“Rinascimento Marchigiano”. Alla Mole Vanvitelliana di Ancona tra grandi Maestri e opere recuperate

di Massimo FRANCUCCI

Tutela e valorizzazione sono le due facce ormai codificate della medaglia più ricercata da chi si occupa di beni culturali: se si tratta ovviamente di un ideale da perseguire, un evento espositivo, giunto alla terza delle sue quattro tappe, ci indica nella pratica alcune corrette vie verso la best practice sull’argomento.

Ci si riferisce a Rinascimento Marchigiano. Opere d’arte restaurate dai luoghi del sisma lungo i cammini della fede, a cura di Pierluigi Moriconi e Stefano Papetti, mostra che segue di qualche anno un primo appuntamento dedicato al recupero del patrimonio culturale marchigiano colpito dagli eventi sismici.

Non solo quelli più tragici del 2016/2017, ma anche i terremoti che hanno colpito la zona litoranea nel 2022 hanno provocato danni per riparare i quali si sta lavorando alacremente. Se queste operazioni spesso si svolgono sotto silenzio e comportano interventi a difesa di opere anche poco note ma importanti per il contesto che le ha viste nascere e le ha tramandate fino a noi, la mostra permette di dare un giusto risalto a questa attività che ha visto il concorso e l’impegno di vari protagonisti.

Andranno di certo ricordati al proposito la Soprintendenza, il Pio Sodalizio dei Piceni, l’ANCI Marche, il commissario straordinario per la ricostruzione post sisma Guido Castelli, oltre ai curatori che hanno coordinato l’azione di numerosi attori, tra i quali si segnalano quelli impegnati nel restauro dei manufatti in mostra, un’altra eccellenza del territorio poiché tutti marchigiani. Dopo San Salvatore in Lauro a Roma e il Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno, la mostra è ora e fino al 15 giugno alla Mole Vanvitelliana di Ancona, passerà poi a San Severino Marche, dal 27 giugno al 28 settembre 2025, dove sarà accompagnata da numerosi eventi di contorno.

Non sono molte le opere esposte ma la scelta restituisce in ogni caso la ricchezza e la varietà di un patrimonio artistico come quello marchigiano ben più ricco e variegato dei nomi più celebrati e delle opere più famose per i quali viene solitamente ricordato. La sede anconetana ha permesso, grazie agli ampli spazi messi a disposizione, di rispettare in gran parte la filologia cronologica delle opere: si parte dunque con le croci lignee, le vere protagoniste dell’arte e della devozione dell’ultimo scorcio di medioevo. I contesti ricostruiti sono sia artistici che religiosi, poiché si tratta di opere di provenienza ecclesiastica, concentrate sulle rotte percorse dai pellegrini del passato, che si ricongiungono alle vie del Giubileo attuale.

Maestro del Crocifisso di Sant’Eutizio, XII secolo, Crocifisso, Matelica, Museo Piersanti
Maestro marchigiano della fine del XIII secolo, Crocifisso, Corridonia, Chiesa dei Santi Pietro, Paolo e Donato

Chissà quanti si sono fermati a pregare davanti a questi crocifissi, meravigliosi esempi dell’arte della carpenteria: intagliati e dipinti, restituiscono con diverso pathos e differente tipologia, la temperie culturale di una regione da sempre volta al plurale. L’esemplare più antico, connotato dalla fissità e dalla ieraticità tipiche del Christus Triumphans, proviene dal Museo Piersanti di Matelica al quale è giunto dalla chiesa di Sant’Eutizio della stessa città, con un passaggio intermedio nella locale cattedrale dove raccolse le attenzioni di Lionello Venturi. Questi ne notava i tratti peculiari che non forniscono connessioni utili con la produzione locale del tempo e ne favoriva la collocazione museale.

Un altro grande studioso del passato, Pietro Torriti, soprintendente nelle Marche per circa un lustro, si è invece occupato della Croce del Santissimo Salvatore di Ancona, chiesa oggi conosciuta col nome dei santi Pellegrino e Teresa e nelle forme che si devono a una ricostruzione settecentesca.

Maestro Marchigiano, XIII secolo, Crocifisso, Ancona, San Salvatore, Pellegrino e Teresa
Maestro Marchigiano, XIII secolo, Crocifisso, Ancona, San Salvatore, Pellegrino e Teresa (particolare)

Anche in questo caso il Cristo è presentato vivo sulla croce e con una resa anatomica che si distacca dal legno precedente, tanto da rendere necessario pensare che sia trascorso qualche anno tra le due opere. Altri ne devono essere passati prima che il Crocifisso di Corridonia vedesse la luce: qui passi avanti sono stati fatti nel delineare le proporzioni del fisico di Cristo che appare nella sua veste sofferente di Patiens, segnato dalle ferite dalle quali discendono rivoli di sangue che si dipanano in sprazzi di terribile verismo. Anche l’idea dei due piedi sovrapposti e trafitti da un solo chiodo è cosa diffusasi solo nella seconda metà del Duecento, momento nel quale deve collocarsi cronologicamente l’opera in questione.

Raccolti in un’unica sala solo il polittico di Valle Castellana di Carlo Crivelli, confrontato con uno di Pietro Alamanno, del quale sono esposte poi altre opere.

Carlo Crivelli Polittico di Valle Castellana, Acoli Piceno, Pinacoteca Civica
Pietro Alamanno, Madonna col Bambino, Santa Lucia e Cristo Passo, Montefortino, Pinacoteca Fortunato Duranti

Ciò permette di verificare le differenze e le peculiarità dei due artisti, e anche comprendere le ragioni che in passato avevano portato a riferire al pittore austriaco anche il dipinto della Pinacoteca Civica di Ascoli, chiaramente di Carlo come certifica la firma che le indagini diagnostiche hanno ulteriormente riconosciuto ricalcare quella originale.

Carlo Crivelli, Polittico di Valle Castellana, Acoli Piceno, Pinacoteca Civica, Particolare
Carlo Crivelli, Polittico di Valle Castellana, Acoli Piceno, Pinacoteca Civica, Particolare

D’altra parte, anche se si tratta del più dotato dei sodali di Crivelli, l’Alamanno non ne raggiunge mai gli apici, mancando di quella precisione, di quell’amore per i dettagli, di quella coerente commistione di Rinascimento e Gotico internazionale, che fanno di Carlo uno dei pittori più amati del Quattrocento, nonostante il silenzio di Vasari su di lui.

Il polittico di Valle Castellana ci è giunto frammentario e senza cornice, nonché con alcune lacune risarcite al meglio possibile nell’occasione. Al centro la Vergine ha il Bambino sul grembo intento a benedire con nonchalance le piccole figure delle committenti in basso a destra dell’osservatore. Sullo stesso lato, ma con un importante scarto dimensionale vi è Santa Lucia col suo piattino usato per reggere gli occhi. Sopra la firma a lettere, vi è quella del grosso pomo, tipico vezzo del pittore uso a inserire frutta e verdura nelle sue scene sacre.

Stupendo è il San Sebastiano in abiti rinascimentali presente sulla tavola di destra, mentre più sfortunato ma bellissimo nei punti meno colpiti dai danni del tempo è il sant’Antonio Abate dirimpetto. Alcuni di questi santi sono presenti nel polittico di Montefortino, opera di Pietro Alamanno, dove la Madonna col Bambino è affiancata da San Sebastiano e dal santo medico Cosma, qui privato, a quanto pare, della compagnia di Damiano. Delle altre tavole resta solo Santa Lucia e il Cristo Passo della cimasa accompagnato dagli strumenti della Passione, restituiti con insolito verismo. Importante anche per l’iscrizione che la ancora al 1485 e ne fa un pilastro della produzione certa del pittore austriaco è la paletta di Cerreto di Venarotta, oggi al Museo Diocesano di Ascoli Piceno, nella quale compaiono i due committenti, ossia Marino di Pasquale e la sua consorte, ricordati anche loro dalla scritta che compare sullo scalino in prospettiva. La strana iconografia, che vede la Madonna col Bambino assieme a San Sebastiano e al Cristo Benedicente, si deve alla provenienza originaria dell’opera, ossia la Chiesa del Salvatore. Cristo vi appare una terza volta, – non per niente è trino -, nella cimasa al culmine delle sue sofferenze.

Partito da una cultura pittorica non lontana da quella di Crivelli è Antonio Vivarini da Murano, la cui presenza nelle Marche, ribadisce la fortuna della corrente adriatica che avrebbe condotto opere venete nella regione per almeno un altro secolo, prima che i committenti locali si orientassero per lo più in altro modo.

Antonio Vivarini, Pilittico di Corridonia, Corridonia, Pinacoteca Parrocchiale

L’opera in mostra proviene dalla Pinacoteca parrocchiale di Corridonia, dove decorava l’altare maggiore della Chiesa dei Santi Pietro, Paolo e Donato, prima di venire sostituita nel Settecento da una tela del Sansone, bolognese, fatto che ribadisce quanto appena affermato sopra. Nei passaggi successivi si perderanno alcuni elementi del polittico, rimangono in sede tre “dittici” con San Pietro e Nicola di Bari, Paolo e Giorgio, e le sante Lucia e Caterina d’Alessandria.

Il Quattrocento è stato un secolo particolarmente fortunato per l’arte della zona, anche pittori locali si sono guadagnati i galloni di maestro. Una fucina importantissima si era sviluppata a Camerino, San Severino Marche non era da meno: si veda qui Lorenzo d’Alessandro, pittore che dimostra sempre di aver tratto il meglio da ciò che poteva osservare attorno a sé, dai ricordi dei Salimbeni, alla conoscenza di Crivelli, fino all’assimilazione di alcuni tratti dell’Alunno. Nell’occasione si potrà ammirare la pala di Matelica (Museo Piersanti), proveniente dalla Chiesa di San Michele Arcangelo.

Lorenzo d’Alessandro, Madonna col Bambino, Sant’Anna, San Rocco e Sebastiano, Matelica, Museo Piersanti

La Madonna col Bambino e Sant’Anna occupano la porzione centrale del dipinto, con la presenza di Rocco e Sebastiano a fare della pala il fulcro della protezione durante le ondate di peste. In alto Cristo Passo con San Domenico e San Michele Arcangelo chiudono la scena.

A Crivelli guarda anche Cola dell’Amatrice, che è però in grado di comprendere e mettere in pratica le novità raffaellesche conosciute a Roma. Alla sua stretta cerchia si deve lo stupendo polittico del Museo Diocesano di Ascoli.

Cola dell’Amatrice e bottega, Madona col Bambino in trono e i Santi Stefano, Giovanni Battista, Pietro, Lucia, il Redentore, Ascoli Piceno, Museo Diocesano
Cesare Dandini, San Carlo Borromeo in gloria e santi, Ancona, Chiesa del Santissimo Sacramento

È il momento poi di giungere al Seicento, nel quale come detto diverse sono le linee che portano opere d’arte forestiera nelle Marche. Inattesa è la pala della Chiesa del Santissimo Sacramento di Ancona, una delle rare dipinte da Cesare Dandini per una collocazione fuori dalla Toscana, già ammirata e ricordata da Filippo Baldinucci. Le belle tonalità della pittura fiorentina del Seicento, apprese dall’artista grazie agli insegnamenti impartiti da Francesco Curradi e Passignano, si evidenziano soprattutto negli abiti di San Lorenzo in basso e del protagonista della tela: San Carlo Borromeo, da non molto canonizzato quando il musico Giovanni Battista Severi incaricava Dandini della pala.

I committenti facevano a gara per accaparrarsi i servigi di pittori alloctoni, come se questo fosse sintomo di un gusto artistico più raffinato dimostrando poi i contatti intessuti dai nobili marchigiani con le grandi capitali dell’arte barocca, tra tutte Roma.

Qui aveva svolto il suo apprendistato a fianco di un marchigiano di successo come Maratti, Ludovico Trasi ma, nonostante ciò, avrebbe faticato a far riconoscere il suo valore in patria. Il rimando puntuale a modelli maratteschi e sacchiani si esprime anche nella Presentazione al Tempio della Pinacoteca di Ascoli.

Chiudono infine la mostra due tele alle quali sono particolarmente legato poiché realizzate da Giuseppe Puglia. La Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Maddalena è stata recuperata dall’altare Manardi della chiesa dei cappuccini di Amandola, pesantemente colpita dal terremoto.

Giuseppe Puglia, Il Bastaro, Madonna col Bambino adorati dai Santi Francesco e Maddalena, Amandola, Chiesa dei Cappuccini
Giuseppe Puglia, Il Bastaro, Pietà, Visso, Collegiata.

Col il necessario restauro si è svelata la firma del pittore “IOSEPH PULIA PINX” che confermava quanto ipotizzato inizialmente da Daniela Ferriani anche sulla base di un accenno di Giulio Cantalamessa. Il pittore vi metteva in opera quella peculiare amalgama stilistica che lo ha reso celebre, ossia il rimando qui quanto mai puntuale all’opera di Guido Reni, – nell’occasione la Pala della Peste -, unito a quel sentire naturalistico che gli derivava dalla frequentazione di Antiveduto Gramatica. Tra i suoi ultimi lasciti rimane la Pietà di Visso, città tra le più martoriate dal sisma. Abrasa, probabilmente resecata, la tela mostra nei punti meglio conservati una grande forza espressiva con il corpo ben modellato del Cristo che si abbandona sul grembo della madre pronta a reagire a quella morte con un pianto commosso ma altrettanto composto. Il recupero di questa pala, il suo restauro, la sua rinascita sono un perfetto paradigma di quello che sta succedendo, con diverse velocità, al territorio scosso dal terremoto, nella speranza che possa presto tornare a vivere i fasti di un tempo.

Massimo FRANCUCCI   Roma, 27 Aprile 2025