Perugino, Antoniazzo e Filippo Lippi riconosciuti; scoperte e nuove aggiunte alla ritrattistica dei Maestri del Rinascimento

di Sergio ROSSI

Sergio Rossi (Messina,1948) si è laureato nel 1971 con Giulio Carlo Argan all’Università di Roma “La Sapienza” dove dal 1972 al 2015 ha svolto attività didattica e di ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Arte, in particolare per le materie di Storia dell’Arte Moderna e Storia Sociale dell’Arte. Ha al suo attivo oltre cento pubblicazioni di cui possiamo citarne solo  alcune in questa sede: Dalle botteghe alle Accademie. Realtà sociale e teorie artistiche a Firenze dal XIV al XVI secolo, edito da Feltrinelli nel 1980; I luoghi di Raffaello a Romae Oltre Raffaello (cataloghi della mostre), Multigrafica editrice, Roma, 1983 e 1984;Pensieri d’artista. Teoria, vita e lavoro nei Maestri del Rinascimento italiano, Campanotto editore, Udine, 1994 (II ed. 2002); I pittori fiorentini del Quattrocento e le loro botteghe da Lorenzo Monaco a Paolo Uccello, edizioni Tau, Todi, 2012; Oltre il Giubileo I. Pittura e Misericordia a Roma 1300-1675, Lithos editrice, Roma, 2017. Dal 2017 è cofondatore e condirettore della Rivista internazionale di studi, Theory and Criticism of Literature and Arts. Nel 2016, a cura di Stefano Valeri, è stato inoltre pubblicato, per i tipi della Lithos editrice di Roma, il volume La fucina di Vulcano. Studi sull’arte per Sergio Rossi, raccolta di saggi in suo onore in occasione della cessazione del suo impegno di docente universitario. Con questo saggio inzia la sua collaborazione con About Art.

L’apertura della mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale ha suscitato molte polemiche, tuttavia non è questo il tempo delle polemiche e pertanto per adesso non intendo parlarne; eventualmente lo farò ad emergenza finita ed a bocce ferme, anche se è ormai evidente a tutti che il 4 marzo l’esposizione non si sarebbe dovuta inaugurare.

Comunque alcune considerazioni generali voglio esporle visto che nel 1983/84 ideai e diressi una serie di mostre didattiche proprio su Raffaello dal titolo I luoghi di Raffaello a Roma ed Oltre Raffaello; un’iniziativa di cui vado ancora oggi fiero. Certo erano altri tempi, Argan non era più sindaco di Roma da alcuni anni ed era stato eletto senatore ma continuava ad orientare (per fortuna) la politica culturale della Capitale, per cui, quando io, allora suo giovane assistente, gli proposi il progetto lo appoggiò in pieno e mi mise in contatto con il sindaco Vetere ed il mitico assessore alla cultura Renato Nicolini. Così, in poco tempo e con un budget molto contenuto, organizzammo una serie di mostre didattiche, con tanto di pannelli fotografici e apertura straordinaria dei vari luoghi coinvolti: La Farnesina, S. Maria del Popolo, S. Maria della Pace, Sant’Agostino, S. Eligio degli Orefici, Villa Giulia, S. Pietro in Montorio, Villa della Magliana, Palazzo Firenze, Oratorio del Gonfalone, S. Marcello al Corso, con due Cataloghi a cura della Multigrafica Editrice.

Molte schede vennero redatte da studenti e neo laureati, alcuni dei quali sono oggi stimati docenti universitari o funzionari delle Belle Arti, per cui anche da un punto di vista didattico si trattò di un esperimento molto proficuo. Inoltre la Regione mi incaricò di organizzare un ciclo di conferenze e lezioni nei vari Licei (a volte anche nei Teatri) del Lazio: Poggio Mirteto, Rieti, Viterbo, Civita Castellana, Latina, Fondi, Sabaudia, Terracina, Sora, Frosinone, riuscendo a coinvolgere per l’occasione docenti del calibro di Francesco Negri Arnoldi, Claudia Cieri, Marcello Fagiolo dell’Arco, padre Heinrich Pfeiffer e soprattutto Claudio Strinati con cui siamo riusciti una volta a tenere a bada (a Terracina) perfino diverse centinaia di studenti liceali dapprima inferociti e poi stregati da Giovanni Hus e Girolamo Savonarola.

Oggi come docente in “quiescenza” non ho certo smesso di tenere lezioni e conferenze in varie sedi e sono anche cofondatore e condirettore della Rivista internazionale di studi Theory and Criticism of Literature and Arts, edita già da tre anni. Tra i vari argomenti di cui mi sono occupato -e che approfondiremo anche in futuro- mi interesso in particolare degli autoritratti e ritratti d’artista, un tema che mi appassiona da oltre quarant’anni e su cui potrei ormai stampare un intero volume (e non escludo che presto non lo faccia): ma posso fornirne qualche pillola per il lettori di About Art, incominciando dal Quattrocento e più nello specifico dagli affreschi delle pareti laterali della Cappella Sistina.

1) Pietro Perugino, Ritratto di uomo, Città del Vaticano, Cappella Sistina, Consegna delle chiavi, part.
2) Pietro Perugino, Autoritratto, Perugia, Collegio del Cambio, part.

Tra le molte identificazioni errate ma quasi unanimemente accolte dalla storiografia la più clamorosa è forse quella che riguarda la presunta immagine del Perugino nell’affresco con la Consegna delle chiavi, da vedersi nella pingue figura vestita di nero, quinta partendo da destra [fig.1], che in effetti presenta una vaga somiglianza con il sicuro autoritratto del Vannucci che compare negli affreschi del Collegio del Cambio di Perugia [fig.2]. Peccato però che questo dipinto è del 1500 e quindi è difficile credere che nel 1482 il nostro artista si sarebbe ritratto immaginando come sarebbe stato se stesso diciotto anni dopo, decisamente invecchiato e con qualche chilo di troppo.

Il vero autoritratto del Perugino, finora assolutamente sfuggito alla storiografia, almeno a quanto mi risulta, si trova invece nell’affresco con La circoncisione del figlio di Mosè, ed esattamente nella figura con berretto rosso e sempre rivolta verso gli spettatori che compare sull’estrema destra della scena, in una posizione decisamente, e forse volutamente, defilata [fig.3].

3) Pietro Perugino, Città del Vaticano, Cappella Sistina, Circoncisione del figlio di Mosè.
4) Pietro Perugino, Perugia, Pinacoteca Nazionale dell’Umbria, Epifania.

E’ questa un’immagine del tutto coincidente con quella del primo autoritratto sicuro del pittore di Città della Pieve, che si raffigura sull’estrema sinistra de L’Epifania, tavola datata intorno al 1476/78, cioè poco prima degli affreschi sistini e conservata a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria [fig.4].

Un’altra mia scoperta riguarda l’unico autoritratto esistente di Antoniazzo Romano e presente in uno dei suoi massimi capolavori, la Madonna della Rota, ora nei Palazzi Vaticani.

Al centro della tavola vi è la Vergine in trono col Bambino ritto sulle sue ginocchia, secondo un’iconografia assai consueta, e i Santi Pietro e Paolo, mentre in primo piano e ai lati del trono sono inginocchiati in due gruppi distinti e simmetrici i dodici uditori della Rota, il tribunale di appello della Santa Sede. In effetti i volti dei personaggi ritratti sono di qualità assai diversa, alcuni stereotipati e senza vigore, altri di rara potenza ed espressività, degni del miglior Melozzo. Tra costoro la Cavallaro [1997] ha individuato, con relativa sicurezza, solo un paio di personalità: l’uditore in primo piano a sinistra, che è il francese Guglielmo de Pereriis e il secondo da destra (proprio ai piedi di S. Pietro), con i capelli bianchi, che dovrebbe essere il committente del dipinto Giovanni Ceretani.

Ma né la Cavallaro né gli altri studiosi dell’opera si sono accorti che la figura sull’estrema sinistra, con i capelli a caschetto e lo sguardo rivolto di sbieco verso gli spettatori è un evidentissimo autoritratto di Antoniazzo [fig.5],

5) Antoniazzo Romano, Madonna della Rota, Città del Vaticano, appartamenti papali.

come conferma anche il confronto con l’unica altra immagine del pittore a noi nota, quella che compare nel frontespizio degli Statuti dell’Università dei Pittori del 1478 molto probabilmente miniato da Jacopo Ravaldi [fig.6].

6) Jacopo Ravaldi (?), Frontespizio dello Statuto dei Pittori, Roma, Accademia di San Luca.

E proprio la somiglianza dei due volti mi induce a ritenere che la datazione del dipinto vada anticipata, sia pure di poco, rispetto al periodo ’88-92 indicato dalla Cavallaro e ricondotta comunque all’ultimissimo periodo del pontificato di Sisto IV al cui stemma alludono i rami di quercia che si intravedono nel fondo damascato della tavola.

Un altro artista che mi ha appassionato con la sua moderna “ossessione” autobiografica è Filippo Lippi di cui ho individuato almeno sette autoritratti, alcuni già noti, altri proposti da me per la prima volta ne I pittori fiorentini cui rimando per un’analisi completa della questione. In questa sede mi occuperò di quelli che compaiono nell’impresa più titanica affrontata dal Lippi e cioè l’affrescatura, insieme a numeroso concorso di allievi, della cappella maggiore del Duomo di Prato con Storie di S. Stefano e di S. Giovanni Battista, che lo videro impegnato dal 1452 al 1464, periodo durante il quale si colloca, presumibilmente tra il 1456 e il ’57 il rapimento di Lucrezia Buti e la nascita del loro figlio Filippino

7) Filippo Lippi, Autoritratto, Prato, Duomo, Disputa nella Sinagoga, part.

Si tratta ovviamente di un’opera di grandissime dimensioni e affollata di personaggi, molti dei quali sono ritratti che la storiografia, fin dai tempi del Vasari, si è adoperata a cercare di decifrare, secondo me con scarso successo. E naturalmente, in questo contesto, anche i presunti autoritratti di Filippo si sono sprecati, mentre solo due immagini, a mio parere, raffigurano con certezza il nostro “frate amatore” e sono entrambe pertinenti alle Storie di S. Stefano: il primo è quello che compare nella Disputa nella Sinagoga, nella figura posta proprio di fronte a Santo Stefano e cioè l’uomo massiccio e dalle inconfondibili orecchie a sventola che guarda fisso e come assorto in propri pensieri direttamente verso gli spettatori [fig.7].

8) Filippo Lippi, Autoritratto, Prato, Duomo, Esequie di S. Stefano, part.

Egli indossa un tipico berretto da pittore mentre non riusciamo a distinguere bene il suo abito; naturalmente appare invecchiato e appesantito, ma nemmeno di tanto, rispetto agli autoritratti precedenti, ma ancora pieno di vigore e determinazione e senza che i suoi lineamenti siano significativamente mutati. Nel secondo autoritratto, già rilevato tra gli altri dal Marchini, Filippo si raffigura in abiti di frate nella scena de Le esequie di S. Stefano [fig.8] all’estrema destra del gruppo di astanti e subito dietro papa Pio II, forse alludendo all’intervento che quest’ultimo aveva adottato o si apprestava ad adottare in suo favore in relazione alla vicenda amorosa con Lucrezia Buti. Questo volto e quello precedente sono praticamente sovrapponibili, tanto da non lasciare dubbi che si tratti della stessa persona.

Tornando a Marchini, la figura accanto al nostro nella scena appena descritta non può certo essere, come vorrebbe lo studioso, fra’ Diamante, all’epoca appena trentenne. Ma il fedele allievo e assistente (pare anche nelle bisbocce) del Lippi, si è comunque autoritratto per ben due volte negli affreschi e sempre nelle scene in cui compariva anche il suo maestro e con delle modalità che in qualche misura lo ricordano. Infatti, ne La disputa nella sinagoga è il giovane all’estrema destra, con berretto e saio [fig.9],

9) Filippo Lippi, Prato, Duomo, Disputa nella Sinagoga.

il braccio appoggiato ad un muretto e che sostiene a sua volta il mento e la guancia sinistra, in una posa che si richiama esplicitamente i primi autoritratti di Filippo; mentre nelle Esequie di S. Stefano egli è il giovane in piedi sull’estrema sinistra, sempre con berretto e saio, nel tipico atteggiamento di chi guarda con la coda dell’occhio nello specchio per potersi ritrarre (fig.10).

10) Filippo Lippi, Autoritratto, Prato, Duomo, Esequie si S. Stefano.

Ma non avendo noi immagini sicure di fra’ Diamante, come sono giunto a supporre  tanta sicurezza la sua identificazione? In questo caso partendo dalla fine e cioè dagli affreschi dell’abside del Duomo di Orvieto e segnatamente dalla scena de La Dormitio Virginis. Qui, ai piedi del letto della Vergine, il Lippi ha ritratto sé stesso, suo figlio Filippino e, subito alla sua destra un giovane uomo le cui fattezze sono appunto simili a quelle dei due supposti autoritratti di fra’ Diamante di cui ho appena fatto cenno [fig.11].

11) Filippo Lippi, Dormitio Virginis, Spoleto, Storie della Vergine, Duomo

Ora, dal momento che quest’ultimo è stato non solo il principale collaboratore di Filippo ma anche il primo maestro di Filippino, ritengo che la posizione che egli occupa nella Dormitio sia una sorta di investitura ufficiale del suo ruolo all’interno dell’ampia bottega lippesca.

Gli affreschi spoletini, come accennavo, sono stati l’ultima impresa del Lippi, iniziati nel 1466 e lasciati incompiut

Se questo fosse vero, sarebbe ancora più profetica e stupefacente la modalità in cui il nostro artista si è ritratto, in una posa ancora più beffarda e insolente delle altre: infatti egli fa qui l’inconfondibile gesto delle corna, a quanto mi risulta un assoluto unicum iconografico, forse ennesimo sberleffo ai suoi nemici ed ai suoi denigratori, proprio mentre mostra con orgoglio all’universo mondo l’amato figlio Filippino ormai dodicenne e presunto frutto di una colpa che evidentemente il Lippi non considerava tale.

Sergio ROSSI   Roma  22 marzo 2020

Nota bibliografica:

Anna Cavallaro, Antoniazzo Romano ritrattista della Roma curiale, in Le due Rome del Quattrocento, a cura di S. Rossi e S. Valeri, Roma 1997, pp. 40-47.
Giuseppe Marchini, Filippo Lippi, Milano 1975.
Sergio Rossi, I pittori fiorentini e le loro botteghe. Da Lorenzo Monaco a Paolo Uccello, Todi, 2012, pp. 159-173.
Sergio Rossi, Oltre il Giubileo. Pittura e misericordia a Roma 1300-1675, Roma 2017, pp. 66-67.