“… proruppe in dir che, se si buttasse a terra tutta l’opera l’haverebbe fatta con honestà et decenza”. Quando El Greco voleva demolire il “Giudizio” di Michelangelo. Il soggiorno romano di El Greco: fonti e documenti (Parte 2^)

di Mario LIPARI

L’ambizioso El Greco, dopo Venezia [1], si diresse a Roma spinto dall’esigenza di cogliere nuove occasioni lavorative e dalla possibilità di osservare direttamente l’eredità classica e i lasciti degli artisti moderni, tra i quali Michelangelo, morto ormai da sei anni (Questo articolo prosegue il tema del soggiorno romano di El Greco affrontato dall’Autore in un primo contributo  Cfr. https://www.aboutartonline.com/el-greco-e-michelangelo-nuove-considerazioni-sul-rapporto-tra-i-due-artisti-e-una-ricognizione-sullo-stato-degli-studi/  ).

1 Lettera di Giulio Clovio al cardinale Alessandro Farnese, 16 novembre 1570. Archivio di Stato di Parma, b. 18

Il desiderio di insediarsi nella città pontificia dovette fare i conti con la feroce concorrenza di artisti di rango, già prediletti dai committenti romani. Ma il suo punto di forza risiedette proprio nell’essere estraneo a quel contesto, menzionandosi come pupillo del famoso maestro veneto Tiziano e, quindi, una novità significativa per la città. Questa operazione venne avviata dal miniatore e suo protettore Giulio Clovio nella lettera di raccomandazione (Fig.1), datata 16 novembre 1570, scritta al cardinale Alessandro Farnese[2]:

Adì 16 di novembre 1570.

Al signor cardinale Farnese.

È capitato in Roma un giovane Candiotto discepolo di Titiano, che a mio giuditio parmi raro nella pittura et fra l’altre cose egli ha fatto un ritratto da se stesso che fa stupire tutti questi pittori di Roma. Io vorrei trattenerlo sotto l’ombra di Vostra Signoria illustrissima et reverendissima senza spesa allcuna del vivere, ma solo de una stanza nel palazzo Farnese per qualche poco di tempo, cioè per finché egli si venghi ad accomodare meglio; però la prego et supplico sia contenta di scrivere al conte Ludovico suo maiordomo che la provegghi nel detto pallazzo di qualche stanza ad alto, che Vostra Signoria illustrissima farrà un’opera virtuosa degna di Lei, et io gliene terrò obligo et le bascio con reverenza le mani.
Di Vostra Signoria illustrissima et reverendissima humillissimo servitore,

don lulio Clovio.

[Al verso]

All’illustrissimo et reverendissimo signor et patrone mio osservandissimo il signor cardinale Farnese. Viterbo.

70/Roma. Don Iulio miniatore. 16 di novembre.

[Al recto]

1570.16 novembre[3].

L’artista cretese venne, dunque, presto identificato come «discepolo di Titiano»[4] e questo è riportato non solo da Clovio, ma anche dall’umanista e bibliotecario Fulvio Orsini, anche lui amico dell’artista forestiero conosciuto presso Palazzo Farnese [5], e dal già citato Giulio Mancini. Anche Durante Dorio da Leonessa (1571 ca. – 1645), storico e giurista, nelle sue aggiunte personali, di datazione ignota[6], inserite in una copia dell’edizione giuntina delle Vite[7], si riferì a El Greco come a un discepolo di Tiziano, aggiungendolo alla lista degli allievi di quest’ultimo:

«Fu anco discepolo di Titiano Domenico Theotocopoli, il quale attese alla maniera ultima di Titiano […]»[8].

Come si vedrà anche dagli appunti ai margini delle Vite, il Greco ebbe modo di esprimersi negativamente verso l’arte tosco-romana, con la conseguenza di innescare reazioni negative. Una di queste reazioni, che merita un successivo approfondimento, venne riportata da Pirro Ligorio, noto frequentatore degli ambienti farnesiani, nel suo Trattato di alcune cose appartenente alla nobiltà delle antiche arti [9].

Si vedrà come El Greco stesso, con la sua arroganza, penalizzò le sue aspirazioni alla vita cortese romana, comportando la cacciata dal Palazzo Farnese.

Testimonianza di tale evento è una lettera (Fig.2a, Fig.2b) indirizzata al cardinale Alessandro Farnese il 6 luglio del 1572:

2a Lettera di El Greco al card. A. Farnese
2b Lettera di El Greco al card. A. Farnese (seconda parte)

Illustrissimo et dignissimo signor patrone osservandissimo.

Subito dopo la partita di Vostra Signoria illustrissima, il conte Ludovico suo mastro di casa mi dete licentia, per ordine, secondo lui dice, de Vostra Signoria illustrissima. Non posso lasciar di dolermi che essendo io chiamato da Lei al suo servitio, mossa dalla sua bontà, che sempre ha per usanza sostentare appresso di Lei tutti quelli huomini che fa degni di anoverare tra la sua famiglia per l’eccellenza et rarità di qualche vertù, ben ché io non mi reputasse degno di tanto honore et essamenandomi et minutamente revedendomi, non mi trovo tale che meritasse esser trattato a questo modo, conoscendomi huomo, che si come non ricercai da Vostra Signoria illustrissima tal favore, neanco meritava, senza colpa mia, esserne poi scacciato et mandato via di questa sorte. Come ho detto non trovo en me occasione, né causa per la quale meritassi questo scorno; mi saria molto caro saperla per sodisfattion mia et del mondo, che di ciò si meraviglerà assai, et essendo, come è, falsa, purgarla appresso // Vostra Signoria illustrissima, come huomo che n’ho caro l’honor mio. Io sono per ubidire li commandamenti suoi, tanto in questa come in ogn’altra cosa, lasciando queste quattro righe per testimonio dell’animo mio, prontissimo et fedelissimo, mentre restarà questa vita al nome et alla sua casa illustrissima ala quali prego dal Signor Dio ogni felicità et grandezza. Di Roma, 6 di luglio 1572.
Di Vostra Signoria illustrissima et reverendissima humilissimo et devotissimo servo,

Domenico Teotocopuli[10].

Questa fu l’ultima delle due lettere romane, attualmente in nostro possesso, riguardanti il soggiorno romano dell’artista cretese.

Dopo la cacciata da palazzo Farnese, El Greco fece la sua comparsa nel registro della corporazione dei pittori di Roma, l’Accademia di San Luca, con una data, il 18 settembre 1572:

 [62]

M[iser] Dominico Greco de dar p[er] il suo introito del arte 2 [scudi]

 [63]

M[iser] Dominico Greco pittor a dato p[er] tutto il suo introito del arte scudi due a me Pietro Ant[onio] Consolo a di 18 s[e]t[embre] 1572 2 [scudi].[11]

 [D]

Dominico Greco pittor a carte [folio] 63[12].

Nel registro si leggono le somme che El Greco aveva versato per esercitare da professionista e permettersi, così, l’apertura della propria bottega con gli aiutanti Lattanzio Bonastri (1550 ca. – 1583) e Francesco Prevoste (1528 ca. – 1607). Bonastri fu una testimonianza fondamentale per Mancini nel redigere il profilo biografico del Greco e continuò a lavorare a Roma dopo la sua partenza. Prevoste, invece, restò al fianco del suo maestro anche in Spagna[13].

La registrazione come “pittor a carta” ha sollecitato un malinteso, dato che significa “miniaturista”, ma non vi sono prove che il Greco avesse seguito le orme di Clovio in questo ambito; invece, si tratterebbe solo di un’annotazione che rimanda a una pagina diversa del registro[14].

Altre notizie sul suo soggiorno romano si ricavano dalle sue postille alle Vite, dove l’artista, ormai da tempo in Spagna, commentò ciò che aveva visto personalmente nella città.

1) Giulio Clovio

Giulio Clovio (1498 – 1578) era un miniaturista di origini croate e anche lui, come El Greco, era passato per Venezia[15] prima di approdare a Roma, dove studiò con Giulio Romano, con Michelangelo e con il miniaturista Girolamo dai Libri[16]. Clovio fu talmente apprezzato nell’arte della miniatura che il Vasari scrisse nelle sue Vite:

«Onde possiam dire che don Giulio abbia […] superato in questo gli antichi e‘ moderni, e che sia stato a’ tempi nostri un piccolo e nuovo Michelagnolo»[17].

Clovio fornisce la prima e importante documentazione dell’arrivo di El Greco a Roma: la più volte citata lettera di raccomandazione al cardinal Farnese. Nella lettera, raccomandava “un giovane Candiotto discepolo di Titiano”, trentenne circa[18], al cardinale Alessandro Farnese il Giovane, suo mecenate dal 1540. Clovio richiese anche un alloggio a palazzo, così da concedere al forestiero la possibilità di poter lavorare a contatto con gli intellettuali del circolo farnesiano. Nel palazzo El Greco risiederà per almeno diciannove mesi, fino allo sfratto ufficiale del 18 luglio 1572[19].

È forse per riconoscenza che El Greco ritrasse il suo promotore e amico (El Greco, Giulio Clovio, 1570 ca., Napoli, Museo di Capodimonte, Fig.3), a mezzo busto, nell’atto di sfogliare il capolavoro, frutto del suo mestiere di minatore: il Libro d’ore del cardinale Farnese (1546); omaggio che ripeterà nella Cacciata dei mercanti dal tempio di Minneapolis, dove il miniaturista viene inserito da El Greco tra gli altri maestri fondamentali per il suo percorso[20].

3 El Greco, Giulio Clovio, Napoli, Museo di Capodimonte

Vi è un’altra lettera che per molto tempo fu attribuita a Giulio Clovio. Si tratta di una fonte interessante, perché in questa lettera si scoprirebbe un lato eccentrico del Greco, la sua avversione alla luce diretta:

“Sono andato dal Greco per fare una passeggiata con lui in città. Il tempo era molto bello, con un sole primaverile piacevolissimo che dava a tutti gioia. La città aveva un’aria di festa. Quale non fu il mio stupore, quando entrai nello studio del Greco nel vedere le imposte delle finestre chiuse in modo tale da potere appena distinguere gli oggetti. Il Greco era seduto su una sedia, senza lavorare né dormire. Non volle uscire con me, perché la luce del giorno turbava la sua luce interiore  [21].

Hrvoje Morović, nel suo Jedová Izmisljotina o El Grecu, ebbe il merito di sfatare la testimonianza attribuita a Clovio [22]. Sembrerebbe una pura invenzione di Jerko Fabković, allievo del professor Hugo Kehrer; quest’ultimo, aveva pubblicato la presunta lettera di Clovio in Ein Besuch des Giulio Clovio im Atelier Grecos nel 1923[23]. Kehrer fu messo al corrente dell’inesistenza di tale documento negli archivi di Spalato molto tempo dopo[24].

2 Giulio Mancini

Il senese Giulio Mancini (Siena, 1558 – Roma, 1630), dal 1623 medico personale di papa Urbano VIII (1623 – 1644), collezionista e scrittore d’arte, è noto come autore delle Considerazioni sulla pittura [25]. Il lavoro durò dal 1614 al 1620, con aggiunte fino alla morte, nel 1630, ma non venne mai portato a stampa[26].

Il manoscritto è costituito da tre parti: un trattato sulla pittura [27], una raccolta di biografie di artisti e una guida su come distinguere gli originali dalle copie. In queste pagine, Mancini riporta le informazioni che attinse sul Greco grazie alla collaborazione dell’aiutante Bonastri, che fu

«sotto la disciplina di quel Greco che operò con la maniera di Titiano e poi morì in Spagna […]»,[28] e del pittore senese Alessandro Casolani che andò «a Roma a studiar le cose di Raffaello e d’altri valent’huomini che vivean in quei tempi […] come […] il Greco […]»[29].

Le notizie che fornisce il Mancini si allineano a quelle date da Clovio, anche se non ebbe lo stesso contatto diretto con El Greco:

Di […] detto comunemente il Greco.

Sotto il pontificato di Pio V di s. m. venne in Roma […] che per tal rispetto era communemente chiamato il Greco. Questo, havendo studiato in Venetia et in particolare le cose di Titiano era venuto a gran segno nella professione e quel modo di operare[30].

Quindi, il discepolato presso Tiziano viene fuori anche con Mancini, confermando la promozione avviata da Clovio. La biografia del Mancini continua:

[…] venutosene a Roma et in tempo che non v’eran molti huomini e quelli di maniera non così risoluta né così fresca come pareva la sua, pigliò grand’ardire, tanto più che in alcune cose private diede gran sodisfattione [][31].

La permanenza romana fu utile a El Greco per entrare in quello che potrebbe essere definito il contesto “postmichelangiolesco”; Mancini, infatti, lo segnala accompagnato da Girolamo Muziano e Taddeo Zuccari, entrambi attenti osservatori dell’operato del Buonarroti[32].

A Mancini, come già detto, si deve il racconto dell’azzardata proposta del Greco davanti al capolavoro michelangiolesco della Sistina:

Onde, venendo l’occasione di coprir alcune figure del Giuditio di Michelangelo che da Pio erano state stimate indecenti per quel luogo, [il Greco] proruppe in dir che, se si buttasse a terra tutta l’opera, l’haverebbe fatta con honestà et decenza non inferiore a quella di bontà pittura. Onde, provocatisi tutti i pittori e quelli che si dilettano di questa professione, gli fu necessario andarsene in Spagna, dove sotto Filippo II, operò molte cose di gran buon gusto [33].

Fu nel 1541 che Michelangelo Buonarroti finì di affrescare il Giudizio della Sistina, dopo cinque anni di lavoro su commissione di papa Clemente VII (1523 – 1534). Ma, ancor prima del completamento del Giudizio, vi furono sia reazioni positive che negative da parte del pubblico, tra la venerazione e lo sdegno, sia per la forma che per la moralità “assente” nell’affresco[34].

Invero, fu durante il Concilio di Trento con Pio V che si decise[35], nel 1564, di incaricare l’artista manierista Daniele da Volterra, detto il “Braghettone” appunto, di coprire i nudi dell’affresco dato alla luce dal genio michelangiolesco [36]. El Greco fece il suo ingresso a Roma dopo questi eventi, 1570 circa, mentre Michelangelo era già venuto a mancare e l’affresco della Sistina aveva subito da tempo la sua censura.

La proposta di El Greco è un evento significativo, ampiamente valutato dagli studiosi: rifare l’enorme affresco seguendo i principi dichiarati dal Concilio di Trento, allo scopo di entrare nelle considerazioni di papa Pio V, suo interlocutore nella testimonianza del Mancini. In realtà, secondo quest’ultimo ottenne l’effetto contrario: El Greco, dopo aver scatenato la collera dei colleghi romani, lasciò Roma per la Spagna, verso nuovi possibili ingaggi presso Filippo II.

Oltre alla testimonianza scritta del Mancini, vi è una possibile prova materiale di questo episodio, un bozzetto (Fig.4) conservato in una collezione privata ungherese[37].

4 El Greco, Giudizio Universale, Budapest, coll. privata

Nella tavola, El Greco avrebbe ripensato il Giudizio Universale secondo il suo stile, dando maggiore dinamismo all’intera composizione e usando ampiamente i panneggi sia per rispettare i dettami della Controriforma, che per smorzare, così, le figure del loro originario plasticismo[38].

El Greco difese la sua proposta come spinto dalla volontà di riportare nella Sistina il giusto decoro ponendo nel suo operato una “revisione ortodossa”, che seguiva i nuovi dettami cattolici forniti dal Concilio[39].

Ma esistono più letture di questo episodio ed è interessante riportarle.

Secondo Marías, quello di El Greco era più un colpo basso all’arte di Michelangelo che l’atteggiamento di un uomo dal moralismo intransigente [40]. Prima di lui, fu Pallucchini a considerare l’asserzione di Domínikos come una sorta di “sfida”, un’affermazione della propria bravura, oltre che una dimostrazione dell’ignoranza da parte dell’artista forestiero davanti a quello che è uno degli avvenimenti più importanti e caratteristici del Rinascimento italiano[41]. Scholz-Hänsel interpreta la proposta dell’artista cretese al papa più come un segno disperato da parte del nuovo arrivato in città, che cercava di propagandarsi in un ambiente già saturo dell’eredità michelangiolesca[42].

L’aneddoto del Mancini si conclude con la “fuga” di El Greco da Roma, giustificata dal suo comportamento scorretto. Ma, potrebbe essersene andato essenzialmente per la possibilità lavorativa vantaggiosa che offriva la Spagna e in particolare la corte del re Filippo II, presso il monastero dell’Escorial. In ogni caso, fu nella penisola iberica che El Greco continuò la sua carriera artistica e dove produsse opere ancora contrassegnate dallo stile e dai modelli michelangioleschi, ripresi, anche, dal tanto contestato Giudizio.

3 Fulvio Orsini e Pirro Lagorio

Fulvio Orsini (Roma, 1529 – 1600), figlio di una tra le più potenti famiglie romane, bibliotecario e canonico di San Giovanni in Laterano, fu un intellettuale che si fece strada grazie alla propria erudizione[43]. Tanto da arrivare a lavorare come bibliotecario e segretario, si pensa dal 1544, presso il palazzo dei Farnese, sotto i cardinali Ranuccio, Alessandro e Odoardo, succedendo agli scrittori umanisti Paolo Giovio e Annibale Caro[44]. Oltre al ruolo di bibliotecario, ricoprì anche quello di conservatore della collezione Farnese e consigliere in merito agli acquisti d’arte[45].

Fu in questo contesto che conobbe il giovane candiotto Domínikos Theotokópoulos, arrivato a palazzo grazie a Clovio e desideroso di conoscere gli intellettuali che frequentavano quel luogo. Il circolo di letterati, studiosi e intellettuali era capeggiato proprio dal dotto Orsini. Entrando in contatto con lui, grazie al suo talento artistico, El Greco cercò di farne il suo protettore, tra i più rilevanti nell’Urbe[46].

L’importanza dell’Orsini è attestata soprattutto dall’inventario testamentario[47] della sua notevole collezione romana[48], stipulato poco prima di morire (31 gennaio 1600). Costituita da opere di maestri come Raffaello e Michelangelo, conservava anche sette opere «di mano di un Grego scolaro di Titiano»[49], come viene citato nello stesso catalogo orsiniano, tra le quali si ritrova il già menzionato ritratto di Clovio, amico dell’Orsini[50]. Nello specifico, le opere di El Greco sono: «Quattro tondi di rame, col ritratto del cardinal Farnese, S. Angelo, Bessarione cardinale et Papa Marcello del medemo»[51], un «Quadro corniciato di noce con un paese del monte Sinai […]»[52] (Fig.5) e il «[…] ritratto di don Giulio miniatore […]»[53].

5 El Greoc, Veduta del Monte Sinai, Iraklion, Museo storico di Creta
6 El Greco, El soplón, Napoli, Museo di Capodimonte

Tutte opere del periodo romano del Greco, all’interno dell’inventario vengono citati anche il Ragazzo che soffia su un tizzone acceso[54] (Fig.6) e la Guarigione del cieco [55], anche se non erano stati posseduti personalmente dall’Orsini.

Orsini ebbe l’occasione di incontrare molti altri artisti in città grazie alla sua posizione. In particolare, conobbe l’architetto e antiquario Pirro Ligorio (1513 – ‘83), di origini napoletane, che ebbe l’opportunità di frequentare palazzo Farnese come agente antiquario per conto del Duca di Ferrara Alfonso II d’Este[56].

Sicuramente, fu in una di queste visite che Ligorio conobbe Domínikos, come si può dedurre da alcuni passaggi del Trattato di alcune cose appartenente alla nobiltà delle antiche arti[57] scritto da Ligorio nel 1570[58]:

“Questo accordatosi con un’goffo forestiero, usa infinite insolenze con quello, et fanno tanti intoppi quanto possano, per far morir gli huomini dabene di disascio; talche per loro desiderio farebbe da fosse ogni huomo distrutto più tosto, che havessi lume di far bene senza esso e senza il suo compagno venuto a Roma oltramarino. L’uno di essi vuole, con esser detrattore d’ogni gentilezza tenuto et stimato il primo sapiente, et lo meglior conoscitore di disegno, e si prosume tanto di se istesso, che non conosce, ch’egli non seppe mai tirare una linea, non che la sappi dare ad’intendere per regola di ammaestrare, l’altro con la fede che ha à costui, et per ambittione di parere di far qualche cosa, et per li vezzi suoi, per la magnificenza per la riputatione che si reca, di signore si fa curioso delle goffagini delli più sciocchi meccanici che si trovano; et certo havemo veduto se è scoperto ignorante et alieno d’ogni cosa eccellente“. [59].

Nel brano, i due artisti anonimi sono indicati come «un’goffo forestiero», riconosciuto da Marías come Clovio, e «il suo compagno venuto a Roma oltramarino» ovvero El Greco[60].

Entrambi vengono denunciati da Ligorio per aver danneggiato l’arte a loro contemporanea, considerandosi superiori nell’ambiente artistico; Clovio nei panni della “mente”, mentre El Greco in quelli dello “scagnozzo”[61].

È interessante rilevare che anche Pirro, come il Greco, si schierò contro il Giudizio di Michelangelo. Nella sua opera Delle antichità di Roma infatti così si esprime:

“E negli uomini e nelle donne e nelli fanciulli per tutte le parti del volto ha posti muscoli di forme degne di Cacodemoni; tanto è suefatto nelle sue fantasticarie, che quando vuole formare un angelo, fa un demonio, e poco sono differenti l’una effigie dall’altra. E le donne l’ha fatte di tali sentimenti et effigie, che pareno lontane da quella dilicatezza ch’esse hanno, et un pittore da cocozze se ne doveria vergognare, con gli occhi, con le bocche, con l’aspri moscoli, con le mammelle a uso di cetroni, e sono sì musculose e si stranamente acconcie, che se fossero così fatte dalla natura sarebbono imperiose contra di loro istesse. Lasciando cotali bruttezze da parte, che sono cose spaventevoli, oltra a cotale bruttezza si può dire delli difetti delle maschere il medesimo, le quali per bellezza son per tutto. E nelle cose lascive che pensa di fare, e nelle sacre e profane e nei sacri tempii, si vedono certe disonestà, che nelle stufe darrebbono scandalo“. [62].

Donati usa questa rivelazione di Pirro per ipotizzare una possibile influenza da parte di Ligorio sul pensiero di El Greco, testimoniato dal Mancini, in merito al Giudizio michelangiolesco[63]. Pensiero che si sfaccetterà nelle annotazioni a margine delle Vite, ma ne riparleremo meglio in futuro.

Mario LIPARI   Palermo 29 Giugno 2025

NOTE

[1] Fu la prima tappa dell’artista in Italia. Una lettera, datata 18 agosto 1568, è la prima testimonianza della sua presenza nella capitale della Serenissima (Archivio di Stato di Venezia, Duca di Candia, b. 36, libro 33, c. 102v; pubblicata per la prima volta in M. Constantoudaki, Dominicos Théotocopoulos (El Greco) de Candie à Venise. Documents inédits (1566 – 1568), in “Thesaurismata”, XII, 1975, pp. 305 – 308).
[2] Scholz-Hänsel, El Greco, p. 20.
[3] Lettera conservata nell’Archivio di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 18. Pubblicata per la prima volta in A. Ronchini, Giulio Clovio, in Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e Parmesi, 1865, III, pp. 259 – 270; Miscellaneo, I documenti, pp. 60 – 61.
[4] In Archivio di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 18.
[5] Un approfondimento sulla figura di Fulvio Orsini si trova nel seguito di questo articolo.
[6] Nel manoscritto non vi sono indicazioni per una datazione certa, si può supporre che Dorio abbia lavorato sul testo tra il 1620 e il 1630 ma è solo un intervallo approssimativo. A. C. Lavín, Nuevos Datos Sobre la Estancia del Greco en Italia: Los Comentarios a las Vitae de Vasari de la Biblioteca Lodovico Jacobilli de Foligno, in “Revista Archivo Secreto”, n. 6, Toledo 2015, p. 267.
[7] Cod. B. V. 1, Delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori scritte da Giorgio Vasari pittore, et architetto aretino, Biblioteca Jacobilli di Foligno.
[8] V. Picchiarelli, Un tentativo di integrazione delle “Vite”: le postille all’edizione giuntina di Durante Dorio da Leonessa, in Arezzo e Vasari, a cura di A. Caleca, Foligno 2007, p. 288.
[9] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 88.
[10] Archivio di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano estero, b. 467. La prima pubblicazione in A. Pérez De Tuleda, A proposito di una lettera inedita di El Greco al cardinale Alessandro Farnese, in “Aurea Parma”, LXXXV, II (maggio-agosto 2001), p. 188; Miscellaneo, I documenti, p. 63.
[11] Libro antico degl’Accademici ed aggregati, 1535 – 1653, Archivio dell’Accademia di San Luca, inv. 2, 62 – 63. Pubblicati da D. Martínez de la Peña, El Greco, en la Academia de San Lucas (El Primer documento cierto sobre la estancia del Greco en Italia), in Archivio Español de Arte, XL, 158, Madrid 1967, p. 98.
[12] Registro antico degl’Accademici ed aggregati. 1500 – 1600, Archivio dell’Accademia di San Luca, inv. 5, D. Pubblicato da Martínez de la Peña, El Greco, en la Academia de San Lucas, XL, p. 98.
[13] Si possiedono poche informazioni su entrambi gli artisti: le testimonianze su Bonastri provengono da Giulio Mancini, mentre le uniche notizie su Prevoste risalgono al soggiorno spagnolo; quest’ultimo entrò nella bottega del Greco poco più che ventenne e lavorò come suo assistente fino al 1607 circa, a Toledo. Marías Franco, El Greco: life and work, p. 101 – 102.
[14] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 101.
[15] Nel 1516. Probabilmente, l’anello di connessione tra lui e il Greco fu Tiziano.
[16] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 73; 79 – 80; Donati, Il Greco a Roma, p. 110.
[17] G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architetti, a cura di A. Racheli, Trieste 1862, p. 1171.
[18] Donati, Il Greco a Roma, p. 109. Marías Franco, El Greco: life and work, p. 80.
[19] Donati, Il Greco a Roma, p. 109.
[20] Partendo da sinistra: Tiziano, Michelangelo, Clovio e, si ipotizza, Raffaello. Donati, Il Greco a Roma, pp. 119 – 120.
[21] Pallucchini, Il Greco, p. 12.
[22] H. Morović, Jedová Izmisljotina o El Grecu, in “Mogućnosti”, VII, n.4 (1960, aprile), pp. 312 – 315.
[23] H. Kehrer, Ein Besuch des Giulio Clovio im Atelier Grecos, in “Kunstchronik und Kunstmarkt”, N.F. 34, aprile – ottobre, 1923, pp. 784 – 785.
[24] Wethey, El Greco and his school, I, p. 9.
[25] G. Mancini, Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Marucchi, I-II, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1956.
[26] Ebbe solo un’ampia circolazione manoscritta ed era costituito da ventidue versioni conosciute. La riproduzione in due volumi promossa da Lionello Venturi, curata da Adriana Marucchi e commentata da Luigi Salerno, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei nel 1956, è l’unica versione pubblicata della sua opera. È stata prodotta anche in inglese nel 2000. Marías Franco, El Greco: life and work, pp. 106 – 107.
[27] Intitolato Discorso di pittura.
[28] Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, p. 230.
[29] Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, p. 209.
[30] Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, p. 230.
[31] Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, p. 230.
[32] Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, p. 209.
[33] Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, pp. 230 – 231.
[34] P. De Vecchi, La Cappella Sistina, Milano 1999, p. 216.
[35] Fu argomento di discussione sulle immagini sacre nel 1563. Donati, Il Greco a Roma, p. 114.
[36] E. Battisti, La critica a Michelangelo dopo il Vasari, in “Rinascimento”, VII, (luglio 1, 1956), pp. 145 – 146.
[37] El Greco, Giudizio Universale, XVII sec., tavola, Budapest, Collezione privata (scheda dell’opera sul catalogo online della Fondazione Giorgio Cini: https://arte.cini.it/Opere/429340, accesso 27/03/2023).
[38] E. Battisti, Michelangelo: fortuna di un mito – cinquecento anni di critica letteraria e artistica, a cura di G. Saccaro Del Buffa, Firenze 2012, pp. 13 – 14.
[39] G. Mancini, Considerazioni sulla pittura, I, p. 230.
[40] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 108.
[41] Pallucchini, Il Greco, p. 28.
[42] Scholz-Hänsel, El Greco, p. 20.
[43] Marías Franco, El Greco: life and work, pp. 82 – 96.
[44] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 80.
[45] B. Jestaz, Le collezioni Farnese di Roma, in I Farnese. Arte e collezionismo, Milano 1995, pp. 55 – 60.
[46] Scholz-Hänsel, El Greco, p. 19.
[47] L’originale è andato perduto. Una copia, però, venne scoperta e pubblicata dallo storico dell’arte Pierre Girault de Nolhac nel 1884. La copia apparteneva a Gian Vincenzo Pinelli, amico dell’Orsini, (Biblioteca Ambrosiana, Jo. Vinc. Pinelli, Adversaria philologica seu adnotationes variae ad literas ad scientias ad religionem pertinentes et collectae ex classicis auctoribus, H. 2 Inf., il taccuino dell’inventario è dopo fol. 88; altre copie si trovano in I. 223 Inf.). M. Hochmann, Les dessins et les peintures de Fulvio Orsini et la collection Farnèse, in “Mélanges de l’école française de Rome”, 1993, p. 49.
[48] Dopo la sua morte, la collezione passò in eredità al cardinale Odoardo Farnese. Costituita da busti, pietre incise, iscrizioni e un’importante collezione numismatica, di dipinti e disegni. La collezione è stata smembrata tra vari musei come il British Museum e l’Ermitage. Jestaz, Le collezioni Farnese di Roma, pp. 58 – 59.
[49] P. de Nolhac, Les collections d’antiquités de Fulvio Orsini, in “Mélanges d’archéologie et d’histoire”, IV, 1884, p. 174.
[50] Pallucchini, Il Greco, p. 5.
[51] Andati dispersi. Nolhac, Les collections d’antiquités de Fulvio Orsini, p. 175.
[52] El Greco, Veduta del Monte Sinai, 1570 – ’72, Iraklion, Museo Storico di Creta. Nolhac, Les collections d’antiquités de Fulvio Orsini, p. 174.
[53] Nolhac, Les collections d’antiquités de Fulvio Orsini, p. 175.
[54] El Greco, El soplón, 1571 – ’72, Napoli, Museo di Capodimonte.
[55] El Greco, Guarigione del nato cieco, 1573 ca., Parma, Galleria Nazionale.
[56] Marías Franco, El Greco: life and work, pp. 88 – 90.
[57] Mai pubblicato integralmente. Si rimanda a D. R. Coffin, Pirro Ligorio on the Nobility of the Arts, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XXVII, 1964. Attualmente, è in corso il lavoro per l’Edizione Nazionale delle opere di Pirro Ligorio, si attende una versione aggiornata del trattato.
[58] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 88.
[59] Coffin, Pirro Ligorio, p. 203.
[60] Marías Franco, El Greco: life and work, p. 88.
[61] Donati, Il Greco a Roma, p. 114.
[62] Si rimanda a P. Ligorio, Delle antichità di Roma: Circi, amphitheatri con numerose tavole e pianta cinquecentesca di Roma, a cura di D. Negri, Roma 1989.
[63] Donati, Il Greco a Roma, pp. 113 – 114.

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