di Carla GUIDI
Gli artisti Mauro Molinari e Valter Sambucini a confronto sul simbolismo erratico dell’Arte

“People on the move” è il titolo della bella mostra di due validi artisti del panorama contemporaneo Mauro Molinari e Valter Sambucini, dal 2 al 23 agosto 2025, nelle sale espositive del settecentesco palazzetto di Galleria Viva, nel cuore di Soriano nel Cimino, con il Patrocinio del Comune e dell’Associazione Premio Centro.
Inserita perfettamente nell’ambito delle manifestazioni dell’Estate Sorianese 2025, l’inaugurazione avverrà il 2 agosto alle ore 18.00, nell’ambito della quale verrà presentato anche il catalogo dei due artisti. Un finissage ricco di presentazioni letterarie concluderà l’esposizione il 23 agosto alle ore 18.00. https://www.instagram.com/p/DMf3u0SMcVd/?igsh=cjZoYnJuMGM3NXQz
Come scrive sul catalogo della mostra l’artista, organizzatore culturale e Presidente dell’Associazione Premio Centro, Paolo Berti –
La Rassegna pone l’arte contemporanea, così apprezzata nel territorio cimino, sulla strada dell’attestazione di un “genius loci” identitario, affascinante e misterioso, in un territorio che conserva tracce di civiltà antichissime ancora non del tutto rivelato o scoperto da parte degli storici e degli storici dell’arte, ma che viene arricchito sempre più da parte della mente creativa degli artisti che, numerosi, accettano l’invito della Galleria per una proficua cooperazione e scambio culturale di reciproco arricchimento. E’ questa la chiosa giusta per definire il mese di agosto sorianese “centro di cultura e bellezza”, coronando un lavoro che dura già da 15 anni https://www.premiocentro.org/chi-siamo/la-storia-dellesposizione-nazionale/. Il mio è anche un grazie infinito alle Istituzioni, alle Associazioni ed a quanti hanno collaborato affinché questo momento di riflessione profonda sul valore dell’arte e della sua facoltà simbolica si realizzasse, più che necessario in un mondo come quello odierno dominato dalle illusioni della velocità e del controllo della mente.

Soriano nel Cimino è famoso per il suo possente Castello Medievale che domina un immenso territorio, per il suo borgo arroccato, l’interessante ed enigmatica fonte Papacqua ed il Palazzo Chigi Albani. Il Castello Orsini è l’edificio più rappresentativo del paese e fu voluto da Papa Nicolò III Orsini tra il XII e il XIII secolo, poi nel Novecento fu adibito a carcere fino agli anni 90. La Torre di Chia è uno dei luoghi più amati da Pier Paolo Pasolini, ultima sua dimora. Visitarla significa passeggiare sulle tracce di uno dei più importanti registi e scrittori del Novecento Italiano in un luogo ricco di testimonianze storiche, immerso in una natura rigogliosa, tra forre e boscaglie. La faggeta del Monte Cimino (1053 m.s.l.m.) è Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 2017 che con i suoi 57 ettari di estensione è la più grande del centro Italia.

Venendo al titolo della mostra il concetto “tutto si muove” nella filosofia greca è strettamente legato alla celebre espressione “panta rhei” (πάντα ῥεῖ), attribuita al filosofo Eraclito. “Tutto scorre” lo sappiamo, esprime l’idea che il cambiamento e il movimento siano caratteristiche fondamentali della realtà, ben al di là delle paure e del concetto di “società liquida”, reso popolare dal sociologo Zygmunt Bauman, che descrive la condizione della società contemporanea, caratterizzata da instabilità, precarietà e fluidità nelle relazioni e nelle istituzioni, fin troppo flessibili e soggetti a continui cambiamenti.
Anche l’Arte, sempre meno inquadrabile in categorie definite, spesso sfugge alla comprensione, ma è ancora più necessaria a svolgere il suo ruolo di simbolizzare l’indicibile in un mondo dove le informazioni, in particolare le immagini, sono sempre più pervasive e soggette all’accelerazione temporale di un bombardamento estraniante ed estenuante, soprattutto attraverso i media digitali.

Nelle forme elaborate dagli artisti andiamo in genere oltre questa funzione ipnotica per recuperare un linguaggio che interpreti una “realtà liquida” anche, come in questo caso, attraverso la focalizzazione simbolica sugli indizi del movimento accelerato e frenetico degli esseri umani, in un mondo in cui le certezze sembrano diventate aleatorie. Secondo Nelson Goodman, noi costituiamo i nostri mondi costruendoli. La creatività estetica, il linguaggio personale di ogni artista è considerato il modo per eccellenza, di realizzare questi pensieri-costruzioni-azioni-interazioni.
Nel catalogo, a mia cura, ho ritenuto significativo citare Federico Faggin, che non ha certo bisogno di presentazione:
La mia curiosità per la coscienza è iniziata alla fine degli anni Ottanta, quando mi sono chiesto se fosse possibile realizzare un computer cosciente. All’inizio degli anni Sessanta, i ricercatori di intelligenza artificiale (IA) ipotizzarono che presto i computer avrebbero superato l’intelligenza umana. Nonostante siano molto più potenti, i computer di oggi non hanno nessuna consapevolezza, esattamente come i computer degli anni ’60.
Se per i computer l’aumento della velocità è una virtù, per gli esseri umani è l’opposto: solo lentamente l’essere umano può maturare e crescere in modo armonioso, fino a riuscire a leggere l’invisibile nel visibile.

Gli artisti Mauro Molinari e Valter Sambucini in questo sono esemplari, entrambi affrontano e raccontano interpretandolo, un mondo che cambia velocemente, nel quale le prospettive esistenziali delle singole persone (ormai sempre più monadiche, ansiose e di fatto sofferenti di solitudine) collidono o naufragano in brusche variabilità dell’ambiente, delle filosofie esistenziali, delle agenzie educative, delle etnie e dei generi, delle culture, soprattutto in quanto le scoperte scientifiche vengono usate più per il controllo politico che per il benessere psico-fisico di tutti. Non posso non citare l’ultima opera di Zygmunt Bauman “Nati Liquidi” (Sperling & Kupfer 2017) strutturata in un dialogo con un giovane, giornalista Thomas Leoncini, dove affronta per la prima volta il mondo delle generazioni nate dopo i primi anni ’80, poiché il vero problema affrontato dall’autore riguarda proprio il ritorno della violenza, della coercizione e dell’oppressione nella risoluzione dei conflitti, a scapito del dialogo e del dibattito finalizzati alla reciproca comprensione, alla rinegoziazione dei rapporti.
In un mondo “globalizzato” abbiamo visto e vediamo continui spostamenti di gruppi umani che cercano occasioni di maggiore vivibilità; scappando dai conflitti, (alcuni dei quali di grande intensità, tanto che si parla di “terza guerra mondiale a pezzi”) oppure a caccia di opportunità, non solo lodevoli purtroppo, non praticando alcuna considerazione o rispetto della realtà socio-economica con la quale vengono in contatto. Ma qualcosa sta cambiando, sarebbe importante leggere il libro (Fazi editore 2024) della giornalista americana Rana Foroohar: “La globalizzazione è finita: La via locale alla prosperità in un mondo post-globale”, anche se ancora oggi il termine Post-Human allude a quella variegata costellazione di proposte critiche e riflessioni metodologiche, maturate nell’ultimo decennio del Novecento.

Per quanto riguarda le pratiche artistiche nelle riflessioni del Post-human, punto centrale è la crisi nella definizione del corpo, non solo intesa come esteriorità fenomenica, ma in quanto r/esistenza bio-organica alle modificazioni psicofisiche che la realtà attuale impone o scatena, con tutte le ansie ed incertezze definitorie che hanno accompagnato la descrizione del cosiddetto Post-moderno; mentre il comune prefisso “post” va ad indicare la frattura gnoseologica insanabile con le precedenti posizioni culturali. Quindi se uno dei ruoli primari del “lavoro” degli artisti è di contribuire a rappresentare e a definire l’immaginario epocale per creare una nuova weltanschauung attraverso i filtri simbolici di un linguaggio visuale, ha ragione il grande psicologo svizzero Carl Gustav Jung quando invoca una profonda trasformazione degli individui in senso spirituale, per portarli ad una soluzione delle personali sofferenze psicologiche. Una strada fondamentale rimane quella del tentare di unirsi alla parte di Sé che ha radici collettive di appartenenza (ben oltre etnie e religioni) mentre al contempo prendere le distanze dall’Ego ristretto e confinato del qui ed ora. Entrambi gli artisti, rappresentati in questa mostra, hanno questo obiettivo e riescono a scatenare empatia utilizzando stili e strumenti diversi, ma strutturalmente non si limitano entrambi solo ad indicare problemi, propongono strutture simboliche armoniche che conservano e approfondiscono la complessità.

Mauro Molinari non lo manda a dire; le sue figure esplicitamente soffrono, esprimono angoscia mista ad ironia, sono ghignanti o sorridenti, sorprese nell’atto di compiere qualcosa che ancora forse non è definito, ma che allude ad una invivibilità addomesticata che sprigiona bellezza, come il desiderio esplicito di un mondo che rispetti la nostra umanità. E’ un teatro costruito con cura dove si rappresenta la nostra vita. Le carni dei personaggi riflettono i colori dell’ambiente, sono come tatuaggi momentanei di pura luce, anch’essi in movimento, che esplicitano pensieri, turbamenti, considerazioni ma anche una forte volontà, una vitalità inestinguibile. I colori sono squillanti e le scenografie sono come sogni, dove della natura si privilegia lo splendore di campiture nelle quali galleggiano fili colorati, ragnatele o residui di stoffe, denuncianti l’opera totalizzante e pervasiva del nostro Antropocene.

Come ho già scritto su di lui, potrebbero essere anche cicatrici colorate di una scenografia che si sta sfilacciando, denunciando il suo passato da fiber artist. La fiber art aveva guadagnato importanza soprattutto dagli anni ’60 in poi e Mauro ha dedicato più di 15 anni alla rielaborazione pittorica di motivi tessili, con uno studio accurato e citazioni di motivi classici di stoffe antiche e moderne, trasformandoli in scrittura. Ma andando più indietro, se il passato segna in qualche modo il destino, dell’artista avendo vissuto nella sua infanzia un contatto significativo con le stoffe ed anche i vestiti nel negozio dei genitori, questo mondo di segni e simboli, di superfici ricamate e preziose, alla fine ha prodotto una “corruttibile” ed emotivamente energica presenza umana, emersa col ricordo emotivo di simulacri … vestiti abitati da corpi immaginari, scarpe decorate e manichini, già cyborg rappresentativi della “realtà corporea”. Allora eccoli questi personaggi fantastici …
Partendo dagli esempi dalle opere in mostra vediamo “la duplicazione”, ovvero la clonazione di Doppio (2019) e di Chiaroscuro (2018), poi Investigatore (2018) un autoritratto indagatore, in molteplici versioni corporee, che galleggiano nello spazio teatrale e mentale del dubbio. Infine possiamo vedere Al lavoro del 2023 dove i corpi vengono spezzati in senso orizzontale; le gambe sopra che scorrono e sgambettano, ormai autonome dalla testa e dal tronco, impegnati più sotto in un tempo logico e cronologico diverso. Passando poi alle 3 opere, cronologicamente precedenti a questa, abbiamo Barocco Metropolitano del 2020, non casualmente l’annus horribilis e della crisi globale. Nella sua biografia qui viene riportato un breve scritto della cara moglie e sua indimenticabile musa Emanuela Carone, che ci parla della scelta di questo titolo. L’artista in realtà, ha realizzato un discreto numero di opere su questo tema, anche anni prima del lockdown, che descrivono la frenetica ed esplosiva resilienza delle metropoli, poiché si è accorto che il “concetto” di Barocco è diventato tipico della nostra epoca, nella rilettura di un universo mobile e decentrato, instabile e frammentato, eccentrico e virtuosistico, rinominato Neobarocco nella felice definizione di Gillo Dorfles.

Valter Sambucini ha una storia diversa, già laureato in ingegneria elettronica, fino dagli anni ‘90 dipinge con la fotografia digitale, ma non per questo rinuncia al realismo dei suoi scatti, conseguiti in questo caso, attraversando concreti luoghi fisici, ovvero anche “non-luoghi” (nell’accezione del termine ideata dall’etnologo francese Marc Augè) sui quali interviene creativamente, evitando l’insidia nel metafisico confine tra reale e virtuale. In tal senso si attiene al termine Surmodernità, sempre citando Marc Augè, andando a descrivere un’umanità immersa nelle problematiche della “tripla accelerazione o eccesso”. L’eccesso e l’accelerazione del tempo, l’eccesso e la lievitazione dello spazio, infine l’eccesso di ego, un’ipertrofia dell’Io attraverso il quale l’individuo tende a proteggersi con modalità autoreferenziali. Le opere presentate ora da Valter Sambucini evidenziano questo procedere. Questo a differenza delle opere del passato nelle quali si è concentrato prevalentemente sui riflessi e la magia dell’acqua; come in “Specchio di Venere”, oppure in “Orizzonti speculari”, sulla definizione estetica della scomparsa degli orizzonti e le architetture specchianti; per non parlare di “Anima/L & Core” o di “Ombre e fumetti”, nelle quali la figura umana veniva catturata nelle sue predilezioni emotive o nelle sue metamorfosi più gloriose nei travestimenti di Comics & Games a Lucca e di Halloween Celebration a Borgo a Mozzano.

Oggi invece queste opere hanno un titolo significativo: People on the move – Non luoghi – Andare o tornare – Il ritorno – Virtuale o corporeo – per concludersi denunciando una specularità di confine tra umano e virtuale. Per esempio in – La porta magica o Mondi di confine. La frenesia delle masse e la solitudine dei singoli individui è evidenziata da uno spesso contorno luminoso (come una guaina isolante di energia personale) che fa vibrare i corpi monadici ed in qualche modo sancisce quella distanza sopportabile che protegge dall’orrore del contatto dell’Altro. A volte questi gruppi si velocizzano e si fondono con le architetture, trascinandole nell’ansia di una liberazione impossibile, oppure momentaneamente acquietate nel percorso rassicurante degli argini mobili delle scale, tollerano che i loro colori e le loro energie si fondano momentaneamente.

Vorrei citare alcune note sull’artista dello Storico dell’arte Giorgio Di Genova dal mio testo “Citta’ reali, citta’ immaginarie – Migrazioni e metamorfosi creative nelle società nell’Antropocene, tra informatizzazione ed iper/urbanizzazione” (Robin 2019) efficacemente arricchito con le sue foto:
A ben guardare i vari temi, ci si avvede che, in realtà, procedono sul fil rouge di una coerenza interpretativa che coniuga l’osservazione delle situazioni reali e la creatività personale di un artista della fotografia, qual è Valter Sambucini. (…) Confesso che guardando queste foto così raggruppate mi son tornati alla mente racconti di Cechov, novelle di Pirandello, per tralasciare Boccaccio ed il Novellino. Proprio per tali ragioni non ritengo azzardato affermare che Sambucini con questi scatti ha realizzato un suo “Lo cunto de li cunti”.
Carla GUIDI Roma 27 Luglio 2025
