Raffaello e “l’arte che onora i grandi”; in un recente libro i ritratti dell’Urbinate nella medaglistica dal ‘500 ai giorni nostri

di Vitaliano TIBERIA

LE MEDAGLIE DI RAFFAELLO

La medaglistica è un’arte sottovalutata. In realtà, essa gode della possibilità, al pari della stampa, di riprodurre e di diffondere la conoscenza e la frequentazione quotidiana dei ricordi di grandi personaggi e di fatti importanti della storia; per queste sue caratteristiche è stata  in ogni tempo un mezzo di produzione artistica prediletto da grandi pittori e scultori, come, per esempio, Pisanello, Cellini, Guglielmo della Porta, Bernini.

Le medaglie sono opere paradossali, perché, a differenza di sculture e pitture, che hanno dimensioni più o meno apprezzabili (per lo più notevoli se si tratta di quadri raffiguranti grandi eventi storici), in pochi centimetri riescono a far rivivere il ricordo di personalità o di eventi di rilevante grandezza artistica o storica.

«Frutto di un’occasione celebrativa, scandita da ricorrenze temporali, ma anche più semplicemente per i gusti imposti da una moda, le medaglie, oggetti piccoli e maneggevoli, ancorché preziosi e di somma eleganza, hanno offerto all’egocentrismo possessivo [aggettivo ora aggiunto, n.d.r.] di una mano chiusa le nostalgie dell’anima accanto alla memoria persuasiva ed illusoria che la gloria di fatti e persone non si disfa nel tempo ma genera bellezza, inabisssandosi solo nell’eternità» [1].

D’altra parte, non secondario appare il fatto che le raffigurazioni medaglistiche talora assumono l’identità di simbolo. Come una “tessera ospitale”, infatti, la medaglia, in contraddittorio con il tempo e, per le sue ridotte dimensioni, anche con lo spazio, agevola l’identificazione di estranei in un’unica e condivisa testimonianza di civiltà. Esemplari in tal senso sono le medaglie pontificie, che annualmente illustrano un fatto significativo. Ma, per il loro valore artistico e la loro mobilità semantica, le medaglie sono state sempre predilette da ogni potere ufficiale, non solo di investitura religiosa.

Grande ne fu la fortuna nel Rinascimento presso le corti degli Estensi, dei Gonzaga, dei Medici, dei Malatesta; e gli artisti fecero del tutto per aggiudicarsene le commissioni. Resta esemplare, in tal senso, il caso del Pisanello, il quale, nel ‘400, ha prodotto medaglie con splendide effigi, oltre che di umanisti come Pier Candido Decembrio e Vittorino da Feltre, rispettivamente al servizio dei Visconti e dei Gonzaga, anche di componenti di illustri casati, come gli stessi Gonzaga, i Malatesta, gli Aragonesi, e ancora il marchese spagnolo Inigo d’Avalos, che fu Gran Camerlengo del re di Napoli Alfonso I.

Ma l’attenzione per il genere artistico della medaglia continuò nei secoli successivi. Ancora  nell’Ottocento, il Mazio, a testimonianza del valore attribuito dai Governi alla coniazione delle medaglie, osservava:

«E’ antico e lodevole costume de’ colti e ben sistemati governi il tenere nella principale Zecca de’ loro Stati un Gabinetto particolare delle Medaglie, e de’ Conij in qualunque tempo incisi per ordine e servigio sovrano. Questa raccolta gelosamente custodita, oltre all’essere di decoro, e profitto a’ Governi medesimi, torna sommamente utile alla Storia, a cui con la serie di memorabili fatti che rappresenta, serve spesso di lume e di prova» (F. Mazio, Coni di medaglie pontificie da Martino V fino a tutto il pontificato di Pio VII esistenti nella Pontificia Zecca di Roma, Roma MDCCCXXIV, p. III).

Il nuovo Regno d’Italia fece suo questo pensiero e impegnò nell’arte numismatica diversi artisti, fra i quali Hayez, Vagnetti e Peruzzi, che realizzarono medaglie di raffinata eleganza.

Per il cinquecentenario della morte di Raffaello è uscito, fuori dal coro delle occasioni celebrazionistiche, un libro di Anna Lisa Genovese, che riassume la storia delle medaglie con il volto dell’Urbinate e altro[2].

L’originalità di quest’opera si manifesta già dalla copertina, che, contrariamente alla ritrattistica raffaellesca tradizionale che vuole il Sanzio raffigurato in sembianze di un bell’uomo giovane, è dotata di una immagine di Raffaello bambino; si tratta di una medaglia per il V centenario della nascita dell’Urbinate  eseguita da Guido Vanni nel 1983 ispirandosi al presunto ritratto che Giovanni Santi, il padre del Sanzio, ne fece nel 1489 nella Sacra Conversazione, commissionata da Carlo Oliva per la cappella di famiglia, nel  convento francescano di Montefiorentino presso Frontino (fig.1).

1- G. Vanni, Raffaello bambino,1983

Il volume, dotato di un’ampia bibliografia e dell’elenco delle fonti d’archivio consultate, ricostruisce in un saggio ben argomentato la fortuna internazionale di Raffaello nella medaglistica dalla metà del XVII secolo al 2007. Segue il saggio iniziale un catalogo scientifico ragionato di 60 schede esemplari, un’appendice di supporto filologico con le opere raffaellesche di riferimento e con trentanove schede degli artisti della medaglia citati nel testo, nonché un utile indice dei nomi.

Ne risulta un libro denso di notizie storiche e di riferimenti ai vari artefici dei destini degli uomini, prìncipi, papi, re, in cui sono inquadrati criticamente, in vari contesti socioculturali, sia la lodevole volontà di tanti committenti colti che l’opera di numerosi artisti,  attivi nell’arte della medaglia. Tanta è la ricchezza documentaria e di argomenti di questo libro nel ripercorrere le vicende fortunate riscosse da Raffaello e dalle sue opere soprattutto nell’Ottocento (l’epoca dei Risorgimenti nazionali e della crisi dell’arte), che in certi momenti assume la fisionomia di un atlante topografico della medaglistica internazionale.

L’economia dell’opera si distribuisce lungo tre filoni collegati a numerose occasioni ufficiali, così che la narrazione si snoda attraverso altrettanti capitoli tematici, intitolati significativamente il Tributo, il Premio, le Celebrazioni; questi documentano quanto, nell’Europa dell’Ottocento, socialmente esemplare e artisticamente identitaria dell’arte italiana fosse ritenuta la figura di Raffaello. Non casualmente, la prima medaglia-premio, del 1837, con i volti dell’Urbinate e, manco a dirlo, di Michelangelo, fu realizzata da un tedesco, Carl Reinhard Krüger per l’Accademia di Belle Arti di Dresda, durante il regno di Federico Augusto II (fig. 2).

2- K R Kruger, Raffaello con Michelangelo, Accademia di Dresda 1837

Mentre la Regia Accademia Albertina, nel 1844, adottò per le premiazioni degli studenti una medaglia di Gaspare Galeazzi, con sul dritto l’effigie di Carlo Alberto e sul rovescio quella di Raffaello, con Dante, Colombo e Galilei ad indicare il primato dell’arte italiana nel mondo (fig. 3).

3- G Galeazzi (ideazione e disegno di Carlo Promis) Carlo Alberto con Raffaello Dante Galileo Colombo

Ancora negli anni Trenta dell’Ottocento, esattamente nel 1838, fu la Congregazione romana dei Virtuosi al Pantheon a realizzare, con Giuseppe e Nicola Cerbara, una medaglia commemorativa con il profilo di Raffaello sul dritto e il logo della Congregazione (figg. 4-4a);

in ossequio all’identità artisticamente multiforme di quel Sodalizio, sul rovescio ne fu riportato il logo comprendente il compasso (gli architetti), i pennelli (i pittori), gli scalpelli (gli scultori), inscritti in una corona di rose e gigli raccolta nell’impresa, ispirata ad un versetto biblico,  FLORENT IN DOMO DOMINI (sottinteso Viri, n.d.r.).  Anche questa fu una medaglia coniata per fini pedagogici, che veniva concessa ai giovani artisti vincitori del Premio Gregoriano, così detto perché dedicato a Gregorio XVI, protettore della Congregazione, soprattutto nell’occasione della ricognizione del sepolcro di Raffaello nel Pantheon nel 1833.

Ma anche un’istituzione scolastica inglese, la Manchester School of  Design, nel 1848, fece fare da William Wjon, su disegno di John Gibson, una medaglia dichiaratamente pedagogica,  con, sul dritto, Raffaello di profilo, ispirato al ritratto dell’Urbinate agli Uffizi, e, sul rovescio, la Sapienza fra il Genio della pittura e l’Industria (figg. 5-5a).

Il capitolo di questo libro intitolato Celebrazioni ripercorre le numerose occasioni commemorative organizzate da varie Istituzioni e associazioni artistiche private, fra le quali l’Accademia Raffaello di Urbino e la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, idealmente collegate soprattutto in occasione delle celebrazioni della nascita e della morte di Raffaello, ma anche nel ricordo della ricognizione del suo sepolcro nel 1833.

Ma è nel capitolo intitolato il Tributo che si ricostruisce la storia delle effigi nelle medaglie raffaellesche secondo criteri storici e filologici, a conclusione di un’indagine iniziata dall’Autrice con un articolo del 2016, che integrava una sua monografia sul sepolcro dell’Urbinate nel Pantheon[3].

In questa sezione è illustrato un corpus di medaglie, che non è una generica raccolta riferita a varie occasioni più o meno rilevanti, ma  che riguarda, com’ella avverte già in apertura del volume, esclusivamente una variegata produzione dedicata ad un artista. Infatti, solo dalla metà del Quattrocento furono realizzate le prime medaglie dedicate a grandi pittori, scultori, architetti e musicisti.

6- G Bonasone, Ritratto di Raffaello barbato, stampa, 1545-50

Gioverà ricordare che è di Matteo de’ Pasti, alla metà del Quattrocento, una fortunatissima medaglia con il profilo di Leon Battista Alberti, mentre il veneziano Vittore Gambello, qualche decennio dopo, effigiò Giovanni Bellini. Nel XVI secolo, Hans Schwartz ritrasse Albrecht Dürer, e Leone Ghezzi raffigurò Baccio Bandinelli e Michelangelo.

L’indagine parte dalla prima medaglia raffigurante Raffaello barbato pubblicata a stampa nel 1577 da Guillaume Rouille nel suo Promptuaire des medalles, ispirata ad una stampa romana di Giulio Bonasone (fig. 6) e al doppio ritratto con il Sanzio, al Louvre, in cui Raffaello appare in età matura e con la barba. Con questa riproduzione Rouille influenzò Claude Warin, lionese come lui. Questi, infatti, alla metà del XVII secolo, ispirandosi alla stampa del Bonasone, realizzò due medaglie in cui Raffaello appare nuovamente nelle sembianze realistiche di un giovane uomo con la barba (fig. 7), liberato finalmente dalle sembianze idealizzate e un po’ edulcorate, tanto diffuse nei secoli, del giovane glabro dai lineamenti delicati, che brilla di un’eterna venustà fisica assurta a simbolo di bellezza morale, tanto più venerato perché strappato alle gioie della vita in giovane età.

7- C Warin Raffaello barbato 1640-1654

Un destino iconografico, questo, influenzato certamente dalle mode ma anche dall’ idealizzazione filosofica della forma collegata al mistero della morte, che non ha risparmiato neppure numerose raffigurazioni del Cristo, rappresentato, in età moderna,  in sembianze dai colori normanni, a dispetto della sua immagine realisticamente palestinese, ignorata da artisti e committenti, benché facilmente visibile proprio al centro del mosaico parusiaco voluto da Felice IV (527-530), nel catino absidale della basilica dei Santi Cosma e Damiano nel Foro romano.

Dopo circa mezzo secolo dalla medaglia di  Claude Warin, appare in Italia, ad opera di un ignoto, un esemplare del tutto diverso, con l’effigie di Raffaello giovane uomo, glabro, di profilo, ispirata alle iconografie marattesche (fig. 8).

8 8a- Ignoto Raffaello e sul rovescio Artemide Efesina 1680-1700

Come sottolinea la Genovese, quest’opera è frutto di raffinata cultura classica, araldica e numismatica, tanto è vero che reca sul rovescio la raffigurazione di Diana efesina come signora delle fiere e dea della fertilità, così che non sfugge l’intenzione di offrire in pochi centimetri numismatici una coltissima metatesi concettuale, se non addirittura una crasi ideologica, di paganesimo e cattolicesimo al cospetto del mistero della natura, che in Raffaello, più che in altri artisti, appariva compiuto. La raffigurazione di Diana efesina evocava, infatti, la potenza e il mistero della natura, che tuttavia si confessava vacillante dinanzi alla grandezza artistica di Raffaello, come è dichiarato allusivamente nel frammento del pentametro tratto dal distico elegiaco sull’epitaffio raffaellesco, […] Timuit quo sospite vinci [4], che è inciso sul rovescio di questa suggestiva medaglia.

Collegata al sepolcro dell’Urbinate, questa originalissima iconografia, sottolinea la Genovese, riscosse grande fortuna in repertori storico artistici. Così, nel 1733, fu riprodotta in Olanda in un testo di storia olandese di F. Van Mieris[5]; nel 1761 nel Museum Mazzuchelianum, di P.A. Gaetani[6]; nel 1790 sia nel Museo di Monsignor Casali[7] sia sul frontespizio della vita di Raffaello, di Angelo Comolli[8];  nel 1817 in una vita di Leone X, di W. Roscoe[9]; nel 1824 in una monografia su Raffaello, di F. Rehberg[10].

Nell’Ottocento, tanto piacque il profilo di Raffaello sul dritto di questa medaglia che fu riprodotto, anche senza berretto, con vari materiali e in diverse forme: metallo cesellato e sbalzato, gesso, ceralacca, onice, scagliola, zolfo, pasta di vetro, avorio e perfino galvanoplastica.

Si dovrà quindi aspettare più di tre secoli per vedere ripresa la raffigurazione realistica di Raffaello barbato derivata dalla medaglia della metà del XVII secolo di Claude Warin, che si rivela rara come un àpax legòmenon; e questo avverrà oltreoceano. Nel 1976, infatti, in previsione della celebrazione del quinto centenario della nascita di Raffaello nel 1983, la Zecca Franklin Mint, di Wava, in Pennsylvania, fece un’elegante medaglia ispirata al Doppio ritratto del Louvre (figg. 9 -9a), che andò a far parte di una collezione di cento medaglie riproducenti l’intera opera di Raffaello.

Come abbiamo visto, centrale soprattutto nell’Ottocento fu la leggenda di Raffaello, apprezzato dalle corti e dalle Accademie europee, al punto che giovani allievi di quelle Istituzioni si cimentarono nella creazione di disegni per i conii di medaglie raffaellesche.

Un episodio significativo dell’apprezzamento variegato da più punti di vista goduto dall’Urbinate risale al 1809. In quell’anno troviamo Nicolas-Pierre Tiolier, studente dell’Accademia di Francia a Roma, impegnato ad incidere su corniola una testa di Raffaello, coniata quindi a Parigi alcuni anni dopo (1812-1820) su iniziativa della Società dei Trenta, una loggia massonica, che, in contraddittorio con l’appartenenza di Raffaello alla religione cattolica, evocò per lui soprattutto un’identità laica, suggerita probabilmente, come giustamente rileva la Genovese, dalla sepoltura dell’Urbinate nel Pantheon,  carrefour  di terra e cielo (figg. 10-10a).

11- A A Caqué Raffaello per Monnaie des Medailles de Paris 1823

Comunque sia, l’iniziativa ebbe successo, tanto è vero che, pochi anni dopo (1823), ancora in Francia, Armand-Auguste Caquè fece una medaglia esemplata su quella di Tiolier, inserita nella Series Numismatica Universalis Virorum Illustrium, un repertorio di Pierre-Amèdèe Durand realizzato fra il 1818 e il 1846 (fig. 11).

Lo  stesso avvenne in Italia, quando Nicola Cerbara, nel 1827, riprese quella stessa effigie dell’Urbinate di profilo, coniando una bella medaglia con sul rovescio la riproduzione della Madonna Sistina (figg. 12-12a).

A distanza di poco più di dieci anni (1838), questo esemplare fu ripreso dallo stesso Cerbara in una medaglia che la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon assegnava ai giovani artisti vincitori nei suoi concorsi. Spetta ancora a Nicola Cerbara, alla metà dell’Ottocento (1845-50), il merito di aver fatto per la Zecca Pontificia una nuova immagine di Raffaello con un berretto (fig. 13),

13- N Cerbara, per la Zecca Pontificia, Raffaello 1845-50

esemplata sul busto dell’Urbinate eseguito in gesso dallo scultore Giuseppe De Fabris nel 1834, subito dopo la ricognizione, da lui progettata e diretta, del sepolcro di Raffaello avvenuta l’anno prima. A ricordare l’importante evento funerario, sul rovescio fu inciso, dettato dal gesuita Giuseppe Marchi, il solito accorato lamento della natura che si ritiene sopravanzata dal genio di Raffaello. Questi modelli di Cerbara ebbero grande fortuna e furono ripresi per tutta la seconda metà dell’Ottocento, per arrivare fino agli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. Di particolare suggestione fu la medaglia con il profilo di Raffaello accanto a quello della Fornarina, coniata alla fine dell’Ottocento con il monogramma P.B. e con sul rovescio il giglio di Firenze.

Nella prima metà del Novecento, il mito di Raffaello e con lui l’esaltazione della bellezza naturalistica nell’arte subirono un affievolimento. Nella tragica cornice dei due conflitti mondiali e delle epocali rivoluzioni politiche, la scena artistica tradizionale, attraversata da profonde inquietudini, fu sconvolta dai movimenti d’avanguardia, non solo italiani, soprattutto il Dadaismo, l’Informale, il Futurismo, il Surrealismo, che respingevano le regole precedenti dell’arte e la riproduzione della bellezza espressa in forme classiche.

In apertura del Manifesto Dada 1918, Tristan Tzara emblematicamente scriveva:

«Occorre animare l’arte con la suprema semplicità: novità. […]  Scrivo questo manifesto per dimostrare come si possano fare insieme le cose più contraddittorie in un solo fresco respiro; sono contro l’azione e in favore della contraddizione continua, ma sono pure per l’affermazione».

E ancora nel 1931, a riprova dello stato di crisi dell’arte contemporanea e della filosofia, Michel Sephor denominava il proprio raggruppamento estetico Abstraction-Crèation, art non figuratif .

Nel secondo dopoguerra,  constatata dagli anni Sessanta / Settanta l’impossibilità di costruire un sistema di “nuove grammatiche dell’arte”, evidentemente contraddittorio proprio per l’assenza di fiducia nelle regole, la spinta delle Avanguardie[11] di rottura con il passato e di scardinamento della tradizione ha perduto credibilità, mentre si è in parte recuperato il concetto di figuratività, grazie anche alla mediazione operata dalla Transavanguardia.

14 14a- B. Bini, per la Repubblica di San Marino, Raffaello con sul rovescio la Fornarina 1983

In tale articolato contesto estetico, la figura di Raffaello ha suscitato nuovo interesse nel settore della medaglistica con la produzione di esemplari che raffigurano sul rovescio sue opere. In aggiunta a quelle già menzionate, l’americana del 1976 e di Guido Vanni del 1983, ne ricorderò cinque: di Bino Bini, per la Repubblica di San Marino (figg. 14-14a), per il V centenario della nascita; di De Felici per la Scuola d’arte del Castello di Milano, del 1962, con sul rovescio la Cacciata di Eliodoro; di Pierre Bouret, del 1966, in cui  il Sanzio è raffigurato di tre quarti, mentre sul rovescio figurano Platone e Aristotele, dalla Scuola di Atene, nonché particolari dalla Madonna di Foligno e dalla Madonna Sistina, di P. Monassi, Con Raffaello e, sul rovescio, la Madonna della seggiola; infine, di Amalia Mistichelli, del 2007, in oro e in argento, per la Zecca Vaticana, con le riproduzioni, ispirate alla Scuola di Atene, dell’autoritratto di Raffaello, sul dritto, e di Platone e Aristotele sul rovescio.

Vitaliano TIBERIA  Roma 5 luglio 2020

NOTE

[1] V. Tiberia, Un’arte di un passato sempre presente,  in Una Medaglia per il Beato Angelico, Comitato Nazionale per il 550 anniversario della morte di Fra’ Giovanni da Fiesole, “Beato Angelico”, Roma 2005, p. 3.
[2] A.L. Genovese,  Il volto di Raffaello nelle medaglie, scripta  MANENT EDIZIONI, Tivoli , RM, 2019, 143 pagg..
[3] A.L. Genovese,  L’effigie di Raffaello nelle medaglie dei Virtuosi al Pantheon, in “Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon”, XVI/2016, pp.275-289. Sul sepolcro di Raffaello, si veda A.L. Genovese, La tomba del divino Raffaello, Gangemi Editore spa, Roma 2015.
[4] Il distico elegiaco, composto dal Bembo o dal Tebaldeo e inciso sulla fronte del sarcofago allestito nel 1833 nel Pantheon, a seguito della ricognizione del sepolcro con i resti mortali di Raffaello, così recitava:  ILLE HIC EST RAPHAEL, TIMUIT QUO SOSPITE VINCI. RERUM MAGNA PARENS, ET MORIENTE MORI. Il Bellori ne dette questa traduzione:  Questi è quel Raffael, cui vivo vinta / esser temea natura, e morto estinta (cfr. A. Schiavo, La Pontificia Insigne Accademia Artistica dei Virtuosi al Pantheon,  Fratelli Palombi Editori, Roma 1985, p. 12).
[5]  F. van Mieris, Histori der Nederlandische vorsten,  Graavenhaage 1733, II, p. 144.
[6]  P. A. Gaetani, Museum Mazzuchelianum seu nomismata virorum doctrina praestantium, I, Venezia 1761, tav. LII.
[7]  Nel Museo di Monsig.r Casali,  Roma 1790.
[8]  Vita inedita di Raffaello da Urbino illustrata con note da Angelo Comolli, Roma 1790.
[9]  W. Roscoe, Vita e pontificato di Leone X,  XI, Milano 1817, p. 19.
[10]  F. Rehberg, Rafael Sanzio aus Urbino, München 1824.
[11] Sull’argomento resta esemplare l’analisi di Cesare Brandi, La fine dell’Avanguardia, in C. Brandi,  Scritti sull’arte contemporanea, Einaudi, Torino 1973, pp. 57-125.