, mentre soffia con una cannula bolle di sapone che il putto di fronte osserva incantato, e che un altro alato alle sue spalle cerca di afferrare al volo.

 La scena è assistita a sinistra dal putto alato in piedi che indica il cartiglio con la scrittaSic transit gloria mundi”, e a destra  da un altro puttino seduto che mostra con le braccia alzate un orologio con catena, in allusione al trascorrere inesorabile del tempo e all’inutile affannarsi del putto in movimento. Vicino a lui siede un altro putto alato che con una mano si asciuga le lacrime e con l’altra spegne una fiaccola vicino ad un teschio, simboli funerari che rappresentano il “memento mori”.

Intorno a loro sono visibili la testa di una scultura, due libri aperti e una tavolozza con pennelli, elementi allusivi alle Arti (Scultura, Poesia e Pittura) e una corona rovesciata, simbolo di regalità e di beni terreni che la morte porta via (1).

Il dipinto fu acquistato dal Cardinale Bernardino Spada (1594-1661) il 14 febbraio 1641 insieme ad un  quadro gemello andato disperso, anch’esso raffigurante putti. Per volere dello stesso Spada, i due  quadri furono incorniciati insieme, ma dopo cinque anni il cardinale li volle nuovamente separati, creando non  pochi problemi per il disfacimento al falegname Battaglini.

Entrambi i dipinti al momento dell’arrivo a Palazzo Spada,  furono registrati con l’attribuzione  al “defuntoCarlo Fiammingo, pseudonimo del pittore Karel Philips Spierincks (Bruxelles, 1608 c.a. – Roma, 1639), pure lui seguace ed imitatore del Poussin e spesso confuso proprio con Podestà per le affinità stilistiche ed iconografiche che si riscontrano nelle loro opere (2).

Ma l’attribuzione allo Spierincks verrà rifiutata a favore del Podestà dal Blunt in base al confronto con una opera certa di quel pittore presso  Hampton Court Palace di Londra, raffigurante Ninfe, Satiri e Cupido, resa nota dallo stesso  A.Blunt  (3).

Porcella (4) aveva interpretato erroneamente il soggetto come Putti con gli emblemi della Passione, e lo  aveva riferito ad un anonimo bolognese del ‘600 affine a Francesco Albani, orientandosi su Marcantonio Franceschini.

Lavagnino (5) lo aveva assegnato a Francesco Albani, mentre Zeri (6), riconoscendovi uno stretto influsso poussiniano, lo aveva attribuito a Pietro Testa, in particolare alla sua fase tarda. Riteneva che un’altra opera, della stessa mano e del medesimo momento rappresentante Angeli con gli emblemi della Passione, appartenesse alla Collezione Chiericatti di Santa Margherita Ligure. –

 Blunt (7) lo restituisce al Podestà confrontando il dipinto  con i disegni e le stampe che lui stesso attribuisce con certezza al poco conosciuto pittore. Anche Bartsh (8) descrive otto stampe da lui eseguite, di cui tre desunte da Tiziano.

Si tratta per lo più di scene bacchiche o allegoriche con putti, come ha rilevato lo stesso Blunt nel suo primo studio sul Poussin (1958), rese sempre sullo stile dei Baccanali del Poussin o delle acqueforti del Castiglione.

Il Blunt, che rimane il massimo studioso del pittore, individua nei suoi appunti ancora una serie di otto dipinti: uno nel Museo di Mans, due nella collezione Sackville a Knole; uno con angioletti, recanti emblemi della Passione e adoranti il Bambin Gesù dormiente, a Bourghley House nella Collezione del Marchese di Exeter, uno già nella Collezione Neeld, venduto da Park-Barnet a New York nel 1956; le due Allegorie della Galleria Spada e della Collezione Chiericatti di Santa Margherita Ligure, già individuato da Zeri(Blunt 1958); infine due altri raffiguranti Putti sono segnalati da Gavazza (9) nella Collezione Pagano di Genova. Il Blunt(1958) ricorda inoltre due disegni nel Museo di Rennes. Altri due, attribuiti, sono nel British Museum di Londra, due al Louvre, due a Monaco e due alla National Gallery of Scotland di Edimburgo(10).

La data dell’acquisto e i pagamenti dei due dipinti si rintracciano in un libro contabile del cardinale, dove infatti si legge:

Signori Provvisori del Monte di Pietà li piacerà pagare a Michelangelo Particella festaiolo scudi quindici moneta sono per prezzo di due quadri di pittura del quondam Carlo Fiammingo che con sua richiesta saranno ben pagati di casa questo dì 14 febbraio 1641” (11).

Il Cardinale si premurò  quindi di commissionare per i  due quadri al suo fedele Andrea Battaglini   un’unica cornice che fu compiuta nell’arco di otto mesi. Il conto gli fu presentato nell’ottobre del 1641, secondo la seguente  nota di pagamento:

“Per haver fatto una cornice da doppia cornice d’albuccio alta palmi tre e mezzo longa dodici e mezzo perché in detta se ci contiene due quadri di putti” (12).

Il doppio dipinto fu collocato nella Galleria del Cardinale, l’attuale terza sala del Museo, come risulta nell’inventario dei beni dello Spada del 1661,  descritti come Doi quadri bislunghi con putti che scherzano (13). In essa rimase per ben cinque anni.

Forse per conferire maggiore risalto  ai due dipinti che potevano avere significati diversi, o per esigenze di spazio, nel 1646 essi furono di nuovo separati e la cornice dovette essere  disfatta e rifatta dallo stesso falegname, come si legge in un altro conto di pagamento:

E più per haver tagliata una cornice, che in detta S.E. ci conteneva doi quadri di pittura di putti, qual detta bisognò far, che ogni suddetto quadro avesse la sua cornice da se, dove prima erano ambedoi in una con disfar, e farci una testata di nuovo detta fummo assai in difficoltà (14).

Una volta separati, i due quadri vennero spostati  al di fuori delle sale del Museo, nella cosiddetta Galleria Terrena di Palazzo Spada, che ospitava dipinti e sculture.

In questa sede li troviamo elencati in sequenza, contrassegnati dai  332 e 333, soltanto nell’appendice al fidecommesso del 1862 e  descritti entrambi come: Angioli con emblema della passione (15).

La perdita di uno di essi dovette verificarsi tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento se  nella ricognizione inventariale del 1925 di Pietro Poncini e nella coeva stima di Hermanin ne risulta presente solo uno come Un baccanale di putti, da Poussin, che coincide con il quadro in questione e valutato lire 3000 (16). Risulta inoltre esposto nella seconda sala del Museo. In quarta sala dove attualmente si trova, fu trasferito da Federico Zeri nel 1951 in occasione della riapertura del Museo al Pubblico

Scarse sono le notizie sulla vita del Podestà. In un atto genovese del 3 settembre 1627, egli dichiara di avere diciannove anni e di essere stato alla bottega del Paggi nel periodo in cui vi lavorava  anche il Castiglione (17). Secondo il Soprani fu allievo del Sarzana e di G. A .Ferrari; secondo il Ratti, del Fiasella (18).

Di sicuro si sa che  la sua attività si svolse quasi esclusivamente a Roma. Dall’esame delle opere conosciute si deduce il suo inserimento nel circolo di Cassiano del Pozzo. I contatti li ebbe in particolare con il Poussin, Chapron, Testa e Duquesnoy (19).

Ottimo incisore, oltre che pittore, nel 1636 dedica a Cassiano del Pozzo una stampa raffiguranteIl festino di Venere”, derivata dall’omonima opera di Tiziano nella Villa Aldobrandini a Roma. Nel 1650 fu eletto accademico di San Luca e nel 1661 è ricordato tra coloro che dovevano compilare l’inventario dei dipinti di proprietà del cardinale Mazarino (20).

Maria Lucrezia VICINI  Roma  16 Ottobre 2022