Shepard Fairey e i suoi 30 anni di dissenso (alla GAM di Roma fino al 22 novembre 2020)

di Nica FIORI

Veloce e innovativa, l’arte di strada si è imposta negli ultimi decenni cambiando la percezione degli spazi urbani.

Pareti, muri di cinta, piloni, saracinesche rappresentano il terreno ideale per veicolare immagini e slogan, ma talvolta si spruzza, si incolla e si dipinge su ogni superficie immaginabile, usando tecniche e materiali poco convenzionali, perché si tratta di un linguaggio artistico per sua natura trasgressivo e in continua evoluzione. Fino a poco tempo fa si dipingeva per lo più illegalmente, nell’arco di una notte, mentre ora che la Street Art è entrata a pieno titolo nella storia dell’arte contemporanea, sono le stesse istituzioni a promuoverne la diffusione.

Shepard Fairey, Portrait, Photo by Jon Furlong

La mostra “Shepard Fairey. 3 Decades of dissent”, che la Galleria d’Arte Moderna di Roma ospita fino al 22 novembre 2020, presenta per la prima volta in Italia in un contesto museale le opere di un famoso urban artist statunitense (nato a Charleston, nella Carolina del Sud, nel 1970), sperimentatore di linguaggi, stili e messaggi politici.

La mostra è curata, oltre che dallo stesso Shepard Fairey, da Claudio Crescentini, Federica Pirani e galleria Wunderkammern. Come ha dichiarato la Sovrintendente capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli nel corso della presentazione, nel chiostro della stessa galleria è stata allestita l’esposizione Rinascita di Sten Lex, “per creare una dimensione romana della street art” (vedi  a seguire l’articolo in questo numero), visto che si tratta di due muralisti (un romano e una tarantina) pionieri dello stencil poster, ma indubbiamente è Shepard Fairey ad attirare maggiormente la nostra attenzione.

Shepard Fairey, Obey Star, 2019,

L’artista americano, noto anche col nome d’arte OBEY, ha voluto creare un concept unico e irripetibile appositamente per la Galleria d’Arte Moderna, presentando un nucleo unitario di trenta sue opere grafiche inedite (2019) – tante quante gli anni presi in considerazione nel titolo della mostra – con le quali ripercorre molti dei suoi temi di dissenso, tra cui la lotta per la pace e contro la violenza razziale, la difesa della dignità umana e di genere, la salvaguardia dell’ambiente, in dialogo con importanti opere della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina.

Come ha specificato lo stesso Shepard:

“La mia arte è la storia delle risposte visive che ho dato ad alcune istanze essenziali del mondo negli ultimi trent’anni; ma questa mostra scava più in profondità, creando un dialogo tra  le mie opere e quelle selezionate dalle raccolte della GAM. …  Mi piace cogliere le assonanze estetiche fra molta della mia arte e le opere di Giulio Turcato, o la provocazione concettuale di Pino Pascali”.

Ma, ancora prima di questi artisti, grandissimi nomi come quelli di Scipione, Balla, De Chirico, Depero, Casorati, Sironi e tanti altri permettono felici accostamenti con lo stile audace e iconico di Fairey, spingendoci a riflettere sull’evoluzione dell’arte, che non di rado interagisce con la politica e l’attualità.

Shepard Fairey Hope

Introduce all’esposizione una copia autografata di “HOPE” (2008), una delle opere più celebri di Fairey, in cui l’artista ha ridefinito in quadricromia il volto di Barack Obama, creando l’immagine divenuta simbolo della campagna elettorale del primo politico di origini afroamericane chiamato a ricoprire la carica di Presidente degli U.S.A.

Lo stesso Obama, in una lettera a Fairey poi resa pubblica, si congratulò direttamente con lui, mentre qualche grana l’artista la ebbe dall’autore della fotografia, dalla quale egli partì per la sua rielaborazione grafica. Il suo stile, in effetti, si basa sulla stilizzazione e idealizzazione di immagini, un po’ sulla scia delle immagini iconiche di star realizzate da Andy Wahrol.

Al primo piano della Galleria tra le prime opere in mostra troviamo “HENDRIX” (serigrafia, collage e tecnica mista), ispirata alla campagna sticker (costituita da adesivi) che lo ha reso famoso, Andre The Giant has a Posse, che presentava il volto del campione di wrestling André The Giant. Egli voleva attirare con queste immagini l’attenzione dei passanti, provocando in essi una reazione (positiva o negativa). In seguito lo stesso volto si è evoluto in uno più ambiguo e meno specifico, che invitava l’osservatore a ubbidire (OBEY): una sorta di immagine del Grande Fratello del romanzo “1984” di George Orwell.

Allestimento Shepard Fairey

Scrive Fairey a questo proposito:

Ero rimasto affascinato dal potere dell’approccio grafico semplificato presente nei manifesti costruttivisti russi e desideravo un’icona che si integrasse con quel tipo di lavoro… Il concetto alla base di Obey è quello di provocare le persone che in genere si lamentano delle circostanze della vita, ma seguono il percorso di minor resistenza, per affrontare la propria obbedienza. Obey è molto sarcastico, una forma di psicologia inversa”.

Nacque così il suo logo, un volto inserito in una stella pentagonale con la scritta Obey in bianco su fondo rosso.

Un rosso non dissimile da quello usato da Scipione per il suo Ritratto del Cardinal Decano (1930), accostato in mostra a Exclamation, un’opera dove il volto di Obey è inquadrata da punti esclamativi.

Quanto al capolavoro di Scipione (Gino Bonichi), voglio ricordare che raffigura la decadenza del corpo del cardinale Vannutelli, prossimo alla morte, con tratti espressionistici quasi paradossali in una sorta di ambiguità tra il destino aureo della città eterna e la morte terrena.

Un quadro che, nonostante il suo dissenso stilistico rovente, vuole omaggiare Roma presentando piazza San Pietro sotto una luce particolare. L’obelisco centrale sembra sospeso in aria e quasi racchiuso entro un cerchio magico, mentre altri motivi emblematici, come una gigantesca chiave e un dado, accentuano il senso di smarrimento e di mistero che l’immensità della piazza può suscitare.

È invece accostato all’Autoritratto di Renato Guttuso (1937), il volto del Reverendo Jesse Jackson nell’opera “JESSE”, della serie “Brown Power”. In questo caso Fairey adotta esplicitamente il linguaggio visivo dei decenni Sessanta-Settanta e in particolare del movimento Black Power, utilizzando una combinazione di colori pan-africana – rosso, nero e verde – ripresa dai combattenti per la libertà e i diritti degli afroamericani.

Anche Angela Davis, attivista del movimento afroamericano statunitense e militante del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America è raffigurata in “POWER AND EQUALITY”.

Shepard Fairey, Commanda

Un’immagine di donna che ci colpisce particolarmente è quella di “Commanda”, un ritratto di fantasia raffigurante Amanda, la moglie di razza mista dell’autore, che appare parzialmente velata e con una bomboletta spray in mano, un’allusione alla pratica della street art di Fairey. La donna diventa per l’artista il modello universale di donna impetuosa, indipendente e intraprendente e dialoga in mostra con “Donna alla toletta” (1930) di Antonio Donghi. Anche “Mujer fatale” ha il volto parzialmente coperto e sembra di etnia non ben determinata, ma in questo caso si allude al movimento zapatista del Messico. Le è accanto “Violette” (1913) di Enrico Lionne, con cui condivide l’aria misteriosa e la presenza di un copricapo.

Allestimento Shepard Fairey
Shepard Fairey, Guns and Roses, 2019

Tra i molteplici temi del dissenso di Obey, troviamo l’opposizione alla guerra. In “Guns and Roses” si ispira a un poster cinese, creato durante la grande rivoluzione culturale proletaria del 1966-76, che, partendo dal presupposto che la potenza militare fosse necessaria per ottenere vantaggi politici, utilizzava la frase di Mao ZedongIl potere politico nasce dalla canna di un fucile”.

Fairey si discosta dall’illustrazione originale delle braccia alzate che brandiscono le armi, infilando delle rose nelle canne dei fucili: un mezzo efficace che contraddice la bellicosità del messaggio orinale e che ricorda le manifestazioni pacifiste al tempo della guerra del Vietnam (anche in Italia i Giganti cantavano “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”).

L’opera è emblematicamente messa a confronto con il “Cannone” di Pino Pascali (1965) e con una foto iconica di Claudio Abate.

 In “Greetings from Iraq” Fairey parte da una modesta cartolina del parco di Yellowstone, che mostra un geyser, per trasformare l’immagine con l’aggiunta di torri di perforazione (e dromedari sullo sfondo) in un’esplosione che allude al petrolio come causa della guerra del Golfo.  Questa volta l’accostamento è con una suggestiva opera del 1921 di Antonio Discovolo, dal titolo “La ninfa addormentata”.

Pochi anni dopo l’inizio della seconda guerra del Golfo, Fairey ha realizzato l’opera “Arab Woman”, come risposta alla forte retorica anti-islamica del tempo, ora riproposta nell’inedita versione del 2019 accanto alla “Cassandra” di Guglielmo Janni (1934-35).

Tra le varie “interferenze d’arte” proposte nella mostra, un altro abbinamento interessante è dato dal gioco di sguardi del “Big brother is watching you” con “Susanna“ (1929) di Felice Casorati e con “Il dubbio” (1907-08) di Giacomo Balla (spettacolare ritratto della moglie), il pugno chiuso di “Obey fist” con “Compagni Compagni” (1968) di Mario Schifano  e con “Il Comizio” (1949-50) di Giulio Turcato, in cui “le essenze cromatiche delle bandiere rosse si trasformano in forza politica e voce d’artista antagonista”, come si legge in mostra.

Turcato, Comizio

Ricordiamo pure “Proud parents”, i genitori che cullano una bomba al posto del figlioletto, messi a confronto con “Gli Arnolfini Mazzola at Madmountain” (1978) di Luca Maria Patella e ancora “Nixon Money” con “Willy Brandt / Mörder von Rechts / Non esiste l’anima?”  (1992-97) di Fabio Mauri.

Nica FIORI  Roma 20 settembre 2020

Shepard Fairey. 3 Decades of dissent

Galleria d’Arte Moderna di Roma, Via Francesco Crispi, 24

Catalogo Silvana editoriale

Orario: da martedì a domenica ore 10.00-18.30. Biglietto: intero € 7,50; ridotto € 6,50

Per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale: Intero € 6,50; ridotto € 5,50. Ingresso con biglietto gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Gratuito per i possessori della MIC Card. Preacquisto consigliato online. È obbligatorio l’uso della mascherina anticovid

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00); www.galleriaartemodernaroma.it