di Luca BORTOLOTTI
Giuseppe Scavizzi, Luca Giordano. Nuove opere. Aggiunte al catalogo 2003-2023, Ediart, Todi 2024, pp. 160.
Nonostante il profilo apparentemente modesto dell’impresa (che si presenta come un “semplice” aggiornamento del catalogo di Luca Giordano alla luce delle opere emerse negli ultimi 20 anni), non deve passare inosservata l’ultima fatica di Giuseppe Scavizzi, eminente decano degli studi sul pittore, al centro dei suoi interessi dalla metà degli anni Sessanta del Novecento.
È ben noto, infatti, come proprio a Scavizzi, assieme ad Oreste Ferrari (per lunghissimo tempo suo sodale negli studi giordaneschi), si debba la prima monografia comprensiva di catalogo ragionato dedicata al pittore, uscita nel 1966: impresa invero straordinaria, ancor più in considerazione degli strumenti disponibili all’epoca, che gettò le prime basi serie per mettere ordine su un materiale immenso e largamente caotico, che sino ad allora, sotto l’insegna di Luca Giordano, poteva includere ogni genere di dipinto più o meno strettamente legato alla sua maniera.

L’influenza di quest’ultima, d’altronde, era stata talmente pervasiva sulla scena artistica napoletana che era arduo trovare opere eseguite tra la seconda metà del XVII e la prima del XVIII che non ne fossero toccate in alcun modo, con i riflessi facilmente immaginabili sulla coerenza e affidabilità del corpus di opere che all’epoca gli veniva riferito. Se aggiungiamo gli effetti perniciosi del celeberrimo soprannome di “Luca fa presto”, che legittimava (e, di fatto, ancora legittima) l’estensione per così dire senza scrupoli delle opere inedite fatte convogliare nel cantiere sempre aperto delle nuove attribuzioni, ci rendiamo conto dell’importanza da riconoscere a quel primo grandioso sforzo di sistematizzazione compiuto dai due studiosi. Quell’impresa conobbe nel 1992 una nuova edizione rivista, forte di corpose integrazione, cui fece seguito, 11 anni più tardi, un ulteriore aggiornamento con significative aggiunte.


Nel 2012 fu la volta di uno specifico affondo sull’attività giovanile del Giordano, stavolta in tandem con Giuseppe De Vito, con proposte che modificavano sensibilmente l’impianto critico comunemente ammesso intorno alla formazione e ai primi 15 anni di produzione del pittore, sottratti all’esclusiva dominante tenebrosa e riberesca nella quale erano stati sin lì confinati. Infine, nel 2017, è stata la volta di una vera e propria biografia dell’artista (Luca Giordano. La vita e le opere), nella quale, seguendo l’ordine cronologico dell’inarrestabile carriera del maestro (da Napoli a Venezia, da Roma a Firenze, sino ai fasti spagnoli dell’Escorial, del Palazzo Reale, del Cason del Retiro e all’estremo ritorno nella città natale) hanno trovato debito spazio tutti i temi cruciali che lo riguardano.
Dopo una mole simile di approfondimenti monografici, come si diceva, il presente volume manifesta ambizioni più circoscritte, proponendosi solo di incrementare giudiziosamente il corpus giordanesco. Viene così sottoposta al vaglio di una connoisseurship addirittura sessantennale la pletora di opere inedite che negli ultimi 20 anni – tra mostre, saggi specialistici e soprattutto rinvenimenti sul mercato – sono state proposte come autografe.

I dipinti che hanno superato lo scrutinio dello studioso sono stati schedati secondo il loro presumibile ordine cronologico di esecuzione: e non si parla di qualche tela, o di poche decine, ma di ben 153 nuovi numeri. In pratica un quantitativo che, da solo, eguaglia, quando non esorbita, i cataloghi ragionati della gran parte dei principali artisti dell’epoca e che, sommati a quelli già precedentemente inclusi, approda alla cifra sbalorditiva di circa 1250 opere fra dipinti e affreschi. Si tratta evidentemente di un numero iperbolico, peraltro già superato di slancio dalle nuove proposte emerse negli studi e sul mercato dell’arte nel pur breve arco di tempo successivo all’epoca che il volume ha preso in considerazione.

Un quantitativo che lo studioso ovviamente riconduce in primis ai circa 55 anni di attività ininterrotta del Giordano, come pure alla sua prodigiosa e proverbiale rapidità esecutiva: ma che comunque, a paragone con i corpora ben più ridotti della stragrande maggioranza dei suoi colleghi contemporanei, sembra reclamare un’analisi specifica, che, documenti alla mano e col supporto di evoluti strumenti storico-sociali, tecnico-materiali e perfino statistici, sia in grado di dar conto e spiegare più nel dettaglio numeri tanto eccezionali che, per di più, paiono destinati a gonfiarsi senza sosta.
A dispetto della semplicità progettuale del volume, fra le righe di un asciutto catalogo corredato di essenziali schede critiche traspaiono in controluce le novità critiche già proposte nelle pubblicazioni del 2012 e del 2017 relative principalmente alla formazione, l’attività giovanile, il ruolo del padre, lo sviluppo e la cronologia della sua attività: talché dominano quantitativamente le opere eseguite entro il 1670, all’interno del nuovo quadro cronologico proposto da Scavizzi, molto più articolato e vario rispetto a quello vigente in precedenza.
Rimangono, inevitabilmente, alcuni punti controversi: in primis, a mio avviso, quelli legati a una più compiuta decifrazione dei meccanismi vigenti all’interno dell’operosissima officina giordanesca, che dovevano prevedere l’incessante predisposizione di copiosi materiali preparatori (disegni, cartoni, bozzetti, modelli) assiduamente reimpiegati, sebbene all’occorrenza con varianti anche significative; ma anche riguardo alla presenza e al ruolo degli aiuti (al di là dei nomi perennemente e meccanicamente ricorrenti di Giuseppe Simonelli e Nicola Malinconico) all’interno di una filiera produttiva particolarmente elaborata, che però (diversamente dai casi di Guido Reni o Rubens, per limitarsi a pochi esempi, o di Raffaello, per risalire all’epoca rinascimentale) non sembra avere previsto, o ammesso, la presenza costante di personalità di grande spicco.
È chiaro, come viene opportunamente ribadito da Scavizzi, che nell’incessante proliferazione di opere marcatamente giordanesche la qualità debba costituire la stella polare per districarsi tra le problematiche attributive:
“Lo stile di Giordano è completamente idiosincratico. Nessuno operava come lui e nessuno si avvicinò a lui né nello stile né nella qualità”,
ammonisce lo studioso.

Resta evidente, peraltro, che, per Giordano, come e più che per tantissimi altri artisti di primo piano dell’età barocca, il mito della “piena autografia” mostri tutti i suoi limiti e richieda di essere sempre adeguatamente temperato da un approccio realistico, prudente e disincantato: tant’è che, precisa Scavizzi:
“Se la maggior parte delle variazioni giovanili furono fatte da lui stesso, quelle che seguirono furono il risultato di una collaborazione ben strutturata con la scuola”,
giacché “l’atelier di Giordano funzionava come un’orchestra”.


Segnalare analiticamente le aggiunte di maggior rilievo inserite nel catalogo, e a maggior ragione fargli le pulci mettendo in rilievo i pochi possibili dissensi attributivi, esorbiterebbe senz’altro gli scopi della presente recensione. Mi limiterei a indicare che, alla valutazione di un non-specialista come il sottoscritto, l’autografia di quasi tutte le opere inserite da Scavizzi, peraltro la gran parte già edite, appare senz’altro da accogliere, soprattutto ove si assumano i caveat metodologici e i contrappesi filologici poc’anzi evocati in merito a una connoisseurship che non sia mirata a inseguire idealisticamente il mito, non di rado fuorviante, della mano esclusiva del maestro.
Resta infine da lodare la qualità editoriale, assai curata come sempre nei volumi della Ediart di Todi, in grado di presentare ben 128 tavole a colori (per lo più di buona qualità) sul totale dei 153 dipinti censiti, con un’integrazione di XVII tavole in b/n: cosicché risultano ben poche le opere schedate lasciate prive di riproduzione fotografica. Non credo possano sollevarsi dubbi sull’utilità dell’impresa: sarebbe semmai decisamente auspicabile un’ulteriore sforzo, allo stato delle cose davvero monumentale, che cercasse di radunare le membra nuovamente sparpagliate, seppure non disperse, del catalogo giordanesco, prendendo magari in considerazione le infinite potenzialità – in termini di ipertestualità, agilità di consultazione e non ultimo economicità – dell’editoria digitale.
Luca BORTOLOTTI Roma 13 Aprile 2025