di Claudio LISTANTI
Dopo il grande successo di Alcina di Händel la stagione del Teatro dell’Opera di Roma ha registrato un altro rilevante successo, quello del balletto Onegin con la coreografia di John Cranko.
Nel mondo della Danza quando si parla di John Cranko ci si riferisce ad uno dei coreografi più importanti del novecento perché considerato da tutti vera e propria figura centrale per il balletto moderno. Di origini sudafricane e di famiglia israeliana, visse negli anni compresi tra il 1927 e il 1973, la cui esperienza coreutica è conseguente alle sue collaborazioni con grandi compagnie di danza europee come il Royal Ballett di Londra e lo Stuttgart Ballet di cui fu direttore, esperienza con la quale riuscì a collocare la compagnia tedesca in una dimensione di risonanza internazionale partendo da quella a carattere più provinciale alla quale apparteneva.

La sintesi del significato del suo insegnamento è quella di aver creato delle coreografie che sono riuscite a far convivere la tradizione del balletto romantico con l’innovazione come dimostra con chiarezza l’utilizzo di movimenti ben calibrati con la finalità di rendere intelligibile la drammaturgia degli spettacoli grazie ad una recitazione intensa ed efficace, rivolta a valorizzare il movimento che è vettore fondamentale, vista l’assenza della parola, per la comprensione dello sviluppo della trama e dei sentimenti di ogni singolo personaggio protagonista, elemento che si proietta poi anche in tutte le scene d’insieme che per uno spettacolo di balletto ne costituiscono il completamento.
Tutto ciò emerge con forza in Onegin, balletto creato da Cranko per Stoccarda nel 1965 che qui a Roma abbiamo avuto la possibilità di ammirare circa trenta anni fa quando, con un vistoso successo, conquistò il pubblico per la sua realizzazione, fino ad oggi unica occasione per i romani di assistere ad una rappresentazione di queste importante creatura di Cranko. Tutto ciò accresce la valenza di questa ripresa della coreografia che proprio in questi giorni festeggia i suoi sessanta anni di vita mostrando di essere sempre moderna e attuale.
Nell’assistere allo spettacolo si ha la sensazione di essere di fronte ad una solida narrazione di questo infelice e tragico amore tra Tatiana e Onegin personaggi dei quali il coreografo lascia trasparire con i movimenti e le gestualità il dramma interiore di ognuno di essi fino al drammatico epilogo. Ad essi si contrappongono non solo la personalità degli altri due personaggi di primo piano, Olga e Lenskij, ma anche, e solidamente, l’elemento di contorno costituito dall’ambiente borghese nel quale matura e si sviluppa il dramma.
Per ottenere tutto ciò Cranko utilizzò una partitura creata ad hoc proprio per questo spettacolo da Kurt-Heinz Stolze, musicista stretto collaboratore del coreografo, che ha attinto nella vasta produzione musicale di Pëtr Il’ič Čajkovskij ricavando ventotto numeri da pagine sinfoniche pianistiche e operistiche del compositore russo per ottenere una parte musicale del tutto ideale per la concezione dello spettacolo immaginata dal coreografo, soprattutto idonea ad evidenziarne le caratteristiche. Una parte musicale che riesce ad integrare il dramma danzato con efficacia e convinzione regalando allo spettatore una accattivante fruizione del dramma e dei sentimenti di ognuno. Questa soluzione, inoltre, non presenta riferimenti alla musica di Evgenij Onegin che Čajkovskij compose sulla base dell’omonimo romanzo in versi di Aleksandr Puskin opera da sempre considerata tra le più importanti per la storia di questa particolare forma di spettacolo, il cui contenuto ispirò la fantasia e l’arte di Cranko. Tale scelta, per alcuni discutibile, regala però al balletto Onegin una maggiore ‘autonomia’ di fondo per accrescerne senza dubbio l’unitarietà dì insieme.
Per queste recite romane la coreografia di John Cranko è stata riproposta sotto la supervisione coreografica Reid Anderson-Graefe, uno dei principali artisti che hanno contribuito alla conservazione e alla trasmissione dell’eredità artistica di Cranko e l’assistenza di Yseult Lendvai, qui a Roma ricordata per l’interpretazione di Tatiana nel già ricordato Onegin del 1996.
Per quanto riguarda la parte visiva il Teatro dell’Opera di Roma ha utilizzato oggi un allestimento del Nationale Opera di Amsterdam, tradizionale e colorato, prezioso per la sua semplicità ed efficacia, nato sull’esperienza della tradizione rappresentativa ‘ballettistica’ le cui scene e costumi sono stati realizzati da Elisabeth Dalton alle quali si aggiungono le efficaci luci di Steen Bjarke.

Nei due ruoli principali c’erano Nicoletta Manni Tatiana e Friedemann Vogel Onegin, una coppia di danzatori di grande spessore esecutivo che hanno intensamente interpretato i due personaggi in maniera del tutto esaustiva. Nicoletta Manni, che con l’occasione ha debuttato al Teatro dell’Opera di Roma, ci ha dato una Tatiana appassionata nella quale si riverberano i connotati adolescenziali della giovane del primo atto che matura man mano che si sviluppano eventi fino a giungere a spegnere le dichiarazioni amorose di Onegin che da spessore teatrale al tragico finale. Una prova molto apprezzata dal pubblico che ha salutato la sua prova, che la vedeva in questo balletto per la prima volta partner di Friedemann Vogel, con una decisa ovazione finale. Da parte sua Friedemann Vogel ha danzato con intensità e convinzione una parte costruita da Cranko in maniera completamente moderna, un ruolo basato sulla recitazione che rende molto più credibile la parte maschile che di solito, nel balletto romantico, risulta spesso più da ornamento che da vero e proprio perno per lo sviluppo teatrale del racconto. Con Cranko la parte abbandona una certa dose di ‘atletismo‘ che di solito caratterizza questo tipo di ruolo ma a tutto vantaggio della recitazione e della esplicitazione dell’interiorità del personaggio. Una prova convincente per Vogel, anche lui osannato dal pubblico al termine della recita.

Negli altri ruoli di primo piano Susanna Salvi una delle étoiles del corpo di ballo che ha delineato con molto efficacia il ruolo di Olga affiancata ad un’altra étoile eccellenza del Teatro dell’Opera, Alessio Rezza, un Lenskij del tutto convincente ai quali dobbiamo aggiungere e sottolineare la prova di Andrea D’Ottavio per la breve ma significativa parte di Gremin.
Il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera assieme ai suoi solisti ha fornito una prova apprezzabile nell’insieme grazie all’esperienza e alla dedizione di Eleonora Abbagnato il cui operato risulta chiaramente motore del miglioramento progressivo di tutta la compagnia di ballo del teatro romano.
Philip Ellis ha diretto l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma offrendo una interpretazione del tutto rispettosa delle peculiarità e delle prerogative della Danza e rendere così lo spettacolo del tutto omogeneo e godibile.
La recita alla quale abbiamo assistito (5 aprile) è stata seguita da un pubblico foltissimo che ha salutato, come anticipato, con entusiasmo sia gli interpreti principali sia il copro di ballo e tutti i partecipanti testimonianza di in incontrastato gradimento dello spettacolo e della Danza in generale.
Claudio LISTANTI Roma 13 Aprile 2025