di Mario LIPARI
Ho preferito aspettare un po’, prima di esprimere la mia opinione su un argomento capace di creare sanguinose guerre sui social; dove le vittime restano quelle reali, mentre chi preme i tasti può tornarsene alla propria vita, magari con il broncio.
Parlo del “trend”, che meriterebbe di essere scritto senza virgolette, del vandalismo sui beni della comunità nel nome della sopravvivenza della stessa. Perché si, ciò che facciamo sembra contare poco rispetto al mero esistere, all’assunzione di ossigeno e consecutiva eliminazione di anidride carbonica, ripetuta un numero sufficiente di volte da mantenerci su questo mondo. La nostra storia, il vero motivo per cui noi viviamo, è niente. O almeno, questo è ciò che continuano a ripeterci gli attivisti, i ribelli, i paladini della nostra epoca. Coloro che meriterebbero una statua in loro onore, destinata ad essere imbrattata subito dopo.
Permettetemi di calmarmi un attimo, il tempo necessario a rendermi conto che ho appena affermato l’importanza di ciò che è e resta inanimato a discapito della vita stessa. Sono state le parole di un folle, me ne vergogno. Ma follia dettata dall’amore, un profondo sentimento che provo per ciò che l’essere umano è stato, è e sarà capace di creare finché avrà la capacità cognitiva necessaria a segnare questo mondo col desiderio di aggrapparsi alla vita, al punto da imboccare la via dell’immortalità.
Perciò, spero che il lettore possa perdonarmi se il seguente articolo viene scritto più con rabbia che con raziocinio, ma quando prendono in ostaggio, maltrattano e sfruttano per i propri scopi ciò che ami non puoi comportarti diversamente, sarebbe inumano.
Che sia per stanchezza degli attivisti stessi o dei media su cui fanno sempre affidamento, questa onda vandalica sembra essere scesa drasticamente rispetto agli esordi. Ma questo non significa che si sia arrestata.

Qualche mese fa la “Femme couchée lisant” di Pablo Picasso è stata imbrattata a Palazzo Te, in occasione dell’ennesima mostra blockbuster sull’artista malacitano, con il lancio non regolamentare di letame (fig.1). Il perché gli animalisti abbiano deciso di imbrattare un dipinto difeso solo dalla sua teca (che protegge dai danni fisici, ma non da quelli morali) e non la giacca dell’amministratore delegato di Levoni è da ricondurre, probabilmente, a due motivi; il primo è che la sala espositiva di Palazzo Te era più semplice da raggiungere, il secondo è che l’opera non può denunciare, almeno non direttamente.
Ma gli attivisti possono anche risultare più aggressivi, ne è testimonianza la “Venere Rokeby”, vittima nel novembre del 2023 di una molestia grave perpetrata, tra l’altro, nella sua casa a Londra, la National Gallery (fig.2). Martellata ripetutamente dal gruppo di attivisti Just Stop Oil mentre il pubblico assisteva inerme, filmando e dando, così, un motivo in più per future repliche.

Quella volta si trattava “solo” della sua protezione in vetro, gli attivisti non avrebbero mai osato sfregiare in modo permanente l’opera in sé, sarebbe stato poco parsimonioso. Ma la Venere di Velázquez, sfortunata, non era nuova al vandalismo e ha subito di peggio.
Il 10 marzo 1914 venne ferita direttamente sulla sua pelle, dalla richiedente di voto Mary Richardson (fig.3). Quest’ultima, si giustificò ammonendo gli uomini che guardavano l’opera con sguardo lussurioso e venne condannata a sei mesi di carcere. Avevo dedicato una morale ironica a questo episodio, ma è stata bocciata (saggiamente) da una cara amica.

I danni subiti dall’opera nel 2023 non furono così gravi. Parliamo solamente del necessario che serviva per attirare l’attenzione. Gli elementi per creare il palcoscenico virtuale, dove i commedianti sono gli attivisti e il loro messaggio fa le veci dello spettacolo che fallisce. Chi vorrebbe vedere una messinscena del genere? Hai il pieno diritto tu, spettatore, di lamentarti e di chiedere il rimborso del biglietto.
Si resta scocciati e per nulla cambiati davanti ad atti del genere. Tra Pollock improvvisati e dispensatori di farina il messaggio di fondo si perde, tramutandosi in odio per tali gesti e per ciò che li motiva (fig.4).

Continuerò a guidare la mia macchina del 2016 e a lasciare il riscaldamento acceso in casa quando non ci sono, figurati se ti ascolto dopo che hai imbrattato la facciata di Palazzo Vecchio (fig.5).

Perché “sacrificarsi” per dei vandali da quattro soldi? Non ne vale la pena. Non riuscirete a distogliermi dal pensare che tutto ciò non sia altro che un qualcosa di improvvisato, atti fini a sé stessi legati da un fragile spago rappresentante la battaglia per l’ambiente.
Ma neanche in periodo di pace l’arte ne esce illesa. Le mandrie di fruitori interessate alle opere viste di sfuggita attraverso la fotocamera anteriore del proprio smartphone, in cerca del self-ricordo, compiono violazioni di domicilio nelle case dei beni culturali. Mentre le celebrità dei social media si limitano ad utilizzare, e sminuire, il lavoro dei grandi maestri come quinta di scena per il proprio contenuto digitale. Ed è così che l’opera d’arte, il capolavoro, viene ridotta a trofeo. Ma non parliamo solo di un danno morale ormai ben noto e, purtroppo, accettato passivamente.
Nel 2018 a Yekaterinburg, in Russia, presso l’istituto culturale Glavny Prospekt un gruppo di ragazze danneggiò un’opera di Salvador Dalì, esposta in occasione di una mostra sul suo autore, nel tentativo di acquisire un selfie in quel luogo disgraziato (fig.6).

In fondo, è sempre grazie ai social che tutto questo è concesso, il narcisismo è concesso. Perché non si ammira più l’opera d’arte, ma ci si fa ammirare. Che sia per scopi nobili o meno poco cambia, l’interesse deve essere spostato su sé stessi. Nel grande Colosseo di Meta, dove lo spettacolo del giorno prevede i beni culturali contro gli attivisti. Chi ne uscirà vincitore? Chi sarà il trofeo? Poco cambia, perché l’epilogo sarà lo stesso: sfamare quelle belve dei follower con la carcassa del perdente.
Temo di essere andato oltre il tema principale. Permettetemi, dunque, di rivendicare quanto detto sotto un nuovo tema: il rispetto.
Mi avvio alla conclusione, ragionando sul fatto che non importa il motivo per cui voi stiate danneggiando o dissacrando un’opera d’arte, perché al mio occhio state facendo esattamente quello.
Non mi dilungherò oltre, vi lascio solo un punto di riflessione più sgargiante della vostra vernice.
Mario LIPARI Palermo 25 Maggio 2025
L’arte si basa su una capacità, che è un saper fare. / Chi ammira l’arte, ammira un lavoro, un lavoro / abilissimo e riuscito. Ed è necessario conoscere qualcosa / di questo lavoro, per poterlo ammirare e poterne godere / il risultato, l’opera d’arte.
Bertolt Brecht, 1961