“San Pietro consegna le chiavi a San Lino”; una pala di Mauro Picenardi nella parrocchiale di Lurano (BG).

di Natale MAFFIOLI

PALA DELLA PARROCCHIALE DI LURANO: SAN PIETRO CHE CONSEGNA LE CHIAVI A SAN LINO.[1]

La descrizione più attendibile del quadro attribuito a Mauro Picenardi (fig. 01) è contenuta nell’importante opera di Luigi Pagnoni sulle Chiese parrocchiali bergamasche, dove l’autore descrive brevemente la nuova chiesa parrocchiale di Lurano:

Nell’interno, particolarmente ampio e luminoso (tranne la parte presbiteriale un poco mortificata dall’ombra) sono stati collocati alcuni dipinti provenienti dalla vecchia parrocchiale, tra cui la tela centinata con l’episodio, iconograficamente assai raro, di S. Pietro che trasmette le chiavi a S. Lino, opera della seconda metà del ‘700, molto vicina alla maniera del cremasco Mauro Picenardi.”[2].
fig 1

Originariamente il dipinto era collocato nell’abside della parrocchiale antica, in una cornice di stucco bianco con elementi vegetali stilizzati in parte dorati e all’apice del contorno c’era il tipico monogramma dei santi martiri (fig. 02).

fig. 2

Interessante anche l’illuminazione della tela che riceveva una luce zenitale dalle finestre della cupola che sovrastava il presbiterio. Nel 1964, al momento della consacrazione del nuovo edificio la tela fu trasferita e collocata sulla controfacciata della nuova chiesa parrocchiale; la sua attuale collocazione è avulsa da ogni contesto figurativo e simbolico e senza alcun riferimento al santo patrono ma unicamente come ‘deposito’ di quadri provenienti dalla parrocchiale dismessa.[3]

Si è già visto come anche l’altare maggiore, opera dei Manni, scultori e intarsiatori del marmo di Gazzaniga, era stato trasferito dall’antica alla nuova chiesa. L’unico riferimento al santo patrono, attualmente, si trova al cento del paliotto dove una intensa immagine di San Lino è scolpita in armo bianco di Carrara su fondo di marmo nero portoro, entro una cornice ovale (Fig. 03).

fig. 3
fig. 4

Il santo, con la testa coronata dalla triplice tiara, leva la mano destra in atteggiamento benedicente sui fedeli luranesi. Immagine questa che ricorda la figura di Sant’Ambrogio che, armato di un flagello, leva minaccioso la destra in difesa delle verità della fede (Fig. 04).

Iconografia

Come scriveva il Pagnoni l’iconografia non è consueta; sulla tela è raffigurato San Pietro e, accanto, il suo primo successore San Lino e compie un gesto che, a quanto consta, è storicamente improponibile. I due santi si incontrano e compiono un gesto che è estremamente significativo: Pietro offre al suo amico le simboliche chiavi del Reno dei Cieli. È un atto carico di significato umano ed ecclesiale: il dare le chiavi ha senso perché San Pietro gli offre le chiavi di casa sua, il gesto ha anche questo significato, lo rende padrone della sua casa, la Chiesa. Quelli che gli stanno attorno non sono soltanto i carnefici o gli assistenti al supplizio, (soprattutto quelli che stanno spogliando San Pietro) sono i testimoni inconsapevoli del gesto che San Pietro sta compiendo: trasmettere quello che lui, a sua volta, ha ricevuto; stanno tutti assistendo ed un passaggio di consegne. Sono indifferenti alle conseguenze del gesto perché non conoscono l’antefatto, cioè l’apostolo dà ciò che non è suo.

I due si guardano con uno sguardo di intesa, sembra quasi che San Pietro ricordi quello che Gesù gli ha detto a Cesarea di Filippo: “a te darò le chiavi del regno dei cieli”.

È una investitura che assume un significato ben più profondo del semplice fatto perché la consegna avviene ai piedi degli strumenti del martirio: è ben visibile il palo verticale della croce, lo ‘stipes’, le carrucole che servono per trascinare in alto il corpo di Pietro, il palo orizzontale (detto in latino ‘patibolum’) è posto alle spalle del condannato. Un gruppo di sgherri assiste alla spogliazione con assoluta indifferenza, d’altronde fanno un gesto per loro usuale di cui non ne percepiscono la carica determinante la storia della Chiesa.

Tutto pare immerso in una situazione di indifferenza; coloro che dovrebbero essere i più coinvolti, gli angioletti (è interessante la somiglianza dell’angelo della pala dei Santi Cosma e Damiano nella chiesa parrocchiale di Verdello sempre dello stesso Picenardi) pare che si divertano e giochino con la triplice croce papale e la tiara, mentre quello, paffuto, svolazza sopra la scena portando ai Santi una corona (simbolo della gloria del martirio) e una palma sempre offerta ai martiri.

La scena è ambientata in aperta campagna; l’aria è tersa, le piante concorrono a creare un patos che ha un rimando naturalistico, gli alberi nodosi in primo piano fanno da quinte alle montagne dell’orizzonte; nell’atmosfera del fondale tutto crea una situazione che non è di tragedia ma di ‘liturgia’ perché quello che si sta ‘celebrando’ tra i due Santi è un autentico rito: un rito di consegna. La scala appoggiata allo ‘stipes’, la terra scavata di fresco, dove infiggere la croce, tutto concorre a creare un senso di usualità di qualche cosa che non è straordinario, l’unica cosa che è dunque straordinaria è il gesto: il passaggio di consegne da San Pietro a San Lino.

Il viso dei due santi (figg. 05-06), con la barba lunga e brizzolata, è segnato dal tempo, entrambi sono anziani e il pittore ha ritratto il loro sembiante nobile e marcato dal peso della vita non ricorrendo al solito prontuario di visi (ritengo che il Picenardi ne avesse di interessanti a disposizione), ma facendo riferimento all’usualità perché si possono trovare delle corrispondenze in alti dipinti realizzati dal pittore,; anche i volti degli astanti (dei carnefici e dei soldati) sono ben caratterizzati (fig. 07).

fig 7

QUALI DOCUMENTI?

Non si conoscono documenti, (né nell’archivio parrocchiale, né in quello diocesano e neppure in quello comunale) che abbiano relazioni con il dipinto. Lurano è stato fino ad anni recenti, un paese eminentemente agricolo, ed aveva la nobile famiglia dei Secco-Suardo che, nei secoli passati, deteneva il potere, A questa famiglia si dovrebbe fare riferimento per opere di prestigio presenti sul territorio.

Il Picenardi non aveva mai avuto, a quanto consta, relazioni con i Secco-Suardo di Lurano, ma di certo con un membro di questa numerosa famiglia: la contessa Paolina Secco Suardo.

fig 8

Paolina era nata a Bergamo nel 1746 (fig. 08) e si era sposata con un nobile bergamasco il conte Luigi Garismondi. In un primo tempo a Verona (dove si era trasferita seguendo il marito) aveva intrattenuto relazioni colte con eminenti personalità del tempo, tra gli altri con Ippolito Pindemonte, il traduttore dell’Odissea e, tornata a Bergamo, con Lorenzo Mascheroni e, lei stessa poetessa, aveva assunto il nome d’arte poetica di Lesbia Cidonia (fu proprio il Pindemonte a favorire il suo ingresso, con questo nome, nella prestigiosa accademia dell’Arcadia).

fig 9

La contessa Paolina ospitò per molto tempo il Picenardi nella sua dimora di Bergamo e lo introdusse nell’ambìto del mondo della committenza bergamasca. La permanenza del pittore nella dimora della Secco Suardo è testimoniata anche dall’erudito Giuseppe Beltramelli (1737-1816). Il Picenardi dipinse, penso come segno di gratitudine, un ritratto della contessa (fig. 09).

Anche se lontana da Lurano non è detto che non abbia fatto visita ai parenti di Lurano; la contessa avrà avuto certamente modo di intrattenere, con i parenti ‘campagnoli’, relazioni di carattere colto, ed è possibile che sia stata lei a suggerire ai consanguinei di contribuire alla formazione della pala d’altare della loro chiesa, e forse, avendo visitato Lurano avrà potuto vedere il ‘vuoto’ dietro l’altare maggiore e sia stata lei a suggerire, prima al parentado, poi al Picenardi, la realizzazione del dipinto come pala principale  e probabilmente intervenire anche pagando le spese della sua esecuzione. L’essere poi il soggetto inusitato lascia intendere che fosse il risultato di una considerazione e di una decisione proveniente da una mente raffinata e colta come poteva essere quella della contessa Paolina. Il dipinto di Lurano è stato scarsamente considerato dalla letteratura artistica.

L’attribuzione al Picenardi, che compare negli scritti di Mons. Pagnoni sulle chiese parrocchiali bergamasche, trova conferma nei caratteri stilistici che lo informano, riconducibili alla produzione del pittore cremasco[4].

BREVE BIOGRAFIA DEL PITTORE

Mauro Picenardi nasce a Crema il 15 gennaio del 1735. Era un figlio d’arte, suo padre era pittore e impartì al figlio i primi rudimenti dell’arte sua, ma la sua cultura si sviluppò nei due poli fondamentali della sua vita: Crema e Bergamo.

La vera linea ispiratrice del Picenarrdi è da ricondursi a Verona; la sua presenza è documentata fin dagli ultimi decenni del ‘600 con un riferimento a Martino Cignaroli, ma la svolta decisiva doveva imporla il fratello, Gianbettino che lavorò nella parrocchia di origine di Mauro. La letteratura artistica evidenzia questa dipendenza del Picenardi con Gianbettino, al quale il giovane Mauro era legato perché membro dell’accademia, costituita nel 1764 dall’artista; vi era stato ammesso a Verona il 22 giugno 1769; che  fosse eletto tra gli accademici d’onore e anche se non ci sono documenti certi, si è propensi ad accettare un alunnato del Picenardi dal Cignaroli nel 1770; alla morte del Cignaroli, Picenardi fece ritorno, dopo una lunga presenza a Verona, in patria a Crema, per stabilirsi pianta stabile fino 1782, anno della sua partenza per Bergamo. Comunque i contatti con la cultura figurativa di Verona sono innegabili, ma non sufficienti a spiegare il suo inconfondibile fare pittorico. A Bergamo comunque aveva lasciato in precedenza opere pittoriche, tanto da creare una sorta di ‘attesa’ nella città orobica. Rende ragione di questa sua presenza, un dipinto (uno “Sposalizio della Vergine”), realizzato nel 1775 e ancora presente nella chiesa bergamasca di Sant’Alessandro in Colonna. L’opera si presenta equilibrata e denota una impronta che deriva al Picenardi dalle lezioni del Cignaroli.

Dal 1782 la sua presenza a Crema non è più attestata dai documenti, segno che pittore si è trasferito definitivamente a Bergamo. La sua presenza in città fu facilitata dall’appoggio offertogli dal conte Giacomo Carrara, come risulta da due missive scrittegli da Crema per motivi legati all’attività pittorica del Picenardi. Si conosce, come si scriveva sopra, il mecenatismo della contessa Paolina Secco Suardo che lo ospitò nella sua dimora bergamasca. Tra le alte cose dipinse una pala per la chiesa parrocchiale di Sorisole, dove raffigurò ‘Il sacrificio di Melchisedech’ (fig. 10) l’opera testimonia anche la posizione oramai sicura acquisita del Picenardi in terra bergamasca.

fig 10

Il pittore morì a Bergamo nella parrocchia di Sant’Andrea il 30 maggio 1809.

Natale MAFFIOLI  Torino 5 Marzo 2023

[1] Questo mio breve lavoro è dedicato a Franco Monetti, un amico che ricordo con gratitudine e affetto. Un grazie anche a don Mauro Vanoncini parroco di Lurano e ad Andrea Bugini per il sostegno che mi hanno sempre accordato.
[2] L. PAGNONI, Appunti di Storia e Arte, Chiese parrocchiali bergamasche, Beragamo 1979, p. 226.
[3] Dimensioni della tela sono di cm. 424 X 283 ca. C’è da augurarsi che in un futuro ripensamento della disposizione del dipinto, sia collocato in un luogo idoneo, cioè sul fondo del presbiterio.
[5] I Pittori Bergamaschi Dalle Origini Al Settecento, vol.V, p.710.