di Nica FIORI
Una dea nuda, che scopriamo essere Cerere, una fanciulla vestita (Kore), il celebre rilievo della Gradiva e una donna sul Carro del Tempo sono alcune delle figure femminili, di chiara derivazione classica, che lo scultore Alessio Deli (nato a Marino nel 1981) propone in chiave contemporanea, insieme a busti femminili che richiamano il Rinascimento, nella mostra “Patina memoriae”, ospitata in uno dei luoghi più affascinanti della Roma sotterranea: le cosiddette “Case romane del Celio”.

Fortemente voluto e promosso da CoopCulture, il progetto di questa mostra, in programma dal 19 aprile al 27 luglio 2025, vuole stimolare una riflessione sulla fragilità delle opere umane e sulla dimensione del tempo, sul presente che tenta di riconnettersi con il passato, attraverso tredici sculture, inserite in un suggestivo percorso espositivo che si snoda tra la Sala dei Geni e l’Antiquarium del complesso archeologico del Celio, il cui ingresso è adiacente alla basilica dei Santi Giovanni e Paolo.
Come sottolinea la curatrice Romina Guidelli:
“Alessio Deli, scultore senza tempo, interpreta l’arte classica attraverso una scultura incisa dal gesto, fermo e potente, dell’uomo contemporaneo. … Deli interpreta e sconvolge la disciplina della scultura attraverso interventi di manipolazione della materia: lacerazioni e sfaldamenti, sapientemente controllati su medium difficili da affrontare, come innegabilmente sono il bronzo, il gesso e le delicatissime resina e creta … Il talento di Deli è nella sua capacità di misurare quanto e come la patina di un’antica memoria debba lasciare spazio alla memoria nuova per far sì che il Mito, il Rito e la Storia convivano, mentre si vestono di modernità”.

Gli antichi vedevano il Tempo (Crono per i Greci e Saturno per i Romani) come un vecchio alato e armato di falce, che porta via tutto e allo stesso tempo svela la Verità, che emblematicamente viene raffigurata nuda. Il tempo distruttore si porta via la vita, ma persiste la memoria di chi è vissuto e questo avviene attraverso la storia, la poesia e l’arte che, anche se corrosa e lacerata, suscita in noi emozioni e sentimenti.


Quello che emerge dall’osservazione delle opere in mostra è il desiderio di riciclare a vita nuova i sentimenti del tempo passato, e quell’aspirazione alla bellezza, che è un segno della nostra imperfezione, della nostra limitatezza terrena. È solo guardando al passato che possiamo ritrovare le nostre radici, e quindi la nostra identità che progressivamente si va smarrendo, a causa dell’oblio e dell’incuria tipica dei tempi attuali. Parliamo di nostalgia di un mondo perduto? Forse, ma la nostalgia non è un sentimento vano e antiquato; al contrario, suscita un desiderio di ricerca, di conoscenza, di progettazione del futuro.
La prima scultura che accoglie i visitatori, intitolata Cerere (dea delle messi corrispondente alla greca Demetra), potrebbe essere scambiata per quella di una Venere/Afrodite, la dea della bellezza e dell’amore sensuale che gli antichi raffiguravano per lo più nuda, ma in questo caso la nudità potrebbe raffigurare la disperazione di Cerere, insieme al gesto delle mani che avvicina al volto, perché si sente privata di tutto, per la perdita dell’amata figlia Proserpina (per i Greci Persefone, o anche Kore), rapita dal dio degli Inferi Plutone/Ade.
Proseguendo incontriamo una statua intitolata proprio Kore (fanciulla), un termine che richiama quello di numerose statue femminili di epoca arcaica ritrovate sull’acropoli di Atene, ovvero figure stanti rappresentate per lo più nell’atto di porgere un’offerta, spesso un frutto, per il suo significato di abbondanza e prosperità. Deli si appropria di questo messaggio, che si ritrova anche nelle statue votive del mondo etrusco-romano, per reinterpretarlo senza timori a modo suo, e in questo caso, come anche nella fanciulla che guida il carro del Tempo, l’abitino che arriva alle ginocchia è certamente più contemporaneo rispetto a quelli della classicità. Emblematica è la base, ovvero una cassetta con la scritta “Fragile” (non a caso la scultura appare in parte rovinata).


Nelle figure femminili, vere protagoniste della sua mostra, si potrebbe vedere, come scrive la curatrice, “una preghiera di continuazione, attenzione, cura. Una materna raccomandazione”, evidentemente per preservare il loro ricordo. Non solo, ma potremmo aggiungere che è la donna che governa gli avvenimenti e la sua figura è fondamentale all’interno della dimensione quotidiana e rituale della società antica, che venerava diverse divinità femminili. Tra l’altro è presente anche una testa della dea della bellezza (Big Aphrodite), che appare come se fosse deturpata dalla violenza dell’uomo, più che dal tempo.
Particolarmente interessante per l’approccio critico a un’opera del passato è l’attenzione riservata alla cosiddetta Gradiva, un bassorilievo marmoreo di epoca romana che ha ispirato nel 1903 l’omonimo romanzo di Wilhelm Jensen e nel 1906 un altrettanto celebre saggio di Sigmund Freud (v. articolo https://www.aboutartonline.com/gradiva-la-grazia-virginale-di-in-un-bassorilievo-depoca-romana-tra-letteratura-e-psicanalisi/).
Come ha dichiarato Alessio Deli, la sua creazione del 2025 rappresenta
“Gradiva (Colei che risplende camminando) in 4 elementi, positivo e negativo e negativo e positivo, come se fosse un calco, quindi una parte che diventa il guscio dell’altra. È una trasposizione simbolica concettuale del fatto che nel romanzo di Jensen l’opera d’arte diventa essere umano, quindi in questo caso è l’opera d’arte che diventa essere umano e viceversa, e poi da lì nasce il discorso di Freud che interpreta il sogno e il confine tra sogno e realtà. Il protagonista del romanzo immagina la Gradiva come un personaggio vissuto nell’antica Pompei e anche io nelle mie Gradive ripropongo l’acconciatura romana (come nel bassorilievo antico) che andava in voga in quegli anni”.

Ciò che colpisce di questo artista, anche nelle opere che appaiono più frammentarie, è la capacità di cogliere la raffinatezza e l’equilibrio di alcune opere del passato, grazie anche ai suoi studi di storia dell’arte, come fa quando omaggia grandi scultori quattro-cinquecenteschi, quali i Della Robbia e Francesco Laurana, sempre con figure femminili che riattivano i ricordi dell’estetica rinascimentale.


È significativo a questo proposito notare che Deli, dopo aver conseguito il diploma all’Accademia di Belle Arti di Carrara, si è abilitato all’insegnamento delle Discipline Plastiche presso l’Accademia di Belle Arti a Roma. Nel 2022 ha conseguito il dottorato di ricerca in storia dell’arte contemporanea e critica d’arte presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e, sempre nello stesso anno, ha vinto il premio di operosità artistica del Fondo Nazionale PSMSAD. Le sue opere sono esposte in diversi Paesi (tra i quali Francia, Inghilterra, Germania, USA, Canada, Cina) e numerosi sono i critici, artisti e intellettuali che si sono accostati al suo lavoro (tra gli altri Vittorio Sgarbi, Umberto Mastroianni, Michelangelo Pistoletto, Claudio Strinati, Ferzan Ozpetek, Roberto Bilotti).
Per quanto riguarda in particolare Patina memoriae, bisogna riconoscere che la sua collocazione all’interno delle Case Romane del Celio è perfettamente riuscita, e permette di addentrarsi in un sito di emozionante bellezza, già a partire dallo scenografico ingresso sul Clivo di Scauro, quell’inconfondibile strada in salita di epoca romana, sormontata dai contrafforti di sostegno della basilica dei Santi Giovanni e Paolo, aggiunti in età medievale.
La chiesa, risalente al V secolo, ha utilizzato come parete laterale quella di un’insula che si affacciava sul clivo con un’altezza di venti metri. Questa doveva avere un portico sulla via, con botteghe retrostanti e abitazioni ai piani superiori. Oltre a quest’insula, il complesso delle case del Celio era costituito da una prima domus signorile a due piani del II secolo, con annesse delle terme, e da altri due edifici. Verso la metà del III secolo, tutte queste costruzioni furono acquistate da un unico proprietario che trasformò le botteghe in sale di rappresentanza, interrò le terme e costruì un ninfeo nel cortile. Il grande affresco del ninfeo, ritrovato casualmente nel 1909 sotto uno strato di decorazione gialla e rosa, mostra una splendida scena marina il cui soggetto non è affatto chiaro. Ai lati si vedono degli amorini che pescano su due barchette, mentre al centro vi sono tre personaggi: una dea seminuda tra una donna vestita e un giovane che versa una bevanda in un calice. Secondo un’ipotesi si tratta di Proserpina, che allude al ritorno della primavera, con la madre Cerere e il fratello Bacco. Ma la misteriosa bellezza centrale potrebbe anche essere Venere, o un’altra divinità cui la padrona di casa (forse la donna vestita) era particolarmente legata e l’insieme potrebbe alludere a una scena d’iniziazione.
Alessio Deli per la sua Cerere, che sembra una Venere, potrebbe essersi ispirato proprio all’affresco del ninfeo. Del resto il sincretismo religioso era tipico del periodo tardo antico e ciò è particolarmente evidente osservando alcuni dipinti del complesso archeologico, che sembrano alludere a diverse religioni misteriche (in particolare le Menadi del culto dionisiaco e il bue Api, collegato al culto di Iside e Serapide). Insieme a motivi pagani, si nota anche una figura di Orante, che sembrerebbe cristiana. Secondo gli studiosi questo non vuol dire che il proprietario dovesse necessariamente essere un cristiano o un pagano, ma più semplicemente poteva aver affidato la decorazione a una bottega con un repertorio fisso di soggetti alla moda.

Affreschi pure legati al gusto del momento sono quelli della “sala dei Geni” (III secolo), così chiamata dai giovani nudi con ali e mantello che vi sono raffigurati. Essi sorreggono dei festoni di frutti, e negli spazi vuoti vi è un campionario ricchissimo di uccelli. Al di sopra alcuni amorini sono intenti a vendemmiare. L’insieme fa pensare a una raffigurazione delle stagioni, in particolare all’estate e all’autunno.

Secondo una tradizione i santi Giovanni e Paolo, che erano stati ufficiali di Costantino, sarebbero stati uccisi in questa casa nel 362 da un sicario di Giuliano l’Apostata. Le reliquie dei santi titolari e di altri martiri (forse i santi Crispo, Crispiniano e Benedetta) furono traslate in un piccolo ambiente, definito “Confessio”, che doveva essere una sorta di cappellina privata dell’ultimo proprietario, il senatore Bizante, padre di Pammachio cui si deve l’edificazione della chiesa. Fa parte del complesso anche un oratorio medievale, con affreschi del IX secolo, e un Antiquarium che espone materiali ritrovati in loco.
“Patina Memoriae”
Case Romane del Celio, Clivo di Scauro, Roma
dal 19 aprile al 27 luglio 2025
Presentazione catalogo: venerdì 20 giugno 2025, ore 18:00
Biglietti: Intero € 10.00 | Ridotto € 8.00
Orari: dal lunedì alla domenica dalle ore 10:00 alle ore 16:00. La biglietteria chiude un’ora prima.
Informazioni e prenotazioni: 06.39967755 | www.caseromanedelcelio.it