di Giuseppe BERTI
Alla ricerca della Pinacoteca perduta.
I lettori di “ABOUT ART” certamente conosceranno i passi più celebri ed arditi del Manifesto del Futurismo là dove, ad esempio, Filippo Tommaso Marinetti con enfasi declamatoria e iconoclasta proclamava la volontà di “distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie”, paragonando appunto i Musei ai cimiteri, identici anzi a quest’ultimi
“per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese…!“
Era il febbraio del 1909. Ora, in questi ultimi mesi del 2021, da quando cioè sono stati riaperti dopo lunghi lavori i Civici Musei di Reggio Emilia, pare che nelle sale della Galleria Fontanesi -anzi dell’ormai defunta Galleria Fontanesi- si senta il fantasma di Marinetti declamare ancora il suo Manifesto…
“vengano dunque, gli allegri incendiarii [dei Musei, n.d.r] dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli..!”…
Ed eccoli qui , allora, gli “Allegri Incendiari” della Pinacoteca reggiana: ecco l’architetto Italo Rota (il progettista principe dell’intera operazione), ecco i Curatori delle diverse Raccolte dei Civici Musei, ecco i responsabili delle Istituzioni Culturali Cittadine; i quali, sedotti da vertigini neo futuriste mescolate a visionarie estasi neo pop, hanno smantellato, demolito e distrutto la suddetta Galleria in favore, come essi sostengono,
“di un lungo percorso di ripensamento delle civiche collezioni e del significato che il Museo ha acquisito nel contesto di un mondo sempre più complesso e mutevole”.
Vaste Programme, avrebbe detto il generale De Gaulle, bei propositi senza dubbio, ma poi, in ultima analisi, dove sono finiti i quadri e i dipinti della Fontanesi?
Apparent rari nantes in gurgite vasto, risponderebbe Virgilio descrivendo nell’Eneide il naufragio di una nave della flotta di Enea, s’intravvedono cioè dispersi nuotatori nel vasto gorgo del mare; e altrettanto, in una sorta di ungarettiana Allegria di Naufragi, pure alcuni dipinti della defunta Galleria Fontanesi si riescono ancora ad intravvedere nell’ampio gorgo di un mare post pop, in un coloratissimo bric à brac di suggestioni visive, in un delirio combinatorio e ibridato di oggetti, di ready made, di pezzi da collezione trasversali che si mischiano senza gerarchie come se tutto il Museo si fosse trasformato, sub specie precarietatis, in una grande installazione artistica, in un’ opera d’arte totale e multimediale che forse non sarebbe dispiaciuta agli artisti “Fluxus” degli anni Sessanta del secolo scorso.
Ora, secondo gli artefici di dell’impresa, l’obiettivo di questo monumentale progetto mirerebbe ad
“organizzare i materiali delle Collezioni-così recita infatti la locandina del Nuovo Museo- attraverso una pluralità di livelli narrativi, connessioni spazio-temporali, incontro tra i mondi e le discipline”.
Vaste programme, appunto: in cui però la creatura prediletta di Alberto Arbasino, la Casalinga di Voghera che intendesse conoscere la storia e l’evoluzione dell’arte reggiana dal Cinquecento al Novecento, non saprebbe davvero che pesci pigliare; come del resto accadrebbe anche ad un qualsiasi storico dell’arte, disperso pure lui in questo “oceano mare” privo di punti di riferimento, di rotte conosciute, di coordinate certe in cui potersi orientare.
Ci sarebbero ancora molte altre cose da aggiungere, ma non voglio abusare della cortese ospitalità che la Rivista mi ha offerto. E se lettore proprio dovesse chiedermi un giudizio definitivo su questa operazione mi permetterei di scomodare il Manzoni con il suo “Ai posteri l’ardua sentenza”, oppure il Pirandello del “Così è se vi pare”, ovvero il Kundera dell’”Insostenibile leggerezza dell’Essere”, e così via celiando.
Oppure, ancora, potrei scomodare i mitici anni Sessanta del secolo scorso per invitare tutti, seguendo la noiosissima pratica militante dell’intellettuale engagé di quel tempo , ad “Aprire il Dibattito”. E forse, oggi, considerati gli attuali chiari di luna, questa non sarebbe neppure una pratica del tutto peregrina.
Giuseppe BERTI Reggio Emilia 5 dicembre 2021