Si è conclusa con un successo al Teatro dell’Opera di Roma la terza parte del progetto “Trittico Ricomposto”.

di Claudio LISTANTI

Recentemente è andata in scena al Teatro dell’Opera di Roma la terza parte del progetto “Trittico Ricomposto”, iniziativa intrapresa per celebrare i cento anni dalla scomparsa del genio musicale di Giacomo Puccini.

Fig. 1 Michele Mariotti durante le prove di Suor Angelica-Il Prigioniero © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

Il progetto è nato grazie ad una intuizione del Direttore Musicale del Teatro dell’Opera, Michele Mariotti, che ha provveduto a decomporre il Trittico pucciano isolando ognuna delle tre opere in un atto ed accostandole singolarmente ad altrettanti capolavori del 900’ con l’intenzione, immaginiamo, di creare una certa assonanza tra Puccini ad altri importanti autori del suo tempo e rivolta a dimostrare la particolare valenza della tecnica e dello stile compositivo pucciniano in relazione a tecnica e stile di musicisti simbolo dell’evoluzione musicale che ha caratterizzato tutto il ‘900.

Iniziativa senza dubbio lodevole perché ha consentito al pubblico di approfondire l’arte Puccini con un raffronto diretto, nell’ambito della stessa sera, tra musicisti dalle poetiche differenti, e comprendere con più chiarezza come l’immediatezza e la forza melodica della musica Puccini, che la fanno spesso considerare ‘facile’, sia invece basata su un sostrato complesso in linea con l’evoluzione musicale caratteristica del ‘900.

Idea senza dubbio interessante che però racchiude in sé una controindicazione, quella di aver smembrato il Trittico, che per volontà dello stesso autore, è da considerarsi opera unica e unitaria, persino indivisibile, in quanto espressione di tre storie certamente diverse ma nell’insieme connesse. La ‘ricomposizione’ che evoca il titolo del progetto non è altro che una semplice ‘scomposizione’ in tre entità distinte. Per tornare alla sua unitarietà il Trittico dovrà poi essere oggetto di una ‘ricostruzione’ per essere goduto a pieno nel suo significato.

Fig. 2 Il regista Calixto Bieito di Suor Angelica-Il Prigioniero © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

A parte queste considerazioni del tutto personali, i tre abbinamenti di questo progetto di Michele Mariotti hanno dato vita a tre differenti spettacoli senza dubbio stimolanti ed interessanti. Dopo l’abbinamento Il tabarro com Il castello di Barbablù di Bela Bartok, opere accomunate dallo stesso anno di prima rappresentazione (1918) che presentano situazioni matrimoniali opposte e stridenti, un abbinamento di atti unici di carattere comico.

Lo scorso anno, infatti, è stata la volta di Gianni Schicchi con la sua incontestabile eredità derivata dalla grande tradizione dell’opera buffa del nostro teatro lirico abbinata alla comicità elegante e delicata de L’heure espagnole una commedia di stampo musicale frutto del genio di Maurice Ravel.

About Art ha seguito tutte le rappresentazioni del progetto Trittico Ricomposto. Per chie volesse approfondire proponiamo i links delle recensioni delle prime due parti:

https://www.aboutartonline.com/al-teatro-dellopera-di-roma-un-trittico-ricomposto-in-ricordo-di-giacomo-puccini-1858-1924/

https://www.aboutartonline.com/successo-per-il-secondo-spettacolo-del-trittico-ricomposto-del-teatro-dellopera-riserve-per-la-realizzazione-scenica/

Giungiamo così al terzo atto di “Trittico Ricomposto” con l’abbinamento, forse, più funzionale di questo progetto, Suor Angelica accostata nella stessa sera a Il prigioniero di Luigi Dallapiccola. Pur essendo due composizioni molto diverse tra loro, anche per i differenti periodi nei quali sono state composte le due opere, mostrano una certa assonanza. Il capolavoro pucciniano risale agli anni immediatamente precedenti il 1918 quando il Trittico fu rappresentato sul palcoscenico del Metropolitan di New York mentre Il prigioniero, rappresentato per la prima volta in forma scenica al Comunale di Firenze nell’ambito del Maggio Musicale del 1950 dopo aver debuttato in forma di concerto nel precedente 1949 presso l’Auditorium RAI di Torino per una esecuzione radiotrasmessa.

Le due opere sono senza dubbio frutto dell’arte di due compositori di indubbio primordine. Nella Suor Angelica Puccini riesce a trasfondere la sua felice ispirazione melodica riuscendo a disegnare il personaggio principale con particolare lirismo ed efficace teatralità, riproponendo il suo stile che ha alla base le sue straordinarie doti di orchestratore che si riverberano per tutto il Trittico considerato un fondamentale punto di arrivo della sua arte e che precede l’ultima sua grande prova, Turandot, rimasta incompiuta e che andò in scena postuma solo nel 1926 subendo il discusso rimaneggiamento del finale che ne limita un po’ l’effetto drammatico.

Fig. 3 Un momento de Il Prigioniero di Luigi Dallapiccola © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

Il prigioniero di Dallapiccola arriva sulle scene più di trenta anni dopo, un tempo enorme per la storia della musica, in special modo per quella del ‘900 che, soprattutto nella prima metà del secolo, ha bruciato le tappe per la ricerca dell’innovazione, delle nuove poetiche e delle nuove vie stilistiche, utili per giungere ad cambiamento che proiettasse la musica nel futuro. Dallapiccola fu uno dei seguaci della cosiddetta dodecafonia, il sistema compositivo introdotto da Arnold Schönberg le cui teorie, pur producendo discussioni che impegnarono seguaci e detrattori, dominarono il panorama musicale della prima parte del ‘900 e che si estrinsecò nella formazione della cosiddetta Scuola di Vienna che vide l’adesione di altri due grandi del ‘900 Alban Berg e Anton Webern.

Dallapiccola per Il prigioniero utilizza questo sistema compositivo ma introducendo una sorta di ‘addolcimento’ delle sonorità dovuto, come buona parte della critica concorda, all’introduzione di centri tonali, comunque certamente lontani dal più compìto sistema tonale, ma ingentilendo l’ascolto che, nel caso de Il prigioniero, risulta meno arduo e difficile. Dallapiccola ne scrisse il libretto basandosi su testi di Villiers de l’Isle-Adam e Charles de Coster strutturando l’opera in un prologo e in un atto, parti piuttosto brevi che in fin dei conti fa considerare questa opera come atto unico.

Tema di questo suo lavoro era la ferocia della privazione della libertà ottenuta con metodi coercitivi e crudeli soprattutto perché nel corso dell’opera nel personaggio principale prende il via una certa propensione alla speranza di poter ritornare alla vita libera che, alla fine, quando capisce che sta venendo meno trasformandosi in una pia illusione cade nelle spire dell’Inquisitore.

Fig. 4 Il contralto Marie-Nicole Lemieux, Zia Principessa in Suor Angelica © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

Questo senso di privazione della libertà si respira anche in Suor Angelica seppur basata, per certi versi, su una delicata cornice ambientale, elemento che in Puccini è sempre in primissimo piano in tutte le sue opere. In questo caso, il libretto scritto da Giovacchino Forzano, propone un ambiente claustrale approfondito dallo stesso Puccini che ascoltò i suggerimenti della sorella Igina, superiora del convento delle monache agostiniane a Lucca, che favorirono una rappresentazione del tutto aderente ai contenuti della vita monastica. Anche Angelica vive nella speranza di tornare alla libertà dopo essere stata costretta al convento per la nascita di un figlio conseguenza di una relazione ‘proibita’ ed in cuor suo spera di poter tornare alla vita normale dopo aver espiato gli effetti di quel suo giovanile ‘peccato d’amore’. Speranza crollata con l’arrivo della Zia Principessa che comunica alla sventurata suora la morte del figlio riconducendola al suicidio.

Dopo queste nostre brevi note appare molto evidente l’esistenza tra le due opere di un comune denominatore, quello della privazione della libertà senza la speranza di poterla riacquistare. Elemento che rende la scelta dell’accoppiamento di questi due capolavori ideali per le specificità del progetto Trittico Ricomposto evidenziandone al contempo le diversità e i contrasti scaturenti dalle poetiche musicali dei due musicisti.

Come per le altre tappe del Trittico Ricomposto la messa in scena è stata affidata ad un unico regista, In questo caso è stato scelto il regista spagnolo di Miranda de Ebro, Calixto Bieito, in possesso di una cospicua esperienza in campo teatrale come in campo operistico, personalità che ha tutte le carte in regola per una realizzazione come questa.

Fig. 5 Una scena d’insieme di Suor Angelica di Giacomo Puccini © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

Come i suoi predecessori nella realizzazione del progetto, ha optato per una struttura scenica comune per entrambe le opere a sottolineare il comune significato di fondo attributo ai due capolavori. Nello specifico ha immaginato gli ambienti circondati da sbarre, all’interno dei quali si svolgeva il dramma. Soluzione, immaginiamo, necessaria per realizzare il progetto che però, anche in questo caso, ha creato divergenze tra le due opere. Una delle quali è nell’elemento ambientale. In Puccini l’ambiente nel quale si svolgono le sue opere è fondamentale e a tale aspetto ha dedicato sempre particolare attenzione. Come accennato prima, determinanti furono i consigli di sua sorella suora per delineare la vita e le azioni che si svolgono dentro il convento. Fatto valorizzato nelle note del libretto di Forzano che ne stabilisce l’epoca intorno al 1600 e che descrive dettagliatamente quanto deve avvenire in scena. Di contro, Il prigioniero, anch’esso ambientato in una epoca precisa, quella di Filippo II, ha però le caratteristiche di essere un ambiente senza tempo.

Tali caratteristiche si possono evincere dalle due splendide partiture, quella di Puccini rivolta alla quotidianità della vita claustrale esaltata da continui spunti melodici, quella di Dallapiccola invece ci porta in una ambiente senza tempo, dove la decisa assenza di una struttura melodica e l’utilizzo di un ostinato declamato che è sostenuto da una parte orchestrale di grande spessore ci porta, all’ascolto, nel dramma e nelle miserie di una persona imprigionata che con il tempo sente arrivare progressivamente e definitivamente la sua libertà.

Di conseguenza, questo nuovo allestimento realizzato efficacemente da Anna Kirsch per le scene, Ingo Krügler per i costumi e Michael Bauer per le luci che hanno dimostrato piena sintonia con l’impostazione di Breito, ha creato diverse divergenze tra le due opere. In Suor Angelica si perdeva chiaramente l’impostazione di Puccini alla descrizione dell’ambiente utilizzando anche un cambio d’epoca, elemento che è divenuto ormai costante nel teatro d’opera al punto che appaiono alla vista dello spettatore in tutta la loro banalità. Inoltre la Zia Principessa dovrebbe entrare e, dopo aver assolto al suo ruolo di essere motore dello scioglimento dell’azione, resta invece sulla scena sdraiata sui fiori del giardino cosa per noi incomprensibile al pari della precedente apparizione di un uomo ferito trasportato in barella transitando in mezzo alle suore.

Fig. 6 Arturo Espinosa (Secondo Sacerdote), Mattia Olivieri (Prigioniero) e Nicola Straniero (Primo Sacerdote) ne Il prigioniero © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

Di contro, la realizzazione de Il prigioniero, ci è parsa ideale per rappresentare quel dramma, in quanto sono stati concepiti movimenti essenziali e circostanziati che accompagnavano con efficacia il procedere del dramma, una visione che ha assunto il suo massimo quando il Prigioniero, credendo di essere di fronte al Carceriere ed alla conseguente uscita verso la libertà, cade nelle spire del Grande Inquisitore fatto che segnerà la fine di ogni suo sogno di libertà. Elemento di particolare intensità drammatica realizzato con evidente forza teatrale.

Per quanto riguarda la parte musicale Michele Mariotti ha cercato di dare all’esecuzione quei caratteri unitari evidenziati in questo suo interessante progetto. Non è riuscito completamente allo scopo soprattutto perché, a nostro giudizio, non riesce bene a dare alle melodie pucciniane quell’afflato poetico necessario per valorizzare questo elemento, cosa avvenuta anche nella recente Tosca di gennaio, indispensabile per una rappresentazione pucciniana. Si è trovato molto più a suo agio con Dallapiccola e con il suo teatro privo di fronzoli ed esclusivamente diretto al nocciolo del dramma, partitura che Mariotti ci sembra abbia realizzato con grande senso del teatro superando le conseguenti difficoltà di interpretazione. Coadiuvato dall’Orchestra del Teatro dell’Opera, compagine con la quale sta stabilendo progressivamente un rapporto di connessione e di collaborazione che il pubblico sottolinea sempre con numerosi applausi dopo le sue direzioni come è successo anche in questo caso. Da citare anche l’ottima prova del Coro del Teatro dell’Opera guidato da Ciro Visco al quale si aggiunge anche la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera tutti efficaci nelle brevi ma significative parti musicali a loro dedicate.

Per quanto riguarda la compagnia di canto nella Suor Angelica la parte principale è stata affidata al soprano Yolanda Auyanet che ci è sembrata però in difficoltà nell’affrontare la linea vocale concepita per Angelica soprattutto nei passaggi verso il registro acuto. Soddisfacente La Zia Principessa di Marie-Nicole Lemieux e tutte le altre parti monacali:  La badessa Annunziata Vestri, La Suora Zelatrice Irene Savignano, La Maestra delle Novizie Carlotta Vichi, Suor Genovieffa Laura Cherici, Suor Dolcina Ilaria Sicignano, I cercatrice Marianna Mappa, II cercatrice Claudia Farneti e II Conversa Caterina D’Angelo e i tre cantanti provenienti dal progetto “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma: Suor Osmina/La novizia Jessica Ricci, La suora infermiera Maria Elena Pepi e I Conversa Sofia Barbashova. Tutte hanno saputo dare il necessario contributo a rendere quel particolare ambiante del convento al quale Puccini teneva molto.

Fig. 7 Mattia Olivieri (Prigioniero) e Ángeles Blancas (Madre) ne Il prigioniero © Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2025.

Per Il prigioniero che è opera più essenziale rispetto alla precedente, nella parte de La Madre ha felicemente impressionato il soprano Ángeles Blancas fornendo una prova intensa e di grande teatralità così come convincente è stato il Prigioniero di Mattia Olivieri. Il tenore inglese John Daszak che, come previsto dal libretto, ha interpretato la doppia parte de Il Carceriere e Il Grande Inquisitore. La parte del Primo Sacerdote è stata assegnata a Nicola Straniero diplomato “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma ed il Secondo Sacerdote ad Arturo Espinosa tutti in linea con lo stile e la particolarità di questa opera.

La recita alla quale abbiamo assistito è stata quella di giovedì 24 aprile per la quale dobbiamo dire, purtroppo, che ha avuto un pubblico poco numeroso. Effetto, forse, del fine settimana lunghissimo caratterizzato dai numerosi ponti, genere nel quale noi italiani siamo considerati veri e propri specialisti, oppure conseguenza delle iniziative popolari succedute alla quasi concomitante morte di Papa Francesco. Oppure, e questo sarebbe più preoccupante, disaffezione del pubblico verso un repertorio inusuale. È comunque un fatto piuttosto allarmante che merita le giuste riflessioni da parte di chi guida il teatro.

Gli spettatori presenti, comunque, hanno applaudito a lungo tutti gli interpreti.

Claudio LISTANTI  Roma 4 Maggio 2025