di Marcello AITIANI

Carissimo Padre Bernardo
in questi giorni di crepuscolo, serale ma anche del mattino, ho letto la tua riflessione su Papa Francesco uscita su Repubblica e, nelle Notizie del sito dell’Abbazia di San Miniato al Monte che mi hai segnalato «i versi sublimi di Roberto Carifi».
Una «cerniera d’amore schiude alla luce – scrivi con i tuoi fratelli monaci olivetani – l’oscuro destino notturno trasformando in oriente il nostro occidente»
Profondo, vibrante, carico d’umanità, di poesia e spiritualità concreta, il tuo scritto m’appare specchio di Francesco, una sua luminosa immagine autentica. Tutti hanno percepito in lui, e questo nella tua riflessione ritorna, il senso d’un’umanità viva e perciò accogliente nella fede il sorriso di Dio. Tornare al tangibile vivente del veramente umano permette, penso, di penetrare nelle cose della vita e dell’arte.
È bello guardare cristianamente l’esistenza non tanto con la lente di un incorporeo principio ispiratore quanto, piuttosto, con una viva partecipazione al volto concreto delle persone. Serve per questo un’Anschauung, un vedersi, un vedere gli altri e l’Altro con cuore, mano e testa e non solo con idealistica astrazione: «sguardo sulla totalità dell’essere e d’un essere concretamente determinato» (Romano Guardini) [1].
Dopo la morte di dio, dell’uomo e dell’arte, giustamente proclamata nell’ambito di un’antropologia essenzialista, la decostruzione del soggetto-costruito può far riemergere un suo più autentico nucleo, non ridotto a mezzo di un’ottica puramente produttivista e funzionalista. Un seme da cui crescono esseri della natura e singoli umani, ognuno relazionato agli altri e dotato di una sua forma irripetibile pur nella dinamica del divenire.

Esistenti non dissolti in un fluxus che dal Rinascimento progressivamente li ha annientati e liquefatti sempre più, in un continuum di dati quantitativi, come aveva osservato Pavel Florenskij anche da un’angolazione matematica [2]; e, nel Dataismo della contemporaneità, tanto pervasivamente monitorati da spingere alcuni a credere che gli esseri umani possanno essere manipolabili e totalmente controllabili.
Esistenze di singoli e comunità che invece, discontinui, fioriscono de-centrati, irriducibili a sintesi e a istruzioni computazionali in balia di proprietari tecnocratici.
Nella vita come nell’arte occorre- osservava Romano Guardini –
«recuperare quella ricchezza di immagini e quel fascino di azioni che possono condurre l’uomo d’oggi nel mondo della Rivelazione in maniera forse più viva e più umana delle istruzioni e delle esortazioni» [3],
in modo che l’umanità possa essere sensibile e cosciente della luminosità libera che in sé vive, per vibrarne e irradiarla all’esterno.
Intelligenze cieche e senza luce hanno distrutto l’autenticità dell’esistenza, costretta a vivere in grovigli banali, dove insetti-ingranaggio con ruote dentate sempre più immateriali strangolano l’uomo nel circolo vizioso della noia algoritmica e dorata; ma l’informe, il brutto, il dolore dell’emarginato vivo sconvolgono ideologie comportamentiste estreme e l’intrico di città alveari, eterodirette, “ordinate”, umanistiche e non umane.
La macchina tecno-economico-politica è tarlata dal dolore di creature disperse e sole. Il loro scandalo apparentemente impotente – cui le luminose, risonanti, coraggiose parole di Papa Francesco hanno dato voce – frantuma nel silenzio il chiassoso demiurgo.
Penso che solo così la tecnologia, frutto meraviglioso dell’intelligenza dell’uomo, potrà essere al servizio del bene dell’umanità. Come scrive Shoshana Zuboff, «se il futuro digitale sarà casa nostra, allora spetta a noi renderlo abitabile» [4].
Marcello AITIANI Siena 11 Maggio 2025
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