Quando collezionare è un’ Arte: Roberto Locci ad About Art: “Collezionare? E’ un fatto vitale! Il quadro ti chiama”

di Lori FALCOLINI

Direttore della fotografia, fotografo di scena, sceneggiatore, regista, autore di cinema e televisione e collezionista d’arte, Roberto Locci è, a pieno titolo, un artista a tutto tondo. Tra le tante mostre allestite con il suo contributo citiamo quella recente di Pino Pascali presso la Galleria La Nuvola di Alice Falsaperla che ha esposto trentacinque opere della sua collezione privata. Profondo conoscitore dell’arte italiana contemporanea, tra le opere della sua collezione annovera lavori dei futuristi Balla e Sironi; astrattisti storici e spazialisti tra cui Burri, Castellani, Afro e Fontana; tutti i rappresentanti dell’arte povera, in particolare Boetti e Kounellis. Della Forma Uno, Dorazio, Perilli Accardi e Sanfilippo; tutta la Pop Art Romana a partire da Schifano. E ancora Turcato, Corpora, Vedova e Santomaso e poi rappresentanti della Transavanguardia e della Nuova Scuola Romana. Tra gli autori stranieri citiamo le opere di Andy Warhol, Sol LeWitt, Daniel Buren, Sebastian Matta e Joseph Beuys. Anche gli Autori delle Nuove Generazioni come Felice Levin, Paolo Canevari, Francesco Impellizzeri e H.H.Lim  arricchiscono la collezione che Roberto Locci ha costituito nell’arco di cinquanta anni muovendosi tra cinema e arte. Le due passioni della sua vita.

-Roberto Locci, hai iniziato il lavoro nel cinema come assistente alla fotografia di Tonino Delli Colli. Cosa ha significato per te l’apprendistato con questo maestro della luce?

R: È stato fondamentale.  Fin dall’adolescenza la mia passione è sempre stata la fotografia, così, quando arrivai a Roma da Cagliari, mi iscrissi ad un corso di fotografia presso l’Istituto di Stato per il Cinema e la Televisione. Nel ’69, grazie anche a Giancarlo Santi aiuto regista di Sergio Leone e fratello di un mio amico di corso, feci uno stage con Tonino Delli Colli nel film C’era una volta il West. Tonino era un vero genio, era stato il direttore della fotografia del primo film italiano a colori, aveva lavorato in tanti film di Fellini, Pasolini, Sergio Leone. Non discendendo da nessuna famiglia del cinema, il mio ingresso in quel mondo fu fortunato. Infatti, prima di finire il film, Tonino Delli Colli, mi chiese di lavorare come aiuto alla fotografia in un film prodotto da Ringo Starr, Come Together di Saul Swimmer. Dopo questo primo film, sempre grazie a Tonino, lavorai come fotografo di scena e assistente di Franco Lecca in Necropolis di Franco Brocani. Necropolis era un film rivoluzionario per gli anni settanta, ambientato in un aldilà dove tutti i personaggi si incontravano, ciascuno parlando la propria lingua. E non era previsto il doppiaggio! In occasione di questo film ci fu per la prima volta la congiunzione nella mia vita tra cinema e arte. Brocani era infatti un grande amico di Schifano che originariamente doveva fare le scenografie, cosa che fece poi Altan, il fumettista. Sul set venivano tutti: Tano Festa, Franco Angeli, Rotella, Mondino, tutti giovani artisti della cosiddetta Scuola Romana. Io non sapevo neanche chi fossero. A differenza di oggi, gli artisti di tutte le arti amavano frequentarsi. A Roma, oltre al bar Rosati di Piazza del Popolo, c’era un altro crocevia del mondo artistico intellettuale: la libreria di Remo Croce. Lì potevi incontrare Pasolini, Moravia, Dacia Maraini … i poeti, Dario Bellezza; ma anche il grande fotografo o il regista e molti pittori. Quello diventò il mio mondo. Ancora oggi vivo in quel mondo, fatto di immagini e di comunicazione.

-Hai lavorato anche con Marcello Gatti, un altro grandissimo direttore della fotografia.

R: La mia carriera di direttore della fotografia in realtà è cominciata con Marcello Gatti a cui era stato fatto il mio nome da Tonino Delli Colli. Gatti mi chiamò come assistente alla fotografia per il film Girolimoni, il mostro di Roma. Durante le riprese a Frascati, il regista del film Damiano Damiani voleva una ripresa della folla dall’alto e Marcello mi chiese di farla. Avevo una paura matta di non essere all’altezza, ma lui trovò le mie riprese molto buone … Continuai a fare l’operatore alla macchina da presa per altri sette anni con Marcello Gatti. Mi piaceva quel lavoro. L’operatore alla macchina da presa è il vero occhio del regista, se lui dice al regista che la scena va bene o non va bene, deve essere così. I francesi chiamano l’operatore cadrer, quello che fa il quadro. Mi ha sempre colpito, nel mio lavoro, il fatto di essere il primo spettatore di una scena. Mi è valso molto l’essere fotografo, avere già un gusto affinato dall’esperienza.

-In Francia, hai girato il cortometraggio Omaggio a Picasso, secondo César (1986), un artista trait d’union tra cinema e arte. Il Premio César istituito dal 1976 dall’Accadémie des arts et techniques du cinéma è infatti in onore di César che ha ideato la statuetta.

R: Il periodo a Parigi è stato bellissimo, ero molto richiesto per lavori in teatro, cinema, televisione e, soprattutto, pubblicità. Avevo a disposizione una casa a Rue du Bac e in quella strada c’erano tre gallerie d’arte tra cui Maeght, la galleria di Picasso, Chagall e Mirò, dove io mi fermavo spessissimo a chiacchierare d’arte. Un giorno feci vedere al direttore di Maeght alcune foto di opere di Schifano che lui non conosceva, gli suggerii di fare una mostra. Non so se fu quello il momento in cui decisero di farla, so soltanto che poi la fecero …

Dedica a Locci Roberto, Le roi de la pellicule – Viva l’Italy! Cesar Paris 1985

Nel periodo francese ho conosciuto molti artisti tra cui César. Allora, lui doveva realizzare il Centauro in omaggio a Picasso e mi propose di fare il filmato della realizzazione della statua a cominciare dai disegni preparatori, quello originario è ora in mio possesso con dedica a le roi de la pellicule! (ride).

Dovevo poi seguire la costruzione in bronzo della statua nella fonderia in Normandia e successivamente la sua collocazione a Parigi di fronte al Museo Picasso. Una curiosità: sotto la faccia del Centauro rappresentata da una maschera in bronzo con l’effige di Picasso c’è il volto di César con la barba.

CESAR Centaure. Homage a Picasso, 1985. Matite colorate su cartoncino cm. 35×45. Bozzetto per l’omonima

È stata una bellissima esperienza perché ha segnato la mia prima regia. Negli anni, ho fatto moltissimi film di e con gli artisti. Mi piaceva interagire con loro. Ho lavorato con Dorazio, Corpora, Mastroianni e tanti altri. L’artista con cui mi sono divertito di più è Sebastian Matta, il famoso surrealista. Con lui abbiamo inventato per il film un gioco di luci … Facevamo insieme cinema e arte che è veramente il segno distintivo del mio percorso.

-In quale modo il tuo sguardo da fotografo, l’esperienza di plasmare la luce e costruire narrazioni di luce, ha influito sulla scelta delle opere da collezionare?

Corrado Cagli (1910-1976), La Notte dei Cristalli, Gottinga

R: Un editore di libri d’arte, incontrato da Remo Croce, mi chiese di fotografare il bozzetto in argento di una scultura di Corrado Cagli.  Si trattava del bozzetto per La notte dei Cristalli, un monumento in ricordo degli ebrei caduti che Cagli realizzò a Gottinga; la scultura aveva una struttura piramidale rotante realizzata a partire dalla stella di Davide. Io avevo 23 anni, non avevo grande esperienza però mi intrigava la drammaticità di questa scultura, il fatto che entrasse in vibrazione emettendo suoni che facevano pensare al lamento dei morti. Decisi di non utilizzare la luce naturale bensì due riflettori che avevo trovato a Porta Portese ed un fondale nero – come la notte o la morte – fatto con un cartone. Cagli rimase entusiasta e le foto furono poi pubblicate in un volume d’arte. Da quella prima esperienza, a cui ne sono seguite tante altre, mi resi conto di come poteva essere vitale l’arte e maturai un nuovo modo di fotografarla comunicando emozioni. È stato proprio a partire da questo mio primo lavoro come fotografo d’arte che sono diventato collezionista: l’editore mi commissionava molti libri ma non mi pagava mai, in compenso però chiedeva all’artista di turno di regalarmi una sua opera. Tutti quegli artisti nel tempo sono diventati importanti ed io ho continuato a frequentarli fino ad avere con loro un vero rapporto d’amicizia. La gran parte delle opere che vedi in questa casa le ho avute dagli autori. Le ho viste nascere, me ne sono innamorato e le ho comprate. Quasi tutte hanno una dedica. Molte, naturalmente, le ho comprate sul mercato soprattutto quelle di Balla, Fontana e Pascali – che erano già morti quando io ho cominciato a collezionare – e quasi tutti gli stranieri, eccetto Sol Lewitt, César e Masson che ho conosciuto personalmente. La scelta delle opere è legata al mio gusto, alla mia sensibilità. La potenza di un quadro è legata alla percezione di chi osserva … un quadro ti chiama. Nel percorso creativo di un’artista, quasi sempre, il primo periodo è il più interessante perché è l’alba della sua espressione artistica. Schifano proprio per ovviare a questa cosa ogni dieci anni cambiava stile. Poi ci sono le peculiarità, le unicità di un artista. Turcato per esempio è famoso per tante cose ma soprattutto per la gommapiuma che ha usato per le sue bellissime Superfici Lunari. Carla Accardi è l’unica che nel ’64  ha usato il sicofoil trasparente, creando una pittura spaziale che lascia vedere attraverso, come quella di Fontana. Se si parla di estroflessioni si parla di Castellani o Bonalumi, per Burri si parla di sacco, di plastiche, oppure di strappi per Rotella. Se parliamo di luce, l’artista che mi è più vicino è Balla. Nei primi dieci anni del novecento, ha fatto studi sulla composizione della luce e sulla irradiazione luminosa. Quando si parla di spazialismo, si intende Fontana, ma chi ha cercato di rappresentare per primo lo spazio, il movimento e la luce è Balla. Lui ha dipinto lo spazio-tempo, una cosa fino allora inconcepibile! Pensa al famoso quadro di Balla che si chiama Camminare, il primo quadro cinetico in cui viene realizzato pittoricamente il senso del movimento. Queste cose mi hanno sempre affascinato.

Cosa significa per te collezionare opere d’arte?

R: È un fatto vitale. Di fronte ad un’opera che mi piace provo il desiderio fortissimo di possederla e, compatibilmente con il costo, devo cercare di soddisfare questa pulsione. Posso dire di essere stato abbastanza fortunato nella vita perché ho conosciuto delle persone che mi hanno dato fiducia, galleristi in primis. Uno di questi era Liverani che organizzò la prima mostra degli artisti di Piazza del Popolo. Lui aveva a via Garibaldi un magazzino stracolmo di quadri e mi vendette opere molto importanti di Schifano e Festa permettendomi di pagarle un po’ per volta. Non segnava mai nulla, si fidava. È stato il più grande gallerista. Anche Ugo Ferranti è stato uno dei più importanti galleristi romani; aveva una incredibile visione internazionale e mi ha sempre consigliato bene e in più mi dava la possibilità di pagare un po’ per volta. Il mio desiderio di possesso nasce da un rapporto intimo che si stabilisce tra me e l’opera. L’opera d’arte mi dà tranquillità. Ti alzi la mattina, prendi un caffè, alzi gli occhi e vedi per esempio un Boetti e inizi bene la giornata. Tutto ciò mi è stato molto utile per superare il lockdown durante la pandemia.  Essere contornato da opere d’arte è un grande privilegio; i miei quadri sono tutti di grandi maestri però se una persona non ha grandi possibilità può comprare da giovani sconosciuti o da artisti di strada. L’importante è avere in casa cose che ti piacciono. Dal 1974 al 1978 io ho avuto una Galleria d’Arte che si chiamava APAX: in latino significa senza pace; in greco, hapax significa unico. Ecco, io mi sentivo cosi, anticonformista. In quel periodo non vendevo niente perché alla gente piaceva il ritratto, il vaso di fiori, il mare, la montagna, il nudo … Come vedi, qui, di figurativo non c’è quasi nulla perché io uso la macchina fotografica per rendere la realtà. Vogliamo ricordare che la scoperta della fotografia nel 1861 mise in crisi la pittura? Dal famoso Orinatoio di Duchamp in poi è cambiata tutta l’arte. Io sono stato introdotto all’arte concettuale da Ugo Ferranti che trattava nella sua galleria Cy Twombly, Sol Lewitt, Daniel Buren piuttosto che Paolini o Kuonellis. Ferranti mi ha insegnato a cogliere le emozioni suggerite da quelle opere. Lui fece la più importante mostra di Monocromi di Schifano. Di Mario ho diversi quadri, ma quelli a cui tengo di più sono un Paesaggio Anemico del 1966

Mario Schifano – Paesaggio Anemico – 1966 Carte intelate cm. 40×30.

e un Televisore con l’effige di Picasso tratta da una fotografia di Irving Penn.

Mario Schifano S.T. (Televisore con immagine di Picasso fotografato da Irving Penn) 1978. Smalti su tela emulsionata

Ecco, trovo che in quel quadro ci sia tutto il mio mondo: un grandissimo artista, mutuato da un grandissimo fotografo, che diventa una televisione che è il quadro di un altro grandissimo artista. Operazioni di questo genere le ha fatte anche Tano Festa.  Pensa alle opere tratte da Michelangelo, molte sono ripetitive ma se scegli bene ci sono quadri veramente interessanti. L’impostazione concettuale è ciò che più mi affascina…

-Mi ha colpito il fatto che per la mostra di Pino Pascali hai messo in mostra 35 opere in tuo possesso. Quali sono stati i tuoi autori prediletti e perché?

R: A parte Pascali che ho incontrato una sola volta nella vita, gli artisti prediletti sono quelli che ho frequentato di più: Carla Accardi, per esempio, di cui ho tantissime opere, Dorazio, Perilli, Festa, Angeli, Corpora, Rotella, e Boetti. L’incontro con Boetti fu il più sconvolgente. Ero andato da lui per farmi fare un’autentica, una cosa da cinque minuti e, invece, ci rimasi per cinque ore. Era un affabulatore, viveva in un mondo tutto suo fatto di lettere e concetti, era un uomo affascinante e un grandissimo artista. Peccato che le sue opere non le comprasse nessuno, non venivano capite. Per inciso, l’opera a cui mi riferivo è l’arazzo che tu vedi, composto da 64 lettere; riporta una definizione tratta delle parole crociate: “Si dice di chi finge di ignorare una situazione che invece dovrebbe affrontare”. La risposta esatta è: lo struzzo.

Alighiero Boetti – SI DICE DI CHI FINGE DI IGNORARE UNA SITUAZIONE CHE INVECE DOVREBBE AFFRONTARE – 1988 Ricamo

Frequentando gli studi degli artisti impari tante cose, per esempio che non amano essere osservati mentre lavorano perché la pittura è un rapporto intimo tra artista e opera. Non è facile inserirsi in questa situazione, se accade è perché si è instaurato un rapporto di amicizia. Stando ore e ore a guardare lavorare un artista entri nella sua ottica. Per esempio, io so come Corpora aggrediva la tela, iniziava sempre con lo stesso gesto; ho visto Umberto Mastroianni inerpicarsi su una sua enorme scultura per aggiungere semplicemente un segno o un graffio; ho visto come era preciso e certosino Dorazio … A proposito di Dorazio, ti racconto un aneddoto. Se giri quel quadro, trovi una dedica a me e una scritta che riguarda una discussione che avevamo avuto. Io dicevo che la sua opera, almeno in parte, si ispirava a Severini, lui diceva che si ispirava a Balla. Quando mi portò il quadro, sotto la dedica mi scrisse “Viva Severini” (ride).

-Foto-grafia è scrittura per immagini. Vorrei terminare questa intervista chiedendoti se la scrittura per te è in continuum con la fotografia.

Pier Paolo Pasolini. 1970 Foto di Roberto Locci

R: Ma certo! Sempre in quel cenacolo che era la galleria di Remo Croce, un giornalista sudamericano chiese a Croce di consigliargli qualcuno che facesse delle foto a Pasolini e lui fece il mio nome. Pasolini mi mise subito a mio agio ed io che dovevo stare nella sua casa dieci minuti, il tempo concesso, stetti tutto il pomeriggio. Pasolini mi parlò del progetto del Decameron. Lui, poeta regista scrittore, mi disse che alla base di tutto c’era la scrittura. “Devi poter vedere ciò che scrivi” mi disse. L’amore per la scrittura nasce da quell’incontro, io avevo ventidue anni.  Per me è stato naturale passare dalla fotografia alla regia e poi alla sceneggiatura. A me non interessa scrivere racconti ma scrivere per immagini. E questo è il senso di tutto il mio lavoro dalla fotografia all’arte al cinema: l’immagine e come tutto cambia con il mutare della luce.

Lori FALCOLINI  Roma 23 Ottobre 2022