Paolo e Giovanna Portoghesi: la Poesia dell’Abitare. Un libro che è messaggio profetico di Architettura e Natura, di Bellezza e Sapienza …

di Marcello FAGIOLO

Paolo e Giovanna Portoghesi: la Poesia dell’Abitare

Paolo Portoghesi, una vita consacrata, come sappiamo, a Grandi Opere: sia in architettura come archistar riconosciuto in tutto il mondo, sia come impareggiabile storico dell’architettura. In questo millennio, Portoghesi arriva a comporre infine un interminabile De senectute, auto-condannandosi a produrre soltanto Immense Opere di Carta, proseguendo il filone inaugurato da un libro meravigliosamente innovativo, Architettura e natura (Skira, 1999). Da allora, in questo ventennio, si sono succeduti Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità (Skira, 2005), la possente ultima monografia su Borromini (Skira, 2019) e Poesia della Curva (Gangemi, 2021) che illustra suggestivamente la poetica della curvilineità, che “nasce dall’amore per le forme della creazione”. E arriviamo a quest’ultima opera, scritta ‘pro domo sua’: Abitare poeticamente la terra. La casa, lo studio e il giardino di Calcata (Gangemi editore, 2021).

Si tratta di un messaggio profetico di Architettura e Natura, di Bellezza e Sapienza, di Storia e Antropologia, di Poesia e Filosofia, di Critica e di Psicologia del Profondo.

E anche un libro di Amore, che evoca la dolcezza mistica e sensuale del Cantico dei Cantici nel fitto dialogo dello ‘Sposo’ Paolo con la ‘Sposa’ Giovanna, musa della sua vita e della sua architettura di poesia. Basti appena ricordare la “Biblioteca dell’Angelo”, con gli scaffali divisi da sagome di cariatidi che hanno il volto di Giovanna, o la duplice facciata antropomorfica nel giardino che rievoca le truci invenzioni di Bomarzo ma con gli ovali paradisiaci che si trasmutano negli “occhi di Giovanna, quegli occhi grigio-azzurri inconfondibili in cui l’iride si isola sul bianco della cornea nella teca preziosa delle ciglia e che, da quando la conobbi a Milano, sono stati per me la metafora dell’aurora…”.

Paolo e Giovanna (in un ritratto di Bruno d’Arcevia) e la facciata nel giardino con “gli occhi azzurri che si ispirano a quelli di Giovanna” (la tavola imbandita, al cui centro scorre l’acqua, si ispira a una villa di Plinio il Giovane).

Che cos’è una Casa? “E’ la vita stessa la ‘calda vita’ che si deposita e cristallizza intorno a noi, diventa forma, sostegno, conchiglia umana … Se la casa può sostituire metaforicamente il liquido amniotico che ci circondava nell’utero materno… deve esprimere la capacità di attorniarci senza durezze, come un’onda accogliente…”. La conchiglia è uno scheletro, connaturato a quello dell’uomo, ma poi subentra quella che definirei la sindrome del paguro, il crostaceo molle che si impadronisce di conchiglie esterne da abitare: l’Homo Sapiens, per di più rivela la capacità di costruire la propria conchiglia per poi abbandonarla o sostituirla.

Sulle orme della poesia di Rilke, Portoghesi vede la Casa come “spazio interiore del mondo (Weltinnenraum) che accoglie insieme in sé il mondo e l’interiorità umana. E dunque la Casa contiene in sé “il sentimento del cosmo e una misteriosa percezione del tutto… Come contenitore del sogno, anzi dei sogni degli abitanti, la Casa diviene spazio reale su cui si innestano spazi immaginari”. Su queste premesse si innestano le considerazioni sulla sacralità della soglia, sulla presenza del fuoco e del focolare e sull’antropomorfismo della casa.

Questo capitolo, intitolato “CASA LA VITA”, ci riconduce all’archetipo della casa del poeta, dato che il titolo del volume è tratto dalle parole di Hölderlin:

“poeticamente abita / l’uomo su questa terra. Ma l’ombra / della notte con le stelle non è, / se così posso osare di dire, più pura / dell’uomo che si chiama immagine della divinità”.

Ma il tema della Casa-Vita e della collezione del mondo, distillata nelle Stanze di Calcata, riecheggia La casa della vita, la guida-romanzo alla casa di Mario Praz, vero e proprio museo dell’anima in cui lo Stile si identifica con l’Uomo:

“Tutto l’ambiente – scrive Praz – finisce col diventare un calco dell’anima, l’involucro senza il quale l’anima si sentirebbe come una chiocciola priva della sua conchiglia”.

Tra decadentismo e antidecadentismo, la casa di Praz diviene autoritratto, come il Vittoriale di D’Annunzio, sul quale sicuramente Paolo e Giovanna hanno attentamente meditato, in questa Casa che sintetizza archetipi illustri della Residenza, della Biblioteca (una serie di Sette Biblioteche intitolate all’Uovo, alla Chiocciola, all’Angelo, ai Quadri, al Teatro etc.), dell’Accademia (dove Paolo ha tenuto anche lezioni ai suoi studenti di Valle Giulia, e dove si sono svolte danze e audizioni musicali) e del Museo (qui, fra l’altro, sono confluiti gli arredi e le opere della Galleria Apollodoro, gestita da Giovanna nei pressi di piazza di Spagna).

La Porta e la Cupola della Galleria Apollodoro trasferite da Roma nella casa di Calcata

La dimora di Calcata nasce dalla progressiva acquisizione di una serie di fienili presso il meraviglioso centro storico annidato sulla rupe tufacea circuita da forre evocatrici dell’arte etrusca dell’abitare. La definizione di “casa dei sette fienili” esprime icasticamente la metamorfosi dell’umile architettura utilitaristica che il sogno dell’architetto trasmuta in Meraviglia. Chiedo venia se mi viene da pensare al racconto biblico del sogno del Faraone decodificato da Giuseppe (Genesi 41-49). Il mistero delle sette vacche grasse divorate dalle sette vacche magre viene spiegato da Giuseppe come profezia dell’avvento di sette anni di abbondanza a cui sarebbero seguiti sette anni di carestia e come auspicio di un rimedio alla carestia attraverso l’immagazzinamento di grano da distribuire nei tempi di crisi. La casa dei sette fienili, insomma, mi sembra in sintonia con quei granai che avrebbero costituito la salvezza non solo degli egiziani ma anche dei popoli vicini. Non a caso nella iconografia medievale i granai diventano architetture cospicue, identificandosi a volte con le Piramidi, meraviglie d’Egitto (così sono raffigurati nei mosaici di San Marco a Venezia).

La “casa dei sette fienili”, costruita a picco sulla rupe di Calcata

 

In basso, a destra, i Granai-Piramidi costruiti da Giuseppe in Egitto (mosaico nella basilica di S. Marco a Venezia).

Portoghesi trasporta nella sua proprietà i giganti della Natura, gli Olivi colossali, e poi costruisce intorno a loro la natura artificiale del Giardino di Calcata.

Il libro racconta anzitutto l’avventuroso trasporto dalla Sabina a Calcata del pluricentenario Olivo Ulisse (altri Olivi hanno i nomi dei Maestri delle arti: Michelangelo, Borromini, Moore, Rodin, Brancusi) approdato in uno spiazzo presso la piscina e il Tempietto circolare (circondato da un canaletto, come il “Teatro marittimo” di Villa Adriana) che costituisce il centro simbolico del giardino e del cosmo, legato al rituale etrusco della inauguratio.

Sembra rinnovarsi così la storia fascinosa del Talamo di Itaca, il letto nuziale costruito da Ulisse segando il tronco di un grande ulivo e costruendo intorno la sua casa di pietra. Ulisse è il grande artigiano e architetto del legno, che aveva ideato il Cavallo di Troia e poi costruito la zattera di Ogigia segando 20 alberi con una “ascia lucente” di rame con manico di ulivo. Ma è soprattutto il Letto di Itaca a costituire, come è stato notato, un punto d’arrivo dell’umanità che dopo aver vissuto sugli alberi aveva costruito vitruvianamente la sua Capanna. E il Letto-Ulivo è legato per di più ad Atena, dea della Guerra e della Sapienza, e poi diviene il segno di un Amore sacrale ed eterno tra l’Eroe artefice e la Sposa tessitrice.

La “danza dei tre Olivi” e la croce coi giochi d’acqua dei “quattro Fiumi del paradiso” (realizzati dai mosaicisti della Moschea di Roma).

In modo significativo, Portoghesi rievoca l’albero delle grazie aureo (consonante col ramo d’oro di Frazer?) del giovane poeta visionario Georg Trakl, così commentato da Martin Heidegger:

“L’albero è radicato saldamente nella terra e giunge alla fioritura che si apre alla benedizione del cielo e partecipa a un tempo all’ebbrezza del fiorire e del nutrimento offerto dai succhi della terra…. La poesia nomina l’albero delle grazie. La purezza della fioritura cela il dono del frutto: il Sacro che salva, che è benigno ai mortali. Nel dorato fiorire dell’albero sono presenti con la loro potenza terra e cielo, i divini e i mortali”.

Il “Giardino Nuovo” di Calcata è concepito come una Sonata in tre tempi: in basso, la scatola sonora tra le pareti in cui si apre la Biblioteca dell’Angelo; al centro la scala teatro coi cedri; in alto il “Temenos o Radura del silenzio contornata da ventuno Olivi”. La salita intende suggerire “il percorso della conoscenza con le sue asperità e i momenti di grazia; la discesa, conclusa con la Biblioteca dell’Angelo, suggerisce invece il percorso della memoria che si realizza guardandosi indietro e trova nei libri una riserva inesauribile”.

Le scalinate del giardino viste dalla terrazza della Biblioteca dell’Angelo.

Il “Temenos” – col suo disegno di tre circoli intersecati, ciascuno con cerchi concentrici d’erba (a somiglianza delle onde generate dalla caduta di un sasso nell’acqua) – è percepibile chiaramente solo dall’alto:

“è una figura mentale che esplora i confini della metamorfosi tra visibile e invisibile. Gli olivi allineati lungo il confine annunciano colonne non ancora nate che sostengono la più innaturale delle volte, quella del cielo… Il Temenos è luogo della Teofania nel tempo della ‘notte del mondo’ descritta da Hölderlin. Il poeta può solo, come scrive Heidegger ‘cantando, ispirarsi alla traccia degli Dei fuggiti’”.

Il regale buen retiro dei coniugi architetti si è integrato nel tempo con la fattoria degli animali, l’Arca voluta dalla passione di Giovanna per ospitare gli animali salvati dal diluvio. L’allegorica società degli animali di Orwell rivive qui, in qualche modo, nella popolazione dei Maiali (dominatori con le figure del Vecchio Sindaco, di Napoleon e di Palladineve), dei Cavalli, degli Asini (l’asinello Balthazar, acquistato da Portoghesi mentre veniva portato al macello, condivide singolarmente la vicenda dell’asinello Beniamino, minacciato da Napoleon), e via via dei Cani, Pecore, Galline, Conigli… E poi la Fattoria si estende a molteplici altri animali della Terra, dell’Acqua e dell’Aria.

“Verso sera – scrive Paolo – si possono vedere gli uccelli vivere ‘in società’, incontrarsi, convergere, cercarsi tra loro e cantare ora l’uno ora l’altro producendo imprevedibili armonie e dissonanze, accompagnati dal fruscio delle foglie e dalla voce aspra del vento”.

E Giovanna si manifesta in questa sua vita nova come Grande Madre, insieme Cibele e Diana, signora delle selve e delle fonti, protettrice e perfino levatrice degli animali.

“Vivere con gli animali vuol dire capire le loro esigenze, esaudire i loro desideri: ed è quello che cerco di fare nel mio piccolo paradiso… Armonia forse è la parola giusta per descrivere questo luogo magico: l’armonia dei colori, delle forme, degli animali… Il Paradiso me lo immagino così”.

Per concludere, il parco di Calcata, come la villa tiburtina di Adriano, riesce ad assemblare idealmente sogni e giardini di ogni tempo: dagli Alberi dell’Eden ai Mostri di Bomarzo, dai Giardini pensili di Semiramide ai giardini arabi di Granada, dal Cortile del Belvedere in Vaticano a Villa d’Este a Tivoli e ai giardini non lontani di Caprarola e Bagnaia. E, per riprendere il titolo del romanzo di Marguerite Yourcenar, direi che questo libro ci presenta proprio le Memorie di Paolo e Giovanna, struggenti e infinite nel Tempo e nello Spazio.

L’ala orientale del giardino di Calcata. In basso, a sinistra, le scalinate dell’ingresso principale (di fronte alla Casa dei 7 Fienili), a cui seguono l’Olivo Ulisse, il Tempietto circolare e la piscina (con in asse la Danza dei Tre Olivi e i Fiumi del Paradiso). Al centro, la Biblioteca dell’Angelo e le scalinate verso i circoli intersecati del “Temenos”. In alto, la Galleria Apollodoro col nuovo ingresso al giardino e le gradinate del teatro all’aperto.
La Galleria Apollodoro (inaugurata recentemente con la mostra Mostra sull’architettura di Portoghesi).

Marcello FAGIOLO  Roma 6 Febbraio 2022