Riemerge una “Vocazione di San Matteo” ispirata a Caravaggio. Ma su personaggi e ruoli non ci sono dubbi.

di Emilio NEGRO

UNA Vocazione di San Matteo FIRMATA DA UNO SCONOSCIUTO SEGUACE DEL CARAVAGGIO

Reinterpretando le due celebri strofe dell’Amleto di Shakespeare (“There are more things in heaven and earth, Horatio/ Than are dreamt of in your philosophy”, 1600 ca.), si potrebbe dire che i dipinti eseguiti dagli anonimi seguaci di Michelangelo Merisi da Caravaggio siano più numerosi di quanti ne possano immaginare gli estimatori di quella affascinante corrente artistica. Tanto è vero che capita spesso di vederne riprodotti diversi di cui si ignorava l’esistenza. Accade altre volte di ammirarli de visu sulle pareti delle case-museo di collezionisti che hanno scelto di dedicare parte delle loro risorse e del tempo libero all’acquisizione, alla salvaguardia e allo studio di tale coinvolgente genere di pittura. Alla geniale inventiva di questi maestri quasi del tutto dimenticati o totalmente sconosciuti, Gianni Papi ha dedicato opportunamente una pubblicazione dal titolo azzeccato quanto accattivante: Il genio degli anonimi1.

Succede di rado di riuscire a collegare un’opera caravaggesca al nome di un pittore citato dalle fonti storiche o dai documenti e, ancora più raramente, accade di imbattersi in uno di quei dipinti siglati e datati2; ma raramente non significa mai, e perciò può capitare di scoprire un’inedita Vocazione di San Matteo (FIG.1), che rielabora con innegabile originalità la più celebre versione eseguita da Michelangelo Merisi nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi (1600 ca.):

fig 1

si tratta di un olio su tavola di castagno di cm 90 x 67, in buono stato di leggibilità nonostante la vecchia rottura in due parti del supporto ligneo e qualche abrasione della superficie pittorica dovuta ad antiche puliture3.

“HARRODS DEPOS./ BARNES S W 13/ LADY NINA KNOWLES/ Depos. N. 719/ Recieved 10 10 36”, è l’iscrizione leggibile sull’etichetta incollata nel verso della tavola, grazie alla quale si può risalire almeno fino all’ultima parte della sua complessa vicenda collezionistica. La targhetta testimonia infatti che nell’autunno del 1936 la nostra Vocazione di San Matteo si trovava presso la sede londinese di un noto edificio per lo stoccaggio delle merci: l’Harrods Furniture Depository, ancora esistente tuttora sulla riva sud del Tamigi, sebbene trasformato in un centro residenziale. A lasciarla in consegna al capiente magazzino era stata la legittima proprietaria, Lady Nina Geraldine Knowles (1884-1951), nata Ogilvy Grant e vedova di Sir Lees Knowles, i cui ritratti fotografici scattati da Alexander Bassano, sia in divisa da crocerossina, sia in abiti borghesi, fanno parte della collezione della National Portrait Gallery di Londra (FIG.2).

fig 2

Lady Nina fu una generosa nobildonna inglese che donò la Turton Tower alla comunità di Chapeltown (North Turton, Lancashire) ed un dipinto attribuito a Jan Brueghel il Vecchio al Salford Museum and Art Gallery4. La sua ragguardevole biografia sembra uscita da una sceneggiatura scritta da Julian Fellowes, l’autore della fortunata serie televisiva Dowton Abbey: sposò Sir James Lee Knowles, eccellente atleta ed esponente di spicco del partito conservatore, si interessò di politica e assistenzialismo, mentre altre opere d’arte di sua proprietà furono vendute in asta nel corso degli anni.

Anche questa Vocazione di San Matteo è stata ambientata presso il banco della gabella della città di Cafarnao, in Galilea, poiché secondo la tradizione evangelica Matteo vi lavorava come esattore. Il futuro santo è da riconoscere nell’uomo maturo con la bilancia che, all’oscuro di quanto sta accadendo, valuta le monete imitando in siffatto modo l’invenzione del Caravaggio nella grande tela di San Luigi dei Francesi. Tra i personaggi riconoscibili intorno a lui, si nota innanzitutto San Pietro che sta alle spalle di Matteo e lo indica con la destra, vediamo poi il suo giovane aiutante col registro dei pagamenti, intento ad osservare perplesso la scena; non manca infine una donna anziana dal volto rugoso, del tutto somigliante alle vecchie ritratte dal grande maestro lombardo, impegnata a guardare di sottecchi il Salvatore che con un lieve cenno della mano chiama a sé il discepolo: secondo il Vangelo, Gesù si limitò a pronunciare la sola parola “seguimi!”, in risposta alla quale Matteo si alzò e ubbidì. Sono rimarchevoli anche gli oggetti sparsi sul panno verde steso sopra al tavolo, che costituiscono una natura morta composta dal sacchetto contenente i denari delle riscossioni, dalla cassettina col necessaire da cambiavalute, un calamaio, rotuli di carta, un registro e alcune monete.

fig 3

Le qualità stilistiche del dipinto, realizzato con impasto pittorico compatto e smaltato, illuminato da una luce calda atta a segnare le marcate fisionomie dei volti e a definire i volumi degli oggetti, si legano agli stilemi delle prestigiose scuole pittoriche nordeuropee, che raggiunsero il loro massimo splendore nella prima metà del XVII secolo. Il rapporto con la rivoluzionaria cultura figurativa di Caravaggio è dunque filtrato attraverso una visione generale fiamminga che si presta ad una novella rilettura dell’archetipo caravaggesco; ne consegue che l’intensa tonalità delle tinte e l’espressività corrusca dei visi riecheggiano anche le pitture mature di Pieter Paul Rubens, la coeva arte francese di Simon Vouet, Valentin de Boulogne, Nicolas Regnier e soprattutto di Jean van Bijlert. Tutto ciò convince ad orientare la lettura stilistica di questa Vocazione di San Matteo verso un promettente epigono delle grandi tradizioni artistiche caravaggesche nordiche: l’altrimenti sconosciuto “L. IDO.”, così egli si sigla con orgogliose lettere capitali, affiancando al suo nome la “F” di fecit, seguita dalla data 1652 (FIGG.3 – 4).

Particolare della firma e della data Fig 4

Ecco quindi l’opera di un pittore capace, maturo, dotato di una cultura figurativa piacevolmente composita che, al pari dei maestri sopra ricordati, forse come molti di loro si trasferì a Roma per studiarne le bellezze, ma di cui nulla ci era finora restituito. Il pensiero visivo di questo originale maestro, che si misura con il noto modello del Merisi, conferma la sua posizione di caravaggista “in chiaro” rispetto all’ormai dominante pittura tenebrosa e alle correnti principali del suo svolgimento: la data 1652 e le affinità manifeste con le atmosfere e la gestualità delle composizioni di Jean van Bijlert, sono al momento i due punti fermi da cui prendere le mosse per tentare di aggiungere altre opere a questo unicum caravaggesco.

Emilio NEGRO   Bologna giugno 2018

Note

1 G. Papi (Il genio degli anonimi, catalogo della mostra, Milano, 2005), argomento ripreso e ampliato dallo stesso studioso in “Postille ai dipinti in mostra a ‘Il genio degli anonimi’”, in Caravaggio e l’Europa. L’artista, la storia, la tecnica e la sua eredità, atti del convegno (Milano, 2006), a cura di L. Spezzaferro, Milano, 2009, pp. 224-229.
2 È quanto mi è accaduto in un’altra fortunata occasione (E. Negro, “Domenico Rainaldi: un maestro caravaggesco dimenticato”, in Atti della giornata di studi Francesco Maria del Monte e Caravaggio, a cura di P. Carofano, Firenze, 2011, pp. 37-48.
3 Sul verso della tavola, rotta ab antiquo in due parti ora riunite e originariamente smussata sui quattro lati per inserirla nella cornice, si leggono inoltre le scritte: “2 5 4 P A” in alto a sinistra, “0 5 6 J I” in alto a destra, testimonianze della sua vendita tramite una casa d’aste nel Regno Unito.
4 Il quadro raffigura Crossing the Ford (inv. N. 1929-26). Opere d’arte già appartenute al Viscount Curzon, a Lady Nina Geraldine Knowles, a Mrs. James Pryde e di altri vennero vendute a Londra da Christie’s, Manson & Woods, il 2 luglio 1948.